Giorgia Meloni annuncia la sua candidatura dopo aver ripercorso la lunga cavalcata del governo alla guida di un Paese che, da un anno e mezzo, ha ritrovato prospettive di crescita e stabilità. Ma, ha aggiunto la premier in calce: «È arrivato il momento di alzare la posta, facciamolo ancora l’8 e 9 giugno insieme, cambiamo l’Europa. Non mi interessano i sondaggi, non mi interessano le ricostruzioni interessate degli osservatori. Mi interessa solo il giudizio dei cittadini ed è un giudizio che rispetto e rispetterò sempre», conferma dal palco.
Ma, aggiunge anche, «non toglierò un solo minuto all’attività di governo per fare campagna elettorale: il mio compito è risolvere i problemi della Nazione, e questo intendo farlo anche in campagna elettorale». E «siccome non sono la segretaria del Pd – ha ironizzato il presidente del Consiglio – confido che il partito farà del suo meglio per darmi una mano». Allora, partendo dalle ultime parole pronunciate dal palco di Pescara, la Meloni ha chiosato con un invito rivolto agli elettori: «Chiedo agli italiani di scrivere il mio nome, ma il mio nome di battesimo» alle europee. Vediamo allora, tra traguardi del governo e missione Europa, i dieci punti chiave del discorso di Giorgia Meloni, a partire dall’annuncio finale della sua candidatura alle europee.
1) Sempre stata fiera di essere una persona del popolo. «La sinistra mi ha spesso deriso per le mie radici popolari, mi hanno definito “pesciarola”, “borgatara”, “fruttivendola”. Sì perché loro sono colti e si vede bene da questa loro capacità di argomentare. Ma al di là di questo, quello che non hanno capito è che io sono sempre stata, sono e sarò sempre fiera di essere una persona del popolo. Quindi, se volete dirmi che ancora credete in me, mi piacerebbe lo faceste scrivendo sulla scheda elettorale semplicemente “Giorgia”. Perché io sarò sempre una di voi. Una persona alla quale dare del tu, senza formalismi e senza distanza. Perché questo difficilissimo ruolo non mi cambierà. Il potere non mi imbriglierà; il palazzo non mi isolerà. Ho bisogno, ancora una volta, di sapere che ne vale la pena».
Ma l’incipit del discorso ha riguardato altre peculiarità, altre capacità da sottolineare e difendere dagli assalti scomposti del mainstream. «Grazie, grazie, grazie davvero per questo entusiasmo. E grazie ancora di più per queste stupende giornate, che mi hanno resa orgogliosa di guidare la nostra comunità politica». «Manifestazioni come queste dimostrano la qualità di quella classe dirigente. A tutti quelli che si dilettano a pontificare e a scrivere sul fatto che la Meloni sia da sola, che non abbia intorno a sé persone capaci, ecco una splendida diapositiva di risposta».
«Abbiamo visto per anni partiti che una volta arrivati al governo smettevano di fare politica, e si dedicavano alla mera gestione del potere. Noi no. Perché a noi non interessa alcun potere che non serva come strumento per migliorare la vita delle persone. E per farlo sappiamo che non dobbiamo smettere mai di elaborare, di metterci in discussione. Di confrontarci (e consentitemi di ringraziare le moltissime personalità che hanno accettato l’invito a portare il loro punto di vista in questi tre giorni). Gli incarichi di governo, come il partito, sono solo un mezzo, non sono mai un fine. O almeno non sono mai il nostro fine. Il potere non sarà mai qualcosa a cui guardare con bramosia, ma sempre con diffidenza. L’unica cosa alla quale ci appassioneremo sempre sono i principi nei quali crediamo e la realtà che vogliamo costruire».
