In attesa del secondo, necessario turno delle consultazioni, le forze politiche lavorano di strategia. Dunque: il leader grillino Luigi Di Maio si aggrappa al Pd, che ufficialmente rifiuta e intanto si divide, dopo il ricompattamento del centrodestra, e il leader della Lega Matteo Salvini irride all’ipotizzato governo M5S-Pd. In realtà la proposta fatta al Pd da parte di Di Maio è una grande ‘paraculata’ che torna molto utile per spaccare ancor di più il Pd.
Di Maio poi gioca anche con la politica dei due forni e del veto a Berlusconi: ‘Il contratto di governo può essere sottoscritto dal M5S o con la Lega o con il Pd. Noi siamo pronti ma vediamo se ci sono anche delle evoluzioni negli altri schieramenti’, aggiungendo di considerare un passo avanti la posizione di Martina. Da tener presente che il ‘passo avanti’ di Martina gli toglierà l’appoggio di Renzi per diventare segretario. Tant’è!. Ma i giochi sono tutt’altro che fatti tanto che il centrodestra sente l’esigenza di ridiscutere la tattica comune e lo farà, probabilmente ad Arcore, in un vertice chiesto dalla Meloni e accolto con favore dagli alleati.
Il leader leghista commenta sui social: ‘Governo Di Maio-Renzi, governo 5Stelle-Pd? Mamma mia…’. E spiega la posizione della Lega, assicurando a tutti che non teme certo un ritorno alle urne, anzi. Sto facendo e farò tutto il possibile per cambiare questo Paese, con coerenza, serietà e onestà, ascoltando tutti. Una cosa è certa: o nasce un governo serio, per ridare lavoro, sicurezza e speranza all`Italia, oppure si tornerà a votare, e noi stravinciamo. Buona giornata Amici, contate su di me, io conto su di voi’.
Comunque, l’appello di Di Maio spacca i dem, già divisi al loro interno. Ufficialmente non cedono alle lusinghe dei cinque stelle, anche se qualche crepa comincia a notarsi. L’autocritica nei toni è apprezzabile, commenta il segretario reggente Maurizio Martina, resta evidente l’ambiguità politica. Noi continuiamo a pensare che la differenza la fanno i contenuti. Da questo punto di vista non vedo novità. Il tempo dell’ambiguità è finito.
Si assiste poi a uno scontro tra Franceschini e Guerini: il ministro uscente dei Beni culturali twitta la sua posizione: ‘Di fronte alle novità politica dell’intervista di #DiMaio serve riflettere e tenere comunque unito il Pd nella risposta. L’opposto di quanto sta accadendo: rispondiamo affrettatamente e ci dividiamo tra noi. Fermiamoci e ricominciamo’.
Il Cavaliere ha già detto di voler far parte della delegazione del centrodestra che salità al Quirinale guidata da Salvini, la seconda è che essendo il M5S numericamente inferiore al centrodestra non è in grado di rivendicare la premiership.
Da sottolineare la posizione di Alan Friedman sullo stato di fatto politico nel nostro Paese. Posizione viziosa e oltremodo fuorviante. Ascoltiamolo: ‘Il gentile Paolo Gentiloni, di ritorno dal vertice dei leader Ue a Bruxelles, ha poco da dire. Ai partner europei che gli hanno chiesto rassicurazioni, non ha potuto darne: è un uomo che ormai svolge il compito di un semplice custode e rappresenta il simbolo di un partito una volta dominante, oggi sconfitto dagli euroscettici. Il suo Paese è frammentato dal voto. Un Paese in cui il 55 per cento degli elettori ha bocciato l’Europa e/o l’euro e si è espresso in maggioranza a favore di una linea anti-immigrati (con diverse sfumature, dalla retorica incendiaria di Salvini e Meloni a quella più sottile di Casaleggio e Di Maio). Un Paese in cui i reduci di Forza Italia sono in piena ritirata, intenti a leccarsi le ferite, mentre quel che rimane del Pd è dilaniato dalle guerre interne tra correnti rivali che hanno caratterizzato il tormentato autunno del centrosinistra italiano.
Insomma, questo è un Paese che sembra tornato alla Prima Repubblica ma non vuole ammetterlo, che pensa di poter ignorare i mercati finanziari e il macigno del debito pubblico ripetendo ossessivamente mantra rassicuranti come ‘finora i mercati finanziari stanno alla finestra’, o ‘la reazione in borsa non c’è stata’. E allo stesso tempo continua a discettare di politiche economiche impresentabili. Per l’Italia il vero rischio potrebbe arrivare quando saranno chiare le prospettive per l’economia e per la sua gestione, non appena sarà formato il nuovo esecutivo.
Immaginiamo che in qualche modo venga trovato un accordo politico tra il Movimento Cinque Stelle e la Lega di Salvini, magari per un governo di scopo, anche senza Berlusconi. Immaginiamo un governo con il compito di approvare una nuova legge elettorale. Viste le numerose promesse effettuate da Di Maio e Salvini, questo nuovo esecutivo tenterebbe comunque di imporsi anche in campo economico, cercando di introdurre alcune delle proposte che abbiamo sentito durante la campagna elettorale. La flat tax e il reddito di cittadinanza sono le due misure più rappresentative, senza dimenticare l’abolizione della legge Fornero. Che cosa succederebbe se un governo M5s-Lega tentasse davvero di realizzare queste cose?
A mio avviso non lo sapremo mai, perché le visioni economiche della Lega e del M5S sono lontane anni luce: l’assistenza sociale del reddito di cittadinanza difficilmente può essere combinata con una flat tax, che porterebbe benefici soprattutto ai contribuenti più benestanti.
La prima misura costerebbe almeno 17 miliardi all’anno, garantendo fino a 780 euro al mese per un individuo solo e privo di reddito (mentre la cifra sarebbe destinata a salire in presenza di figli a carico). La seconda creerebbe un buco nei conti pubblici di circa 40 o 50 miliardi di euro all’anno, ovvero un mancato gettito per il Fisco pari a quasi 3 punti di Pil. Questo si tramuterebbe ovviamente in deficit e quindi in debito pubblico, e allora sì, i mercati inizierebbero davvero a preoccuparsi, lo spread schizzerebbe su di nuovo e gli avvoltoi tornerebbero a speculare contro l’Italia.
C’è poi da augurarsi che Salvini non riesca a smantellare del tutto o in parte la legge Fornero, o a congelare l’età pensionabile cancellando l’innalzamento automatico legato all’aspettativa di vita. Abolire la Fornero vorrebbe dire creare una voragine di 150 o 200 miliardi nei prossimi dieci anni. Il sistema previdenziale andrebbe in tilt, non sarebbe più sostenibile.
Io spero che non arriveremo mai a questo punto, ma i precedenti dell’America di Trump e della Brexit non promettono nulla di buono. Quando gli estremisti e i populisti arrivano al potere, cercano di realizzare sul serio le promesse effettuate durante la campagna elettorale.
Ecco il vero rischio che corre l’economia italiana: che il Paese si svegli un giorno con un governo composto dai Cinque Stelle e dalla Lega…’.
Cocis