“Il destino ci sfida. L’Italia farà la sua parte”: l’intervento di Meloni all’Assemblea dell’Onu

“L’Italia, come sempre, è pronta a fare la sua parte”. Giorgia Meloni lo ha ribadito al termine del suo intervento alla 79esima Assemblea Generale dell’Onu, durante il quale ha ripercorso le circostanze cruciali di questo “tempo difficile”, avvertendo che “il destino ci sfida” e rilanciando quell’esortazione all’azione che era stata anche al centro del discorso al “Vertice del Futuro” di lunedì. “Affrontare i problemi piuttosto che rinviarli, avanzare piuttosto che indietreggiare, preferire ciò che è giusto a ciò che è utile, questo – ha detto il premier all’assemblea delle Nazioni Unite – è il nostro compito, difficile ma necessario”.

Il testo integrale dell’intervento di Giorgia Meloni all’Assemblea generale dell’Onu

Signor Presidente, signor Segretario Generale, colleghi delegati, signore e signori, 

è un’epoca molto complessa quella nella quale viviamo, e il carattere comune delle sfide del nostro tempo ci impone di ragionare in un modo completamente nuovo. 

La ferita inferta al sistema internazionale fondato sulle regole dalla guerra d’aggressione russa all’Ucraina sta avendo effetti destabilizzanti molto oltre i confini nella quale si consuma, e come un domino sta contribuendo a riaccendere, o far detonare, altri focolai di crisi.

I sistemi politici democratici affrontano insidie inedite. La frammentazione geo-economica cresce con conseguenze con le quali tutti dobbiamo fare i conti, ma soprattutto devono farci i conti le Nazioni più fragili.  

Il cammino per la riduzione delle emissioni ambientali è ad un bivio, stretto tra approcci ideologici e scarsa solidarietà, soprattutto dei principali emettitori di gas a effetto serra. 

La scarsità di acqua e di energia incidono sempre più profondamente sullo sviluppo, sulla sicurezza alimentare, sulla stabilità sociale e di intere comunità. 

L’utilizzo strumentale della fede religiosa diventa fattore di tensione o, peggio, fattore di persecuzione: sono milioni nel mondo le persone che soffrono a causa della loro professione di fede, e al primo posto come vittime ci sono i cristiani. 

Assistiamo al dirompente avvento dell’intelligenza artificiale generativa, una rivoluzione che pone interrogativi del tutto inediti. Anche se non sono certa che dovremmo chiamarla intelligenza: intelligente è chi fa le domande, non chi dà le risposte processando i dati. In ogni caso, si tratta di una tecnologia che, a differenza di tutte quelle che abbiamo visto nel corso della storia, disegna un mondo nel quale il progresso non ottimizza più le competenze umane, ma può sostituirle, con conseguenze che rischiano di essere drammatiche soprattutto nel mercato del lavoro, verticalizzando, concentrando ancora di più la ricchezza. Non a caso l’Italia ha voluto che questo tema fosse al centro della sua presidenza del G7, perché vogliamo fare la nostra parte nella definizione di una governance globale dell’intelligenza artificiale, che sia capace di conciliare innovazione, diritti, lavoro, proprietà intellettuale, libertà di espressione, democrazia. 

Questa complessità, animata da sfide che sono profondamente interconnesse tra loro, ci dice prima di tutto una cosa: i problemi cosiddetto del Sud Globale sono anche i problemi del Nord del mondo, e viceversa. Non esistono più blocchi omogenei, e l’interdipendenza dei nostri destini è un fatto. Per questo siamo chiamati a ragionare fuori dagli schemi che abbiamo conosciuto nel passato. 

La sfida è un cambio deciso di paradigma nei rapporti tra le Nazioni e nel funzionamento degli organismi multilaterali e l’obiettivo è costruire un modello di cooperazione completamente nuovo. 

Personalmente sono convinta che questo nuovo modello possa e debba fondarsi su alcuni principi, purtroppo non scontati: il rispetto reciproco, la concretezza, la condivisione. Significa relazionarsi con l’altro da pari a pari, recuperare quella capacità di saper ascoltare per comprendere le ragioni dell’altro che è alla base di qualsiasi fiducia reciproca. 

E proprio perché crediamo in questo approccio, l’Italia ha concepito tutti gli appuntamenti del suo anno di Presidenza G7 in formato aperto, con un outreach molto ampio, che ha coinvolto tutti i Continenti, il G20, l’Unione Africana, le Istituzioni economiche-finanziarie e le Banche multilaterali di sviluppo. Abbiamo dimostrato che il G7 non è una fortezza chiusa, che vuole difendersi da qualcuno, ma un’offerta di valori aperta al mondo. 