Dalle passate elezioni europee del 2014, passando per quelle del 2019, «ci avevamo messo 6 anni ad arrivare al 6,5%, e ce ne abbiamo messi tre a trasformare quel sei e mezzo in un ventisei e mezzo, il risultato che nel 2022 ha portato il centrodestra al governo, trascinato proprio dal consenso di Fratelli d’Italia – il movimento dei patrioti italiani, il grande partito dei Conservatori – primo partito d’Italia. Ho voluto ricordare alcune delle tappe di questo percorso straordinario non per retorico esercizio di auto-compiacimento o auto-esaltazione… no. L’ho voluto fare per ricordare a me stessa e a tutti noi che quello che abbiamo costruito finora non è frutto del caso. Nessuno ci ha confezionato un partito, nessuno ci ha telefonato per proporci di guidare il Governo della Nazione. Ci siamo conquistati ogni centimetro con fatica, studio, sacrificio. Non è stata fortuna, è stata ostinazione».
«Anche perché quei milioni di italiani si sono rifiutati di credere alle menzogne e alle previsioni apocalittiche della sinistra e dei suoi menestrelli. L’isolamento internazionale, lo sfascio dei conti pubblici, il crollo dei mercati… Ce lo ricordiamo bene il campionario di balle spaziali che hanno propagandato in lungo in largo, dentro e fuori i confini nazionali. Lo hanno fatto prima per provare a evitare la sconfitta elettorale, e poi per provare a ostacolare l’operato del Governo, anche a rischio di danneggiare l’Italia. Non ha funzionato nel primo caso, non sta funzionando nel secondo».
«Un anno e mezzo e tanto tanto lavoro dopo, possiamo così finalmente dire, con tanto orgoglio, che l’Italia è tornata! E’ tornata, protagonista in Europa, in Occidente, nel Mediterraneo, dopo gli anni del servilismo della sinistra e del cerchiobottismo dei Cinquestelle. È tornata l’Italia che rispetta i suoi impegni internazionali. Che viene guardata con rispetto perché ha il coraggio di prendere le decisioni giuste, anche quando non sono popolari, come quella di sostenere il popolo ucraino che combatte per la propria libertà e contro l’imperialismo neo-sovietico di Putin».
«Lo facciamo perché noi non siamo nostalgici dell’unione sovietica, lo facciamo perché siamo convinti che farlo sia nell’interesse nazionale italiano. E lo facciamo soprattutto perché vogliamo la pace. Ma la pace si costruisce con la deterrenza, non con le bandierine colorate sventolate in piazza, e neanche con il cinismo di chi scrive nel proprio simbolo la parola “pace” solo per provare a raccattare qualche voto sulla pelle di una Nazione sovrana aggredita, di un popolo martoriato, e sulla pelle della credibilità della Nazione che dice di voler rappresentare».
La presidenza italiana del G7 e Papa Francesco ospite. È tornata l’Italia nel Mediterraneo, ancora meglio nel Mediterraneo allargato, da sempre l’ambito più vicino e naturale della nostra proiezione geopolitica, eppure un ambito incredibilmente dimenticato per molto tempo. È tornata l’Italia in Africa, ed è stata capace di fare da apripista a un approccio non più predatorio e paternalistico verso le nazioni di questo continente, un approccio al quale ora tutti, grazie a noi, guardano con crescente interesse. Ed è tornata, l’Italia, nei grandi consessi internazionali, dove sempre di più facciamo valere la nostra voce nelle drammatiche crisi che stiamo vivendo, non rinunciando mai a porre sul tavolo temi sfidanti, come abbiamo fatto e continueremo fare nell’anno della presidenza italiana del G7».
