Ikea, gigante svedese del mobile low cost con tradizione di ottime relazioni sindacali in Italia, per la prima volta nella sua storia vedrà tutti i sei mila dipendenti dei 21 punti vendita, sabato 11 luglio prossimo, incrociare le braccia per lo sciopero nazionale indetto il sei luglio. Le sigle sindacali Filmcams Cgil, Fisacat Cisl e Uiltacs hanno ritenuto inaccettabili le proposte avanzate dall’azienda svedese al tavolo delle trattative per la ridefinizione del contratto integrativo, questione che era già in discussione da alcuni mesi. Non è il primo sciopero in assoluto perchè il sei giugno, a seguito della disdetta del contratto di secondo livello, ci furono già otto ore di mobilitazione gestite su base territoriale, ma effettuate pressoché all’unisono, cui si sono aggiunte alcune manifestazioni a livello locale, in particolare a Padova e a Bari. Filcams, spiega che dopo lo stop di giugno, non era venuta meno la disponibilità di sindacati e lavoratori a proseguire la trattativa sperando in un atteggiamento meno rigido da parte della multinazionale svedese. I nodi che finora hanno reso impossibile trovare la quadra sono tre: domenicali e festivi, premio aziendale, premio di partecipazione. Sul primo versante, l’azienda propone di passare dalle maggiorazioni previste dal vecchio integrativo ( 70 % per il domenicale e 120 % per il festivo ), a un nuovo sistema, che parta da una maggiorazione del 30 % e salga a seconda del numero di domeniche e festività lavorate dal singolo addetto. Proposta che le sigle giudicano irricevibile per un’azienda che su 6431 lavoratori, ha un tasso di incidenza del part-time pari al 70 % . Ikea vuole trasformare il premio aziendale attuale, fisso in un premio variabile. E in più punta a introdurre anche nel nostro paese l’Ikea Bonus Program, che valuti parametri quali vendite, margini, produttività e risultato operativo. Una delle cause di questo duro confronto fra Ikea e i sindacati è rappresentata dalla crisi, perché il fatturato in quattro anni è calato di 85 milioni, mentre dal 2012 a oggi il gigante svedese ha accumulato perdite per 52 milioni. Il tutto a dispetto di due nuove aperture di centri commerciali. L’idea del gruppo sembra essere insomma recuperare risorse dalla contrattazione per tornare a investire sullo sviluppo, ma con i sindacati è calato il gelo. La nota ufficiale dell’azienda svedese è lapidaria: “L’intransigenza del sindacato non contribuisce a una prospettiva positiva del confronto avviato”, perché va sottolineato che Ikea, in questi anni difficili per tutti non ha chiuso punti vendita né licenziato, come invece è capitato ad altri player del settore. Secondo Giuliana Messina di Filcams, “ l’azienda sembra non accontentarsi più dei profitti da favola garantiti dalla propria formula di holding franchising e fondazioni varie, ma vuole che a finanziare il proprio sviluppo siano i sacrifici dei suoi stessi dipendenti”. Tutto lascia presagire a una grande partecipazione allo sciopero di lunedì, e un ritorno infuocato al tavolo di trattativa, il prossimo 22 luglio.
Fabio D’Amora