Penso poi alla svolta che l’Italia ha impresso, particolarmente ai propri rapporti con il continente africano. Abbiamo reso operativo, a livello bilaterale, il nostro piano di investimenti per l’Africa, il Piano Mattei, con progetti pilota in nove Nazioni del continente, creando partenariati strategici con ognuna di queste Nazioni. Abbiamo strutturato sinergie operative con il Global Gateway dell’Unione europea e la Partnership for Global Infrastructure and Investment del G7. 

Abbiamo costruito strumenti finanziari nuovi con la Banca Africana di Sviluppo e con la Banca Mondiale, per permettere l’afflusso di risorse pubbliche e private. Abbiamo immaginato soluzioni innovative, come l’Apulia Food Security Initiative, per rafforzare la produzione agricola e la sicurezza alimentare, o l’Energy for Growth in Africa, per sostenere la produzione e la distribuzione di energia pulita. Abbiamo deciso di sostenere progetti strategici per l’Africa, come il corridoio di Lobito.

Abbiamo fatto tutto questo senza mai smettere di coinvolgere e confrontarci con i nostri interlocutori africani. Perché il nostro intento non è imporre, ma è condividere. E, insieme, scegliere priorità, settori di intervento, ambiti di azione. Dove potevamo essere un valore aggiunto, allora lì abbiamo offerto il nostro punto di vista e la nostra collaborazione. Con progetti concreti che già stanno dando i loro frutti. In Algeria, dove renderemo fertili 36 mila ettari di terreno desertico per la coltivazione, costruiremo una filiera locale di trasformazione e produzione. In Kenya, con lo sviluppo di una filiera di biocarburanti che arriverà entro la fine del 2025 a sostenere fino a duecentomila piccole imprese agricole. In Etiopia, con un vasto intervento di recupero ambientale dell’area del lago Boye, nell’ovest del Paese. 

Perché, voglio ribadirlo ancora una volta, il nostro obiettivo, di fronte a decine di migliaia di persone che affrontano viaggi disperati per entrare illegalmente in Europa, è garantire prima di tutto il loro diritto a non dover emigrare, a non dover recidere le proprie radici semplicemente perché non hanno altra scelta. 

Una disperazione sulla quale lucrano organizzazioni di criminali senza scrupoli sempre più potenti, sempre più ramificate. Proposi un anno fa, da questo stesso podio, di dichiarare una guerra globale ai trafficanti di esseri umani, e sono felice che quell’appello non sia caduto nel vuoto, e che in primis a livello G7 si sia trovata l’intesa per dare vita ad un coordinamento internazionale per smantellare queste reti criminali. Ma bisogna fare di più. Le Nazioni Unite devono fare di più, perché queste organizzazioni criminali stanno riproponendo, sotto altre forme, una schiavitù – intesa come mercificazione dell’essere umano – che questa Assemblea, in altri tempi, ebbe un ruolo fondamentale nel debellare definitivamente. Non si torna indietro. 

Sconfiggere gli schiavisti del Terzo millennio è possibile, e possiamo farlo se uniamo le forze, con una maggiore cooperazione e con iniziative congiunte tra le nostre Forze di polizia, i servizi di intelligence e le autorità giudiziarie, adottando la formula “follow the money”. Una intuizione di due grandi giudici italiani, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che è diventata un modello, anche a livello internazionale, per contrastare le organizzazioni criminali. 

È un metodo con il quale l’Italia intende rafforzare la sua cooperazione anche con le Nazioni dell’America Latina. 

Perché c’è un filo rosso che lega le organizzazioni che speculano sulla tratta di esseri umani in Africa e chi gestisce il traffico di stupefacenti in America Latina, o l’abominio di chi rapisce i bambini per renderli schiavi del sesso di uomini ricchi senza scrupoli, privandoli del loro presente e del loro futuro. 

America Latina dove, come purtroppo accade in diverse regioni del mondo, le legittime aspirazioni di libertà e democrazia di decine di milioni di persone continuano a rimanere disattese. Penso in particolare al popolo venezuelano, a cui va tutta la nostra solidarietà e il nostro sostegno. La comunità internazionale non può rimanere a guardare mentre, a distanza di quasi due mesi dalle elezioni del 28 luglio scorso, ancora non è stato riconosciuto il risultato elettorale, ma nel frattempo si è consumata una brutale repressione, la morte di decine di manifestanti, l’arresto arbitrario di migliaia di oppositori politici, l’incriminazione e l’esilio del candidato presidente dell’opposizione democratica. È nostro dovere alzare la voce.  

