Beppe Grillo assiste alla seduta nell'aula del Senato durante l'esame del provvedimento in materia di scambio elettorale ''politico-mafioso'', Roma 15 Aprile 2014. ANSA/GIUSEPPE LAMI

Grillo blinda il sistema tedesco: ‘Sì al patto con Renzi’

Grillo  dimostra di voler fortemente l’accordo sul sistema tedesco. Sul suo blog lancia l’altolà alle voci che nelle ultime 24 ore si erano alzate a contestare questo o quell’aspetto. ‘Se gli altri partiti non cambieranno idea, i portavoce del M5S in Parlamento voteranno a favore. Vogliamo garantire agli italiani che potranno andare ad elezioni al più presto con una legge costituzionale’. Per lui, i pentastellati devono prendere atto che il testo in discussione corrisponde pienamente all’esito del referendum interno che aveva visto vincere quel modello con il 95% dei consensi: ‘Le differenze con il sistema in vigore in Germania sono dovute al differente assetto costituzionale. Il ‘tedesco’ non prevede preferenze, ma liste talmente corte da renderle superflue’. Concorda con FI e Pd su aspetti fondamentali come la soglia del 5%, ma resta l’incognita delle piccole correzioni che i grillini intendono ancora fare. Già: Grillo acquista la golden share, ora il destino della legislatura è nelle sue mani. Se si sfila, con la legge salta l’ipotesi del voto in autunno: Renzi non regge da solo un accordo con Berlusconi.

Anche per questo nel Pd gli esperti di sistemi elettorali come Parrini lavorano senza sosta alla costruzione di ipotesi di correttivo gradite a Grillo e non invise a Silvio. In particolare, i pentastellati chiedono,  attraverso Toninelli,  di correggere le pluricandidature che permettono oggi ai leader politici di presentarsi in tre collegi per stare più al sicuro, e di introdurre un premio di maggioranza per chi oltrepassi la consueta soglia del 40%. Nel primo caso, già si sa che la richiesta dei cinquestelle verrà accolta: addirittura, c’è chi sostiene che le pluricandidature siano state inserita apposta per dargli poi il contentino. Niente da fare, invece, per il premio di governabilità: pone troppi problemi, come il rischio di doverlo dare a due forze diverse alla Camera e al Senato. Esce di scena anche il voto disgiunto, mentre oramai è scontata l’introduzione di una norma salva-vincitore per superare il paradosso per cui alcuni candidati potrebbero non essere eletti pur avendo vinto nei collegi. Va da sé che, per avere la certezza dei tempi, il testo sarà blindato tra i partecipanti all’accordo anche nelle virgole. Insomma, senza ulteriori colpi di scena sulla carta il vascello è in grado di superare i due veri scogli: l’uscita dalla commissione Affari costituzionali di Montecitorio, dove oggi si comincia a votare. E il passaggio al Senato. Di qui, l’ottimismo cauto della Boschi. Anche se,   assieme alla protesta dei partitini di Alfano, Bersani & co.,  continuano gli affondi dei big a sinistra.

Durissimo Letta, che rilancia ragionamenti di Veltroni: ‘È una legge elettorale peggio della Prima Repubblica, quando si potevano eleggere i parlamentari’. Insiste Cuperlo: ‘Questa riforma è la trappola di Willy il coyote’. Ma diffusa è la convinzione tra i renziani che la minoranza interna di Orlando non voterà contro la legge. Dice Brunetta: ‘Ogni giorno ha la sua pena, ma si devono rendere conto tutti che non ci sono alternative’.

Forse è ciò che ha pensato pure un signore il quale,  passeggiando per i giardini del Quirinale aperti al pubblico in occasione della festa della Repubblica,  ha salutato così Mattarella: ‘Gliela faccia fare questa legge elettorale’. Il capo dello Stato non ha mosso un muscolo. Segno evidente che prima di pronunciarsi attende di vedere quale sarà il testo definitivo ed, eventualmente, solo a quel punto farà conoscere le sue obiezioni.

 ‘Io sono sempre fiduciosa, quindi spero che l’accordo fra i tre principali partiti possa avere ovviamente un esito favorevole’, ha detto il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Maria Elena Boschi, rispondendo ad una domanda sulla legge elettorale.

‘Con il Pd la collaborazione è finita, accettiamo la sfida del 5% e riaggregheremo liberali, popolari, e moderati’. Ci sono un presupposto e una promessa nelle parole con cui Angelino Alfano sintetizza la più cruciale delle Direzioni della breve storia di Alternativa Popolare. Il presupposto è che, da ora in poi, con l’ex alleato Matteo Renzi, sarà guerra aperta. La promessa, invero non facile da realizzare, è che con un centro unito gli alfaniani supereranno la soglia anti-cespugli prevista dal sistema tedesco. C’è una reazione di orgoglio, insomma, tra i centristi ‘scaricati’ da Renzi. Una reazione che si trasforma in uno scontro all’arma bianca tra Ap e Pd sulla tenuta del governo. ‘Noi lo sosteniamo, Renzi vuol far cadere il governo oppure no?’, incalza Alfano. Ma con il segretario Dem lo scontro oggi verte soprattutto sulle pressioni che, secondo Ap, Renzi avrebbe fatto sugli alfaniani per far cadere Gentiloni già a febbraio.

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