Il decreto Dignità e il ruolo sempre più marginale del lavoro a tempo indeterminato

Il ‘Decreto Dignità’ ha come bersaglio principale il lavoro a termine, visto come fonte d’insicurezza per il futuro di milioni di giovani. Secondo il governo la soluzione sta nei disincentivi alle imprese, attraverso l’imposizioni di vincoli e forti penali in termini contributivi. Questo ha generato uno scontro durissimo con Confindustria, con toni durissimi e slogan tali da far rivivere gli anni 70 e le lotte operaie.Il tempo determinato si è diffuso non solo nell’industria, ma soprattutto nei servizi e riguarda anche la pubblica amministrazione. E’ in rapida diffusione in Francia, Olanda, Paesi del Nord Europa, in Spagna e in Portogallo. Intorno a questo stanno nascendo nuove figure professionali che svolgono il loro lavoro attraverso piattaforme online e spesso da casa.L’UE sostiene che il 2% della popolazione adulta sia coinvolta in questo tipo di attività.I maggiori esperti del settore spiegano che il lavoro a tempo indeterminato è destinato ad avere un ruolo sempre più marginale nel mercato occupazionale del futuro. Certo vanno contrastai gli abusi e le degenerazioni, ma occorre farlo in base a conoscenze dettagliate di pratiche e contesti, non con l’uso di decreti che fanno di ogni erba un fascio.Per quei settori ove è ancora possibile il passaggio dal lavoro a termine a quello indeterminato, forti vincoli e le penali rischiano di diventare un pessimo rimedio, scoraggiando le assunzioni. Gli argini alla precarietà vanno costruiti altrove. E’ lo stato sociale che deve farsi carico di questo problema.Esso è nato per dare sicurezza ai bisogni dei cittadini/lavoratori, ma nel tempo ha perso smalto, rimanendo ancorato ai rischi tipici della società industriale. La sfida è quella di rimettere le politiche sociali in sintonia con l’economia dell’era post-industriale. In un contesto del genere, totalmente rinnovato e adattato alle nuove esigenze di un mercato post-industriale, i giovani non avrebbero più la sensazione di insicurezza e paura del futuro. Un welfare del genere è già realtà, non solo nei Paesi scandinavi, ma anche in Francia, in Olanda e incomincia ad affermarsi anche in Germania. Questo è l’unico viatico contro l’insicurezza.Il nuovo modello di stato sociale deve progressivamente dare addio al apporto di lavoro e al finanziamento contributivo.Nel nostro Paese la sfida è difficile , ma ci sono margini di manovra soprattutto tramite strategie di riordino dell’attuale situazione: dalla moltitudine delle prestazioni assistenziali alle detrazioni fiscali; da una maggiore partecipazione dei ceti benestanti all’uso saggio dell’elevato risparmio privato.Il cosiddetto reddito di cittadinanza se ben designato potrebbe essere un tassello di questo puzzle.Del tutto illusorio e ingannevole sarebbe la riforma delle pensioni su larga scala.Di sicuro il mercato del lavoro del passato non tornerà, quello futuro sarà sempre più caratterizzato da rischi e da opportunità diversi da quello precedente. Siamo difronte ad una sfida epocale che riguarda tutti, cittadini e imprese, per cui va governata da una classe politica accorta e competente, responsabile e scevra da affanni di ricercare ad ogni costo consenso elettorale, perché condurrebbe solo all’improvvisazione, senza nessun risultato, se non quello di peggiorare di più l’esistente.

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