Cari amici, nel 2025 celebreremo l’ottantesimo anniversario della Carta delle Nazioni Unite. Carta che sancisce principi e valori che in questo tempo sono stati messi in discussione addirittura da un membro permanente del Consiglio di sicurezza, ma sulla cui difesa l’Italia non intende arretrare. Perché sono principi e valori posti a garanzia di tutti, soprattutto delle Nazioni che hanno meno strumenti per difendersi. Come sempre la legge deve essere uguale per tutti, ma perché questo serve soprattutto a difendere i più deboli. 

È per questo che non possiamo voltarci dall’altra parte di fronte al diritto dell’Ucraina a difendere le sue frontiere, la sua sovranità, la sua libertà. Così come affermiamo il diritto dello Stato di Israele di difendersi da attacchi esterni, come quello orribile del 7 ottobre scorso, ma allo stesso tempo chiediamo ad Israele di rispettare il diritto internazionale, tutelando la popolazione civile, anch’essa in gran parte vittima di Hamas e delle sue scelte distruttive. 

E seguendo lo stesso ragionamento sosteniamo, ovviamente, anche il diritto del popolo palestinese ad avere un proprio Stato. Ma affinché questo possa vedere presto la luce è necessario che i palestinesi lo affidino a una leadership ispirata al dialogo, alla stabilizzazione del Medio Oriente e all’autonomia. 

Gli Accordi di Abramo hanno dimostrato la possibilità di convivere e cooperare vantaggiosamente sulla base del mutuo riconoscimento. Se questa è la prospettiva sulla quale tutti dobbiamo lavorare, e lo è, oggi l’imperativo è raggiungere, senza ulteriori ritardi, un cessate il fuoco a Gaza e l’immediato rilascio degli ostaggi israeliani. Non possiamo più assistere a tragedie come quelle di questi giorni nel Sud e nell’Est del Libano, con il coinvolgimento di civili inermi, tra cui numerosi bambini.

Detto questo, l’anniversario del prossimo anno impone a tutti noi un’occasione storica. Essere finalmente consapevoli che, piaccia o no, i problemi di oggi ci coinvolgono e ci riguardano tutti. 

Dobbiamo saperci mettere in discussione, con umiltà e consapevolezza. E questo impone anche una riflessione seria sul multilateralismo, sulla capacità delle organizzazioni internazionali di essere all’altezza di questa epoca e delle sfide che ci pone di fronte. Parlo ovviamente, anche delle Nazioni Unite, della sua capacità di riformarsi partendo da ciò che è utile e necessario, e non da ciò che è più facile. 

L’Italia è convinta che qualsiasi revisione dell’architettura di funzionamento delle Nazioni Unite, a partire dal Consiglio di Sicurezza, non possa prescindere dai principi di eguaglianza, democraticità, rappresentatività. Sarebbe un errore creare nuove gerarchie, con nuovi seggi permanenti. Siamo aperti a discutere la riforma senza alcun pregiudizio, ma vogliamo una riforma che serva a rappresentare meglio tutti, non a rappresentare meglio alcuni. 

Colleghi, delegati, signore e signori, è un tempo difficile quello nel quale siamo stati chiamati a governare le nostre Nazioni. Tutto intorno a noi sembra cambiare, tutto viene messo in discussione, e le poche certezze che pensavamo di avere non sono più tali. Il destino ci sfida, ma in fondo lo fa per metterci alla prova. Nella tempesta, noi possiamo dimostrare di essere all’altezza del compito che la storia ci ha dato. Dimostrarlo ai cittadini che governiamo, dimostrarlo ai nostri figli. Dimostrarlo a noi stessi, forse soprattutto a noi stessi, perché come diceva un grande patriota italiano, Carlo Pisacane, protagonista di quel Risorgimento che fece dell’Italia una Nazione unita, “ogni ricompensa la troverò nel fondo della mia coscienza”. 

Affrontare i problemi piuttosto che rinviarli, avanzare piuttosto che indietreggiare, preferire ciò che è giusto a ciò che è utile, questo è il nostro compito, difficile ma necessario. 

L’Italia, come sempre, è pronta a fare la sua parte. 

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