‘Pamela Mastropietro aveva gravi disturbi della personalità e dipendeva dalla droga’. È quanto emerso questa mattina dalla deposizione dello psichiatra Giovanni Di Giovanni davanti alla corte d’appello di Macerata dove si celebra la terza udienza del processo a Innocent Oseghale, accusato di aver violentato, ucciso, sezionato la 18enne romana, per poi abbandonarne i resti in due trolley.
Lo specialista è consulente della comunità Pars di Corridonia, che ha ospitato la ragazza dal 17 ottobre 2017 fino al 29 gennaio dello scorso anno, il giorno prima del suo assassinio. “È arrivata da noi con una diagnosi clinica molto complessa, borderline grave, non aveva un rapporto realistico con la realtà”, ha spiegato Di Giovanni.
Dal racconto del consulente, la vita di Pamela in comunità non è stata facile, in particolare nei giorni precedenti la sua fuga: Di Giovanni ha parlato di “un periodo di crisi tra il 26 dicembre 2017 e il 7 gennaio 2018”, durante il quale si era prodotta anche delle “autolesioni e si induceva il vomito.
E poi i rapporti sessuali “con un ragazzo di Napoli, utente della comunità”, un’overdose nel luglio del 2017 e quel desiderio di abbandonare la Pars, “anche se poi ci ripensava e noi cercavamo di trattenerla il più possibile, avviando un progetto terapeutico con i suoi familiari”. Un quotidiano complesso, caratterizzato da comportamenti devianti (“idealizzava una vita da escort) e da momenti di lucidità e generosità, come quando – è emerso oggi – salvò la vita alla compagna di stanza, che aveva tentato il suicidio.
Pamela Mastropietro rivelò allo psichiatra che l’assisteva di aver iniziato a consumare alcol a 12 anni e di essersi drogata la prima volta a 14 anni. “Mi disse di un suo fidanzato con il quale si erano introdotti nel mondo della tossicodipendenza”, ha raccontato Giovanni Di Giovanni. “I controlli per chi entra in comunità sono terribili, ci sono perquisizioni e tutto viene controllato, ma non escludo che possa entrare droga”, ha poi risposto, incalzato dall’avvocato Marco Valerio Verni, legale della famiglia Mastropietro, che si è costituita parte civile nel processo.
Risposta che ha un riscontro nelle analisi post mortem, dalle quali è risultato che Pamela avesse assunto oppiacei nei due mesi precedenti la morte, quando era ancona in comunità. Il consulente della Pars di Corridonia ha parlato anche del rapporto tra la 18enne romana e i genitori, contraddistinto da “un grandissimo affetto, soprattutto per la madre”, ma anche da “una grande conflittualità”.
Amore e rabbia, specie quando i suoi “avevano denunciato il fidanzato”, uno dei motivi che “potrebbero averla spinta ad allontanarsi”, secondo lo specialista. L’altro motivo potrebbe essere stato “il diverbio avuto a pranzo con un operatore della comunità”, ha risposto Di Giovanni a una domanda del procuratore Giovanni Giorgio, accaduto “quando Pamela ha abbandonato” volontariamente la Pars. Un passaggio della testimonianza dello psichiatra potrebbe avere un peso anche all’interno del fascicolo che la procura maceratese ha aperto su due tassisti, indagati per violenza sessuale per via dei rapporti avuti con Pamela il giorno prima della sua morte.
“Una promiscuità sessuale, che è un tratto della patologia della quale soffriva Pamela – ha spiegato Di Giovanni, rispondendo all’avvocato Verni -: una persona che soffre si butta in questo comportamento e chi si è relazionato anche per solo un’ora con Pamela non poteva non capire le difficoltà di questa ragazza”.