Annus mirabilis – quello appena trascorso – per i fondi pensione a mettere il simbolico sigillo, i dati statistici diffusi dalla Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, che certificano rendimenti di assoluto rispetto per gli strumenti di previdenza complementare italiana, segnando nel contempo un’inversione di tendenza rispetto al 2018 quando i fondi pensione negoziali e i fonti aperti avevano perso, rispettivamente, il 2,5% e il 4,5%, battuti in scioltezza dal Tfr, che stavolta invece incassa lo sgambetto.
LE RISORSE IN GESTIONE – Le risorse complessivamente destinate alle prestazioni ammontano, alla fine di dicembre, a 184,2 miliardi di euro, sottolinea la COVIP. Il patrimonio dei fondi negoziali, 56,1 miliardi di euro, risulta in crescita dell’11,4 per cento rispetto a fine 2018. Le risorse accumulate presso i fondi aperti corrispondono a 22,8 miliardi di euro, i PIP “nuovi” totalizzano 35,6 miliardi; l’aumento nell’anno è stato, rispettivamente, del 16,4 e del 15,8 per cento. All’ultima rilevazione disponibile, risalente alla fine di settembre, le risorse di pertinenza dei fondi preesistenti erano pari a 63 miliardi di euro.
I RENDIMENTI – 2019 positivo per i mercati finanziari. Per le obbligazioni, la crescita dei corsi è stata favorita nei primi tre trimestri dal calo dei rendimenti che, in tutte le principali economie avanzate, hanno toccato un minimo storico in agosto; nell’ultima parte dell’anno i rendimenti sono leggermente risaliti. Per le azioni, condizioni monetarie ancora ampiamente accomodanti e la progressiva attenuazione delle tensioni sui negoziati commerciali hanno sospinto i relativi prezzi.
+ 7,2% nel 2019 – Come detto, per le forme pensionistiche complementari i rendimenti medi di periodo sono stati pertanto positivi, per tutte le forme e per tutte le tipologie di comparto. Al netto dei costi di gestione e della fiscalità, i fondi negoziali hanno guadagnato il 7,2 per cento; l’8,3 e il 12,2, rispettivamente, i fondi aperti e i PIP di ramo III. Per le gestioni separate di ramo I, che contabilizzano le attività a costo storico e non a valori di mercato e i cui rendimenti dipendono in larga parte dal flusso cedolare incassato sui titoli detenuti, il risultato è stato pari all’1,7 per cento.