Dopo l’attacco dell’Iran alle basi americane in Iraq, gli occhi del mondo sono puntati su Donald Trump. Il presidente degli Stati Uniti aveva annunciato, dopo l’uccisione di Soleimani, che in caso di attacchi contro militari o target americani, la reazione statunitense sarebbe stata sproporzionata.
Ora l’attacco da parte dell’Iran c’è stato ed è stato massiccio. Sarebbe solo la prima fase della missione Soleimani Martire, uno schiaffo agli States, neanche in assaggio della vendetta iraniana.
E ora la palla passa di nuovo a Donald Trump. Il presidente era consapevole – si immagina e si spera – del fatto che l’uccisione di Soleimani avrebbe avuto delle conseguenze. Di fronte alle minacce di Teheran aveva reagito alzando ulteriormente il livello della tensione. Almeno a parole. Ora l’America è stata attaccata e tutti si domandano se e come gli Usa possano reagire.
Le vie a realisticamente percorribili. La tregua o un nuovo attacco. Nel primo caso Trump dovrebbe incassare lo schiaffo senza reagire nella speranza che l’Iran possa apprezzare la non belligeranza statunitense accantonando il sentimento di vendetta. Si tratta di uno scenario difficile da ipotizzare. Per due motivi. Il primo, difficilmente l’America deciderà di non reagire; il secondo, difficilmente Teheran si accontenterà del blitz per vendicare la morte di Soleimani. Allora resta in piedi la seconda ipotesi, quella di un nuovo attacco americano. Resta da capire se possa essere un attacco mirato contro un obiettivo particolarmente significativo oppure su vasta scala, per creare panico e scompiglio.
Mike Pompeo è tornato a difendere la legittimità dell’uccisione di Soleimani: ‘Quando un presidente prende una decisione così, ci sono informazioni multiple che ci sono state presentate’.
Il capo del Pentagono Mark Esper ha aggiunto: ‘Non andiamo via da Baghdad, non vogliamo iniziare la guerra ma sia mo pronti a finirla’. Il grosso del contingente, circa 4.000 uomini, verrà fornito dalla 82nd Airborne Division e sta già partendo per il Kuwait, dove stabilirà una forza di intervento rapido pronta ad intervenire ovunque diventasse necessario nella regione. I militari hanno ricevuto l’ordine tassativo di lasciare i cellulari a casa, perché in passato l’uso di questi apparecchi aveva consentito al nemico di localizzare la posizione dei reparti. Altri cento paracadutisti del 173rd Airborne Brigade Combat Team stanno partendo dalla loro base di Vicenza, in Italia, allo scopo probabilmente di difendere l’ambasciata americana a Beirut, in Libano, già colpita da Hezbollah nel 1983 e nel 1984. Nello stesso tempo circa cento Marines del Second Battalion Seventh Marine Regiment, impegnati durante le settimane scorse per assistere il ripiegamento dei militari americani dal nord della Siria, stanno rinforzando la sicurezza della sede diplomatica a Baghdad. Sullo sfondo di questi trasferimenti immediati, ci sono poi movimenti più ampi di lungo termine.