Hiv e resistenza ai farmaci

 I dati positivi dell’ultimo rapporto dell’Unaids sull’Hiv nel mondo (in dieci anni il numero dei decessi si è dimezzato) non possono far passare in secondo piano un grave problema emergente: l’aumento della resistenza ai farmaci antiretrovirali.

L’allarme è lanciato dal Rapporto ‘Hiv drug resistance report 2017′ , redatto insieme al Global Fund to Fight Aids, Tuberculosis and Malaria, e ai Centers for Disease Control and Prevention (Usa), dove si legge che in sei Paesi, sugli undici monitorati in Africa, Asia e America Latina, più del 10 per cento della popolazione in terapia possiede un ceppo di Hiv resistente alle medicine usate più comunemente. Gli esperti dell’Oms avvertono i Governi di tutti i Paesi: se non si prendono provvedimenti in tempi brevi tutti i progressi ottenuti finora andranno persi.

Lo scenario previsto dai modelli matematici non è rassicurante: se la resistenza non viene fermata nei prossimi cinque anni si avranno 135 mila morti in più e 105 mila nuove infezioni con un aumento della spesa per le terapie di 650 milioni di dollari.

La prima misura da prendere quando si supera la soglia di resistenza del 10 per cento è cambiare il piano terapeutico.

Il fenomeno della resistenza ai farmaci, ben noto nel caso degli antibiotici, si sviluppa soprattutto per una mancata aderenza alla terapia. La medicina assunta in dosi o per periodi differenti da quelli prescritti può avviare il processo di selezione naturale che “premia” i microrganismi più forti consentendo loro di rimanere in vita e di riprodursi.

‘Dobbiamo assicurarci che le persone che iniziano una terapia rimangano in cura con medicine efficaci per prevenire il fenomeno della Hiv-resistenza’,  dice Gottfried Hirnschall, direttore del Dipartimento Hiv e Global Hepatitis Programme dell’Organizzazione mondiale della sanità. Quando i livelli di resistenza diventano alti – aggiunge – noi raccomandiamo ai Paesi di passare a una terapia di prima linea alternativa.

Il Rapporto sulla Hiv-resistenza invita a frenare l’entusiasmo: ‘Questo nuovo rapporto mostra un quadro allarmante del crescente livello di resistenza ai farmaci per l’Hiv, se dovesse sfuggire al controllo’,  avverte Marijke Wijnroks, direttore esecutivo del Fondo, ‘raccomandiamo vivamente di rafforzare le raccomandazioni dell’Oms per gli indicatori di allerta precoce e le indagini sulla resistenza in ogni piano nazionale per la terapia antiretrovirale e di finanziarle tramite risorse del Fondo globale o di riprogrammare i meccanismi di finanziamento’.

Dal Report che è stato presentato  emergono i dati dell’epidemia secondo le stime relative al 2016: 19.5 milioni di persone hanno accesso alle cure antiretrovirali; 36.7 milioni (30.8–42.9 milioni)  vivono con l’Hiv; 1.8 milioni (1.6–2.1 milioni) sono ogni anno i nuovi malati di Hiv; 1 milione (830 000–1.2 milioni) muore per malattie legate all’Aids (molti per tubercolosi). Di fatto è il 53% dei malati che è oggi sotto trattamento, e questa cifra fa dire all’Unaids che si è invertita la rotta.

Così si potrà raggiungere l’ambizioso obiettivo del 2020 chiamato 90-90-90, 90% delle persone malate che hanno una diagnosi, 90% in trattamento, 90% di successo delle cure. Est e Sud dell’Africa stanno marciando in questa direzione, con una riduzione di nuovi casi del 30% dal 2010; in  Malawi, Mozambico, Uganda e Zimbabwe la riduzione è al 40%. L’obiettivo 90-90-90 è stato raggiunto in sette Paesi (Botswana, Cambogia, Danimarca, Islanda, Singapore, Svezia, Regno Unito), Est e Sud Africa insieme all’Europa centrale, Nord e Latino America sono sulla buona strada. Nelle regioni africane dell’Est e del Sud l’aspettativa di vita è cresciuta di 10 anni tra il 2006 e il 2016. I problemi emergono invece nell’Est Europa e nell’Asia centrale dove crescono ancora le nuove infezioni e le morti. I nuovi malati di Hiv passano da 120mila nel 2010 a 190mila nel 2016, soprattutto tossicodipendenti (42%). Nella sola Russia l’aumento di casi è del 75% dal 2010 al 2016, dati allarmanti anche da Albania, Armenia e Kazakhstan. Il Report segnala anche le difficoltà di finanziamenti: servono 26 miliardi di dollari per una risposta efficace all’epidemia Hiv entro il 2020.

La sfida delle cure quando l’infezione è ormai avanzata (secondo la definizione dell’Oms infezione avanzata è quando il conteggio dei CD4, proteina presente nei linfociti T, i globuli bianchi che rispondono alle infezioni, è inferiore ai 200 per millimetro cubo) è l’aspetto affrontato da Nathan Ford e Meg Doherty sul NEJM.

Naomi Sally Santangelo

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