L’innovazione tecnologica. «Tra qualche settimana accoglieremo i leader in Puglia e quella sarà l’ennesima occasione per ribadire la ritrovata centralità della nostra Nazione sullo scenario globale. Accoglieremo lì anche il Santo Padre, Papa Francesco, che parlerà ai leader nella sessione dedicata all’intelligenza artificiale, la prima volta nella storia di un Pontefice che partecipa al G7. Perché tra le molte sfide enormi che siamo chiamati ad affrontare, c’è anche quella di un’innovazione che per la prima volta nella storia dell’umanità rischia di mettere a repentaglio la centralità dell’uomo. E noi dobbiamo interrogarci su come questo fenomeno si possa governare, cogliendone le opportunità e limitandone i rischi. Insomma, lasciamo che siano altri a parlare di com’era il mondo ottant’anni fa, a noi interessa parlare di come sarà tra ottant’anni, anche grazie a quello che sapremo fare oggi.
Il ruolo dell’Italia in Europa. «È tornata, l’Italia, soprattutto in Europa. Avevamo promesso un’Italia a testa alta, senza complessi di inferiorità, capace di farsi ascoltare e di battersi per vedere riconosciute le proprie buone ragioni. Un’Italia consapevole del suo ruolo di Stato fondatore, della sua storia, della sua arte che è la prima d’Europa, della sua manifattura che è la seconda d’Europa, della sua economia che è la terza d’Europa. Un’Italia che ha ritrovato, pur in un contesto complesso, la sua stabilità e la sua solidità economica. Tanto che anche gli osservatori più severi sono costretti a prendere atto della ritrovata solidità della nostra economia e della serietà con la quale il nostro Governo sta gestendo i conti pubblici».
«Dall’insediamento del nostro governo a oggi lo spread è sceso di oltre 100 punti base, da 236 a 131, tanto perché doveva schizzare a 600 punti nei sogni antinazionali dei nostri detrattori. La borsa fa registrare numeri record, il debito sta tornando nelle mani degli italiani grazie al grande successo di Btp Valore e l’acquisto di titoli italiani registra numeri record anche sui mercati internazionali. Ma è l’andamento del mercato del lavoro quello che mi rende più orgogliosa: in questi mesi gli occupati sono cresciuti di oltre mezzo milione, abbiamo toccato il record di occupazione e di occupazione femminile, i contratti stabili aumentano e la precarietà e la disoccupazione diminuiscono. Non vuol dire che vada tutto bene, ma che le cose vanno meglio di prima, che siamo più credibili di prima, più stabili di prima, più seri di prima, e oggi si guarda all’Italia con interesse e curiosità, e non più con quell’atteggiamento altezzoso che per troppi anni ci era stato riservato».
«Lo abbiamo fatto, per esempio, sull’immigrazione. Se oggi l’Unione Europea non parla più di accoglienza indiscriminata, ma parla soprattutto di lotta ai trafficanti di esseri umani, di protezione dei confini esterni, di rimpatri e di accordi con i Paesi terzi per fermare le partenze, di esternalizzazione delle procedure di asilo, di regole più stringenti per le ONG, è grazie a ciò che ha fatto l’Italia da quando noi siamo al Governo. È nato così, sotto la fortissima spinta del nostro governo, l’accordo tra Ue e Tunisia. E oggi, grazie a questo accordo, le partenze sulla rotta del Mediterraneo centrale sono diminuite del 60% e sono stati arrestati dalle autorità tunisine quasi mille scafisti. Lo stesso modello oggi è in fase di realizzazione anche con l’Egitto, una Nazione fondamentale anche per stabilizzare la Libia».
L’Europa, che con il regno di Danimarca fu la prima al mondo ad abolire la tratta di schiavi nel 1792, non può chiudere gli occhi di fronte al ritorno di quella tratta quasi 250 anni dopo. Porteremo questo tema anche al G7, dove il nostro obiettivo dichiarato è di arrivare a costruire un’alleanza globale contro i trafficanti di esseri umani, seguendo gli stessi insegnamenti che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ci hanno lasciato in tema di lotta alla mafia. Follow The money, dicevano, bisogna seguire i soldi. Attaccare i trafficanti al cuore, che sono le centinaia di milioni di euro che stanno collezionando sfruttando la disperazione. Ci dicano gli altri, una volta per tutte, da che parte vogliono stare. Ci dica, con chiarezza, la segretaria del PD Elly Schlein se come noi stanno dalla parte della legalità e della lotta agli schiavisti del terzo millennio o piuttosto dalla parte dell’immigrazione illegale di massa che fa la fortuna di quelle reti criminali».
