“Il Dio dei nostri padri” di Aldo Cazzullo

Il Dio dei nostri padri. Il grande romanzo della Bibbia

di Aldo Cazzullo

HarperCollins

«Dio torna a manifestarsi. A parlare agli uomini. A prendersene cura. E sceglie Mosè. Gli appare nel deserto e nella solitudine. Mosè è andato a pascolare il gregge sul monte di Dio, qui chiamato Oreb, più avanti Sinai. Resta colpito da un roveto che arde senza consumarsi, e si avvicina. In quel roveto c’è Dio; che è ovunque, ma in quel particolare momento è lì, tra le spine, come a partecipare al dolore del suo popolo.

Il Signore grida dal roveto: «Mosè, Mosè!». Lui risponde come i suoi padri: «Eccomi!». E il Signore dice: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe. Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è santo». Mosè allora si copre il volto, perché ha paura di guardare Dio.

E Dio gli affida una missione. Ha udito il grido di dolore degli Ebrei, ed è sceso per liberarli dall’Egitto e condurli in una terra dove scorrono latte e miele: «Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto come gli Egiziani li opprimono. Perciò va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo!».

Come quasi sempre accade di fronte a una manifestazione divina, a un cambiamento repentino, a un compito che pare impossibile, Mosè si spaventa, esita, recalcitra. Il più grande dei profeti tenta più volte di sottrarsi alla missione che Dio vuole affidargli. Gli Egiziani l’hanno condannato a morte, gli Ebrei l’hanno scacciato, lui vive in terra straniera: come può pensare di trovare credito, presso il faraone e davanti alla sua stessa gente?

L’obiezione di Mosè è del tutto giustificata: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Mi diranno: qual è il suo nome? E io che cosa risponderò?».

Mose chiede in sostanza a Dio: tu chi sei, e come ti chiami?

Il Dio dei nostri padri. Il grande romanzo della Bibbia

Cazzullo, Aldo (Autore)

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Qui Dio pronuncia una delle sue frasi più enigmatiche, almeno all’apparenza. Dice a Mosè: «Io sono chi sono».

Questa frase è forse il più grande mistero della Bibbia, uno dei più affascinanti nella storia dell’umanità. La frase in ebraico è ’ehyè ’ashèr ’ehyè, di solito tradotta “io sono colui che sono”; ma “io sono chi sono” mi pare più diretta, immediata.

Ma perché Dio è così sfuggente? Perché dà questa risposta così ellittica, all’apparenza vaga, una non-risposta?

Dio in sostanza non vuole essere chiamato per nome. Ormai non ci facciamo caso; ma anche nel cristianesimo non c’è un nome proprio per indicare Dio, lo chiamiamo Dio e basta. Questo perché i nomi servono a distinguere un essere da un altro. Ma se Dio è uno solo, non ha bisogno di un nome proprio. È Dio, e basta. Non può essere raggiunto, toccato, conosciuto; ma può essere riconosciuto come origine del mondo, padre di ogni creatura, motore della storia.

Dio è stato quel che è stato, è quel che è, sarà quel che sarà: non è semplicemente un idolo più forte di quello del faraone; è in eterno divenire ed è sempre se stesso. È un fatto ed è un progetto. È sempre oltre a dove noi lo cerchiamo. Per questo possiamo costruire con lui un futuro di liberazione; perché non è solo il Dio della libertà, è un Dio libero.

(A dire il vero, per gli ebrei Dio un nome ce l’ha; ma non è pronunciabile. È composto da quattro consonanti, JHVH: da qui Yahweh, nome che comunque non si dice mai, e nelle letture ad alta voce viene sostituito da Adonai, Signore, o anche solo Hashem, il Nome).»

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