Il lockdown costa all’Italia 47 miliardi al mese, 37 al Centro-Nord, 10 al Sud. E considerando una ripresa delle attività nella seconda parte dell’anno, il Pil nel 2020 si ridurrebbe del 8,4% in Italia, del 8,5% al Centro-Nord e del 7% nel Mezzogiorno.
Sono questi i numeri impietosi presentati nell’ultimo rapporto Svimez, redatto dagli economisti Salvatore Parlato, Carmelo Petraglia e Stefano Prezioso, coordinati dal Direttore Luca Bianchi. E mentre si parla cautamente di prime riaperture e prudente ripartenza, a fotografare la portata della crisi innescata dall’emergenza Coronavirus sono le cifre riportate dagli esperti.
Quanto ci costa il lockdown
Secondo Svimez, il costo del lockdown pro capite medio è di 788 euro al mese nella media italiana: 951 euro al Centro-Nord, 473 al Sud.
Se quindi i dati per il Nord Italia appaiono più pesanti in virtù della maggiore gravità dell’emergenza sanitaria, secondo il rapporto il Sud rischia di incontrare maggiori difficoltà nella fase di ripresa, a causa della precedente lunga stagnazione che ne ha caratterizzato l’economia.
L’impatto sull’occupazione dipendente e indipendente
Impatto doloroso anche sull’occupazione. “Bloccati” dal lockdown il 34,3% degli occupati dipendenti e il 41,5% degli indipendenti, tenendo conto anche dei dati sommersi.
Al Nord, l’impatto sull’occupazione dipendente e al 36,7%, contro il 31,4% del Sud, un dato che riflette la diversa concentrazione territoriale delle aziende più solide. Il Meridione supera il Nord nell’impatto del lockdown sugli occupati indipendenti (42,7% contro 41,3% del Nord e del Centro), in virtù delle diverse caratteristiche del mercato del lavoro locale.
Quanti lavoratori indipendenti fermi
Secondo Svimez, sono fermi circa 2,5 milioni di lavoratori indipendenti: di questi, 1,2 milioni sono al Nord, 500mila al Centro e circa 800mila lavora nell’Italia meridionale. 2,1 milioni di questi sono lavoratori a partita iva o autonomi: 1 milione al Nord, oltre 400 mila al Centro e quasi 700 mila nel Mezzogiorno.
La perdita di fatturato complessiva di autonomi e partite iva è di oltre 25,2 miliardi: 12,6 al Nord, 5,2 al Centro e 7,7 nel Mezzogiorno. Per quanto riguarda il reddito operativo, si sono persi 4,2 miliardi di euro, 2,1 al Nord, quasi 900 milioni circa al Centro e 1,2 milioni nel Mezzogiorno.
Come incide il Decreto Cura Italia
Quanto al Decreto Cura Italia, risulta compensato solo il 30% delle perdite subite dai lavoratori autonomi. Il provvedimento genera, in rapporto al Pil, gli effetti maggiori al Sud (1,4% contro l’1,2% nel Centro-Nord). Tuttavia, in termini pro capite influisce maggiormente al Centro-Nord (372 euro pro capite contro i 251 nel Mezzogiorno).
Il Cura Italia “compensa” alle perdite economiche del Centro-Nord per il 40%, del Sud per il 50%. La maggiore precarietà del tessuto economico e lavorativo del Meridione, per il rapporto, rende più difficile assicurare forme adeguate di tutela. In particolare, ne restano del tutto privi circa 1,8 milioni lavoratori privati dipendenti, tra cui 800mila lavoratori domestici in tutta Italia, e circa 1 milione di lavoratori a termine, che, pur avendo lavorato in passato, non erano occupati il 23 febbraio.
Famiglie in difficoltà
Allarme anche per le famiglie, italiane e non solo. Come puntualizza un articolo pubblicato da Bankitalia, infatti, “la diffusa sospensione dell’attività economica causata dalle misure di contenimento adottate pressoché ovunque nel mondo inciderà significativamente sulla capacità delle famiglie europee di fare fronte autonomamente alle proprie esigenze economiche nelle settimane a venire”.
E in Italia e in Spagna, i Paesi più colpiti dalla pandemia, “il 40% delle famiglie risulta finanziariamente povero”.
I numeri delle domande di prestazione fornite dall’Inps
Altissimi i numeri indicati dall’Inps per quanto riguarda le domande per prestazioni previste dal decreto Cura Italia. Al 10 aprile, sono 4.535.278 per più di 8,8 milioni di beneficiari, così suddivise:
- indennità 600 euro: 3.991.554
- congedi parentali: 201.316
- Bonus baby sitting: 43.608
- CIGO: 198.000 domande per 2.896.000 beneficiari
- Assegno ordinario: 100.800 domande per 1.682.000 beneficiari.
Quanto ci vorrà per tornare alla normalità
E secondo lo studio ‘Shock epocale, imprese e lavoro alla prova della lock down economy’ di Confcooperative, occorreranno 2 anni per tornare ai livelli di Pil di gennaio 2020. E senza liquidità immediata, si rischia di perdere 1 milione di imprese.
La dimensione economica del “lockdown” rilevata dallo studio è di 1.321 miliardi di euro, che corrisponde al 42,4% del totale del fatturato dell’industria e dei servizi che complessivamente supera i 3.115 miliardi di euro. A rischio anche il 65,8 % dell’export, per un valore di 280 miliardi.