«Noi vogliamo codificare il diritto a non dover migrare, a non dover recidere le proprie radici e a trovare nella propria terra le condizioni per costruire la propria realizzazione personale e poter contribuire allo sviluppo della propria Nazione. Ce lo chiedono anche molti patrioti africani, consapevoli che il futuro dell’Africa non può essere la migrazione di massa in Europa dei suoi migliori giovani. È quello che intendiamo fare con il Piano Mattei per l’Africa. Questa è vera solidarietà, questa è vera cooperazione allo sviluppo, questo vuol dire aiutare i popoli africani a crescere e a prosperare».
«Intendiamoci, noi siamo conservatori e tra le cose che vogliamo conservare e trasmettere ai nostri figli, più sana e più bella possibile, c’è proprio la natura. Non c’è ecologista più convinto di un conservatore. Perché ecologia viene dalla parola greca “oikos”, casa. Per i conservatori di ogni latitudine la casa è sinonimo di Patria, è il luogo che custodisce la famiglia, il pilastro su cui si poggia il comune destino che ci lega». «È per questo che ci siamo battuti, e continueremo a farlo, contro le follie ideologiche che abbiamo visto in questi anni, come quella del divieto di produrre auto a diesel e benzina dal 2035. Anche qui, nessuno nega che l’elettrico possa essere una parte della soluzione per la de-carbonizzazione dei trasporti, ma io nego che possa essere l’unica, perché sostenere il contrario è semplicemente un’idiozia. E diventa un’idiozia suicida se si considera che l’elettrico oggi viene prodotto soprattutto da nazioni che non rispettano alcun vincolo ambientale».
«Noi vogliamo difendere e riaffermare il principio della neutralità tecnologica. Sembra una questione tecnica e difficile, ma non lo è: significa banalmente che una volta fissati gli obiettivi di riduzione delle emissioni, l’Europa deve fermarsi lì, e lasciare che che siano la ricerca e il mercato, le aziende, a sviluppare le tecnologie più pulite, e gli Stati Membri, anche in base al proprio modello sociale e al proprio mix energetico, a decidere come raggiungere quegli obiettivi. Perché mentre salviamo l’ambiente noi vogliamo salvare anche migliaia di imprese e posti di lavoro che qualcuno reputa sacrificabili in nome della transizione verde. Un conservatore non sacrifica la natura, ma neanche l’uomo. Insomma, noi vogliamo un approccio pragmatico, non ideologico e non dirigista, aperto al mercato e all’innovazione. Sono gli stessi principi che abbiamo difeso quando ci siamo battuti contro la direttiva sulle case green».
«Tornando all’Europa, voglio ricordare anche il lavoro straordinario che abbiamo fatto per modificare il cosiddetto “regolamento imballaggi”, altra cosa che sembra lontana dalla vita delle persone ma che avrebbe messo a repentaglio il 25% del PIL italiano, travolgendo intere filiere produttive. Qualcuno a Bruxelles si era inventato che, dopo aver spinto per anni, e correttamente, sul riciclo dei rifiuti, ora si dovesse passare di punto in bianco al riuso». «Grazie all’impegno dei nostri europarlamentari, grazie all’impegno delle associazioni di categoria e al lavoro diplomatico del governo siamo riusciti in un’impresa che all’inizio pareva impossibile e che oggi ci dà la possibilità invece di continuare a fare economia circolare senza distruggere le nostre aziende».
