I cinque referendum sulla giustizia per cui si è votato domenica in Italia non hanno raggiunto il quorum e quindi sono stati bocciati, come era stato previsto nelle scorse settimane: l’affluenza è stata di circa il 21 per cento. Per tutti e cinque i quesiti hanno vinto i Sì, ma il mancato raggiungimento del quorum ha reso il risultato inutile.
I referendum riguardavano l’ordinamento giudiziario italiano, e alcuni argomenti specifici in materia di processo penale e di contrasto alla corruzione. Erano stati promossi da Lega e Radicali ed erano referendum abrogativi, cioè chiedevano l’abrogazione totale o parziale di leggi o atti con valore di legge esistenti.
Il primo quesito chiedeva di abrogare la legge Severino nella parte in cui prevede la sanzione accessoria dell’incandidabilità e del divieto di ricoprire cariche elettive e di governo dopo una condanna definitiva; il secondo chiedeva di ridurre i casi per cui è consentito il ricorso alle misure cautelari in carcere; il terzo chiedeva la separazione delle carriere dei magistrati, con l’idea di obbligarli a scegliere all’inizio della loro carriera se percorrere la funzione giudicante o requirente; il quarto chiedeva di introdurre la possibilità che negli organi che hanno il compito di valutare l’operato dei magistrati possano votare anche i membri non togati (ovvero avvocati e alcuni professori di materie giuridiche); e il quinto di abolire la raccolta delle firme per presentare la candidatura al Consiglio Superiore della Magistratura.
Non è sorprendente che i referendum sulla giustizia non abbiano raggiunto il quorum: i partiti politici nelle ultime settimane avevano fatto una campagna per il Sì e per il No piuttosto debole, persino quelli che avevano promosso i quesiti. Ma non sorprende anche alla luce di quanto accaduto in Italia negli ultimi vent’anni, in cui l’affluenza ai referendum abrogativi e l’interesse generale della popolazione sono andati sempre più diminuendo.
La bassa affluenza ai referendum sulla giustizia si spiega anche col fatto che i temi su cui gli elettori italiani dovevano esprimersi erano molto tecnici e di scarso interesse per molti. Tre quesiti referendari su cinque inoltre trattavano questioni contenute nella riforma della giustizia della ministra Cartabia che deve ancora essere votata al Senato (quelli che riguardano le modalità di elezione dei membri togati del CSM, le modalità di valutazione della professionalità dei magistrati e la separazione delle funzioni).