Governo Meloni tra Patto di Stabilità e Mes da chiudere in successione. Mario Monti: ‘E’ una pia illusione’

Il Patto di Stabilità resterà sospeso fino al 31 dicembre 2023. Sospeso non significa abolito. La decisione iniziale, assunta nel 2020 per fronteggiare l’inevitabile crisi generata dalla pandemia, è stata confermata – a cadenza periodica nel corso degli ultimi 24 mesi –  perché si è ritenuto di garantire un periodo di flessibilità agli Stati membri. A incidere sulle successive sospensioni è stato lo scenario di grande incertezza economica dovuto alla guerra tra Russia e Ucraina che ha determinato un forte rallentamento della crescita e generato un’impennata dei prezzi dei prodotti alimentari e dell’energia.

Il Patto di stabilità e di crescita accoglie principi condivisi precedentemente nei trattati di Roma, Maastricht e Lisbona ed è stato costituito con una risoluzione del Consiglio europeo adottata nel 1997 e regolamentata il 7 luglio dello stesso anno. Il patto di stabilità garantisce che, successivamente all’introduzione della moneta unica, la disciplina di bilancio degli Stati membri proceda in una linea di continuità.

Si tratta, quindi, di un accordo tra Paesi europei basato su due principi fondamentali. L’attuale versione del Patto di Stabilità prevede che gli Stati membri mantengano:

un rapporto tra spesa annuale in deficit (ovvero superiore alle entrate fiscali) e Prodotto Interno Lordo (PIL) entro  il l 3%;

un rapporto tra debito pubblico e PIL entro il  60%.

È proprio il rispetto di quest’ultimo parametro a creare le maggiori difficoltà a più di uno Stato membro: i Paesi che superano la soglia del 60% devono impegnarsi in un percorso di riduzione del debito che prevede un taglio del 5% all’anno.

È, questo, un percorso ritenuto irrealistico per chi, come l’Italia, ha un debito pubblico superiore di oltre due volte il parametro di riferimento (prima della pandemia aveva  raggiunto il 134,8%).

Laddove i limiti e i vincoli del Patto di stabilità non siano rispettati, è la stessa Commissione ad agire attraverso una procedura di infrazione di diversi step progressivi:

un avvertimento preventivo per i Paesi il cui deficit si avvicina al 3%;

una serie di raccomandazioni allo sforamento del tetto per chiedere un calo del rapporto deficit/Pil;

una sanzione.

La vera novità è rappresentata dall’apertura, da parte della Commissione, in merito all’opportunità di rimodulare le specifiche del Patto di Stabilità: per molti Paesi il rigore finanziario inficia crescita e occupazione, per altri resta una condizione necessaria e imprescindibile.

La riforma del Patto di Stabilità porterebbe a una rimodulazione dei parametri di riferimento per venire incontro alle oggettive esigenze degli Stati che faticano a rispettarne i criteri: nessun Paese, finora, è stato multato per aver violato le regole (la sanzione è pari allo 0,1% del PIL).

Le possibili novità in esame per il 2024 poggiano su due nuovi fattori:

garantire a ogni Paese un tempo più lungo ed elastico per ridurre il debito pubblico;

semplificare i calcoli per raggiungere gli obiettivi previsti.

per il calcolo  del deficit, si prenderebbe a riferimento la spesa primaria netta (quanto spende uno Stato senza considerare  che paga per gli interessi sul debito);

non verrebbero considerate le “golden rule”, cioè le spese per la transizione ecologica;

a ogni Stato membro con un disavanzo pubblico superiore al 3% del PIL o con un debito pubblico oltre il 60%, verrebbe offerto un periodo di quattro anni per attuare un percorso di “aggiustamento”.

La Germania chiede, per gli Stati più indebitati, l’imposizione di una riduzione del debito pubblico di almeno l’1% del PIL all’anno e che le spese non siano superiori all’1% del PIL rispetto alla loro crescita potenziale.

Bruxelles ha “mediato” tra le proposte arrivate sul tavolo della Commissione: ha confermato di voler concedere ai Paesi con alto debito pubblico le quattro annualità per ridurlo, mantenendo il rapporto tra deficit e PIL sotto il 3% oppure, in caso di sforamento, tagliando il debito pubblico dello 0,5% del PIL annuo.

La Spagna, presidente di turno del Consiglio Ue nel secondo semestre 2023, ha proposto una mediazione che recepisce alcune delle proposte italiane, presentate nel corso della riunione dei ministri finanziari che si è tenuta il 15 e 16 settembre a Santiago de Compostela. La soluzione ipotizzata prevede lo scorporo dal deficit degli investimenti legati all’uso dei fondi europei e al Pnrr, inserendo tra i cosiddetti fattori rilevanti che incidono sull’indebitamento anche le spese militari. In cambio dovrà essere fissato un obiettivo annuale di riduzione del debito.

Qualche giorno fa il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, aveva dichiarato che questa settimana il Parlamento italiano avrebbe discusso del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità già approvato dagli altri partner europei e necessario per fronteggiare eventuali crisi finanziarie. Ma ci ha pensato il capogruppo alla Camera del suo stesso partito (la Lega), Riccardo Molinari, a smentirlo dicendo che il Parlamento ha cose più importanti da discutere e pertanto non se ne parlerà il 14 dicembre, come originariamente previsto, ma dopo il summit europeo del 18 sul nuovo Patto di stabilità e forse addirittura a gennaio.

La  sconfitta sulla Presidenza della Bei, dove l’Italia aveva un candidato eccellente come l’ex ministro Daniele Franco ma è riuscita a farsi battere dagli spagnoli.  La  logica  del pacchetto cara alla premier Meloni è un boomerang in Europa ma il Governo italiano insiste e non darà il via libera al Mes prima di aver portato a casa qualcosa sul Patto di Stabilità. E’ una pia illusione ha spiegato l’ex premier ed ex eurocommissario europeo Mario Monti.  Così il Governo manda ancora una volta la palla in tribuna sul Mes ma ogni volta che lo fa è una picconata alla credibilità dell’Italia che, mettendo le dita negli occhi dei partner, sembra infantilmente dimenticare che il debito pubblico italiano è altissimo e che solo la benevolenza dei mercati e degli altri Paesi può facilitarne il finanziamento. Il tempo dei rinvii sul Mes è scaduto e sarebbe ora che Giorgia Meloni e Matteo Salvini se ne ricordassero.

“Non credo si stia andando verso una nuova austerità anche perché la rigidità di un patto di stabilità non è coerente con i tempi che viviamo e che abbiamo vissuto a livello internazionale, a maggior ragione dopo la pandemia. L’Ue deve sostenere i Paesi a uscire dalla crisi tenendo i considerazione le specificità di ogni Stato. Ecco perché le politiche di bilancio dell’Europa devono tenere conto del quadro socio-economico che stiamo attraversando. Mi pare che il voto del Parlamento europeo sulla posizione negoziale vada in questa direzione anche se molto rimane ancora da fare”. Così il Presidente della I Commissione Affari Costituzionali della Camera, Nazario Pagano, di Forza Italia, intervenendo a ‘Coffee Break’ su La7.

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