«Abbiamo difeso le nostre auto, le nostre case, intere filiere della nostra economia. E abbiamo difeso i nostri agricoltori. Perché uno dei grandi nemici dei “talebani verdi”, in questi anni, è stata proprio l’agricoltura». «Abbiamo preteso che venisse scritto chiaramente in etichetta se un alimento contiene farine di grilli e insetti vari. Abbiamo fatto da apripista sulla battaglia contro la carne sintetica. E mentre la sinistra italiana ci derideva altre 20 nazioni europee si schieravano con noi. Quando si dice “non ci hanno visto arrivare”. Siamo riusciti a bloccare il Nutriscore, il surreale sistema di etichettatura a semaforo che avrebbe penalizzato le nostre eccellenze».
«Abbiamo difeso il nostro vino da chi voleva etichettarlo come dannoso per la salute, senza distinzione tra uso e abuso, perché quella si deve fare sulle droghe ma non sul vino. Ci siamo battuti contro le norme sulle emissioni che volevano equiparare gli allevamenti alle fabbriche. Abbiamo ottenuto importanti modifiche alle norme più ideologiche della Politica Agricola Comune, quelle che premiavano chi decideva di non coltivare anziché sostenere chi, producendo, e garantiva la nostra sicurezza alimentare».
Al nostro eccezionale tessuto produttivo abbiamo dedicato una parte importante, ben 12 miliardi, del PNRR. Risorse che siamo riusciti a liberare grazie alla nostra costanza e nonostante chi remava contro l’Italia». «Oggi siamo, invece, la Nazione più avanti in Europa per rate erogate e progetti presentati. Non siamo più l’Italia che non sa spendere i soldi europei. Ora siamo l’Italia alla quale altri governi chiedono aiuto per riuscire a spendere le risorse europee. Un’altra scommessa persa dai gufi e vinta dall’Italia».
«Insomma, possiamo difendere i nostri interessi nazionali in Europa, e dico di più: nel difendere quegli interessi, che sono comuni a quelli di molte altre nazioni in Europa, potremmo cambiare e rafforzare il ruolo dell’intero continente. Serve visione, serietà, orgoglio»… E allora, se tutto questo è stato possibile con gli strumenti che avevamo, pensate a cosa potremo fare se con il voto dell’8 e 9 giugno riusciremo a moltiplicare la nostra rappresentanza a Bruxelles».
L’idea di Europa e il modello italiano in Europa. Al modello di altri, «contrapponiamo l’idea dell’Europa confederale, una alleanza di Nazioni sovrane unite sui grandi temi da una politica e da un destino comuni, e libere, a casa propria, di affrontare le questioni di stretta rilevanza nazionale, garantendo quel principio di sussidiarietà sancito proprio dai Trattati… Costruire un’Europa forte vuol dire immaginare un’Unione Europea che faccia meno, e lo faccia meglio».
«Allora, occorre rafforzare la nostra autonomia decisionale e costruire il pilastro europeo della NATO, da affiancare, con pari peso e pari dignità, a quello americano, per meglio affermare gli interessi europei, in particolare sul fronte Sud dell’Alleanza e nel Mediterraneo. Ecco perché è fondamentale accelerare verso una politica industriale comune nel settore della difesa, aumentando la collaborazione tra i nostri campioni nazionali in una logica di sovranità europea». E ancora: «Un’Europa protagonista nel mondo deve porsi con forza e urgenza anche la questione di aumentare la propria autonomia strategica. Cioè la propria capacità di saper costruire catene di approvvigionamento europee, o almeno sicure e affidabili, per diminuire le troppe, pericolose dipendenze strategiche alle quali è esposta».
«Costruire un’Europa forte e protagonista nel mondo vuol dire anche affrontare quella che è, probabilmente, la sfida da cui dipendono tutte le altre. La sfida demografica. Non c’è una sola Nazione d’Europa che raggiunga il cosiddetto “tasso di sostituzione”, quel 2,1 figli per donna che garantisce la continuità della popolazione. Ecco, noi vorremmo che la sfida alla denatalità la si potesse affrontare tutti insieme, per impedire che quella di “Vecchio Continente” da etichetta storica, qual è, diventi anche un’infausta previsione del futuro. Ecco, perché crediamo che l’Europa del futuro debba porsi anche il problema di come considerare gli investimenti per la natalità, perché siamo convinti che ogni euro speso sulla natalità, sui servizi, sugli aiuti alle famiglie, sulla conciliazione vita-lavoro, sia un euro speso in un investimento produttivo. Su questo tema, che porteremo con forza nella prossima legislatura europea, l’Italia intende dare il buon esempio. E lo stiamo facendo».
«Abbiamo avuto il coraggio di dire basta alle follie di chi sostiene che mettere al mondo dei figli danneggia l’ambiente perché i bambini inquinano o di chi dice che la soluzione è l’immigrazione. E ci siamo rimboccati le maniche per ricostruire una società finalmente amica della famiglia e della natalità. Una società nella quale essere padri non sia fuori moda. Ed essere madri non sia una scelta privata, ma un valore socialmente riconosciuto. Da proteggere, custodire e incentivare. E nonostante le enormi difficoltà di bilancio che abbiamo ereditato, abbiamo fatto sforzi importanti anche a livello di risorse».
«Continueremo a parlare di mamma e di papà in un’epoca in cui si vuole negare che per mettere al mondo un bambino servano una donna e un uomo. E dove, quando ci si scontra con l’evidenza, si pensa di poter risolvere la questione alimentando un ricco mercato transnazionale che sfrutta il corpo di donne povere e fa dei bambini una merce, spacciando tutto questo per un atto d’amore o per una forma di libertà. Nessuno riuscirà mai a convincerci che affittare il proprio utero sia un atto di libertà. Che sia un atto d’amore considerare i figli come un prodotto che si può scegliere sullo scaffale… L’utero in affitto è una pratica disumana che, grazie ad una proposta di Fratelli d’Italia, diventerà reato universale. Ovvero perseguibile in Italia anche se commesso all’estero. Lo abbiamo promesso e lo stiamo facendo».
Chi, come noi, sogna di cambiare l’Europa, però, ha un altro dovere: risvegliare questa Europa dormiente e ricordarle da dove proviene. Rivendicare con orgoglio le nostre radici. Le nostre tradizioni. I nostri valori e la nostra identità per mostrare ancora una volta al mondo che siamo e che vogliamo continuare ad essere la culla della civiltà occidentale. Non intendiamo piegarci ai deliri del politicamente corretto, tanto di moda nei salotti bene dei quartieri chic delle grandi città occidentali. Non possiamo tollerare che piazze e monumenti siano presi d’assalto e che libri, film e canzoni siano messi all’indice nel nome di una “cancel culture” che vorrebbe che facessimo abiura del nostro passato e di ciò che siamo».
Così come «non possiamo rimanere in silenzio davanti a chi, nelle nostre scuole e nelle nostre università, insegna l’odio per la nostra stessa civiltà. Non possiamo accettare lezioni da chi, per decenni, non ha fatto altro che parlare di laicità e dire che l’Europa doveva liberarsi dalla sua identità religiosa e poi oggi invoca la chiusura delle scuole per la fine del Ramadan, mentre con la stessa cristallina coerenza, chiede di togliere dalle aule il Crocifisso».
«L’Europa è la terra nella quale fede, ragione e umanesimo hanno trovato una sintesi. E hanno fertilizzato il terreno sul quale sono sorte le grandi cattedrali, è nato lo Stato sociale, è cresciuta la separazione tra Stato e Chiesa, si è sviluppata una società che mette al centro la persona e che ha nella persona il suo fine ultimo. Ed è l’Europa che noi amiamo. È l’Europa che intendiamo risvegliare dal sonno in cui è piombata».