Il discorso di Mario Draghi all’Onu

La guerra della Russia all’Ucraina mina «i valori» e «gli ideali» della comunità internazionale, che deve restare unita e ferma nella riposta all’arroganza di Vladimir Putin, anche nel caso dei referendum sul Donbass che, ancora una volta, «violano il diritto internazionale». Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha parlato per la seconda e ultima volta davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, facendo un appello alla comunità internazionale a non dividersi davanti alle provocazioni dello «zar». L’Italia, ha assicurato Draghi in vista delle elezioni del 25 settembre, «anche nei prossimi anni continuerà a essere protagonista della vita europea, vicina agli alleati della Nato».

Ecco il discorso integrale

È un grandissimo onore per me essere qui oggi. L’Assemblea Generale è il luogo in cui il mondo si apre al dialogo e al confronto, elementi essenziali per una coesistenza pacifica fra Paesi. Come recita lo Statuto del 1945, l’obiettivo delle Nazioni Unite è “mantenere la pace e la sicurezza internazionale”, “promuovere il progresso economico e sociale di tutti i popoli.”

L’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia e le crisi che ne derivano – alimentare, energetica, economica – mettono a rischio i nostri ideali collettivi come raramente era accaduto dalla fine della Guerra Fredda. Queste crisi si affiancano alle altre grandi sfide dei nostri tempi – il cambiamento climatico, la pandemia, le diseguaglianze – e ne amplificano i costi, soprattutto per i più deboli. Le responsabilità del conflitto sono chiare – e di una parte sola.

Ma è nostra responsabilità collettiva trovare risposte a questi problemi con urgenza, determinazione, efficacia. Non possiamo dividerci tra Nord e Sud del mondo. Dobbiamo agire insieme e riscoprire il valore del multilateralismo che si celebra in quest’aula.

L’invasione dell’Ucraina viola i valori e le regole su cui da decenni poggia la sicurezza internazionale, la convivenza civile tra Paesi. Eravamo convinti di non dover più assistere a guerre di aggressione in Europa. I sogni imperiali, il militarismo, le violazioni sistematiche dei diritti civili e umani ci sembravano relegati al secolo scorso. Da febbraio abbiamo invece assistito a bombardamenti di teatri, scuole, ospedali; a violenze e soprusi nei confronti di civili, di bambini; al tentativo di soggiogare una democrazia libera e sovrana, che ha reagito con orgoglio e coraggio per difendere la propria indipendenza, la propria dignità.

Aiutare l’Ucraina a proteggersi non è stata soltanto la scelta corretta da compiere. È stata l’unica scelta coerente con gli ideali di giustizia e fratellanza che sono alla base della Carta delle Nazioni Unite e delle risoluzioni che questa Assemblea ha adottato dall’inizio del conflitto.

L’Italia ha agito senza indugi, insieme agli altri Paesi membri dell’Unione Europea, agli alleati della Nato e del G7, a tutti i partner che come noi credono in un sistema internazionale basato sulle regole e sul multilateralismo. Insieme, abbiamo risposto alle richieste del Presidente Zelensky, perché un’invasione militare pianificata per mesi e su più fronti non si ferma soltanto con le parole.

Abbiamo imposto sanzioni senza precedenti alla Russia, per indebolirne l’apparato militare e convincere il Presidente Putin a sedersi al tavolo dei negoziati. Abbiamo accolto migliaia di rifugiati, assistito chi è rimasto in Ucraina e siamo pronti a finanziare la ricostruzione del Paese – perché agli orrori della guerra si risponde con il calore della solidarietà.

Il piano di Mosca era conquistare Kiev in poche settimane. I soldati ucraini hanno vanificato questa strategia e obbligato la Russia a un conflitto più lungo e logorante, grazie anche alla nostra assistenza militare. Nelle ultime settimane, un’eroica controffensiva ha permesso all’Ucraina di recuperare migliaia di chilometri quadrati di territorio a partire da Kharkiv, e costretto l’esercito russo a ripiegare.

L’esito del conflitto resta ancora imprevedibile, ma Kiev sembra avere acquisito un vantaggio strategico importante. Le sanzioni che abbiamo imposto a Mosca hanno avuto un effetto dirompente sulla macchina bellica russa, sulla sua economia. La Russia fatica a fabbricare da sola gli armamenti di cui ha bisogno, poiché trova difficile acquistare il materiale necessario a produrle.

Il Fondo monetario internazionale prevede che l’economia russa si contragga quest’anno e il prossimo di circa il 10% in totale, a fronte di una crescita intorno al 5% ipotizzata prima della guerra. L’impatto delle misure è destinato a crescere col tempo, anche perché alcune di esse entreranno in vigore solo nei prossimi mesi. Con un’economia più debole, sarà più difficile per la Russia reagire alle sconfitte che si accumulano sul campo di battaglia.

L’unità dell’Unione europea e dei suoi alleati è stata determinante per offrire all’Ucraina il sostegno di cui aveva bisogno, per imporre costi durissimi alla Russia. Mosca ha da subito tentato di dividere i nostri Paesi, a usare il gas come arma di ricatto. L’Italia ha reagito con tempestività per diversificare le fonti di approvvigionamento di gas, per accelerare lo sviluppo dell’energia rinnovabile.

A oggi, abbiamo dimezzato la nostra dipendenza dal gas russo e contiamo di diventarne completamente indipendenti dal 2024. In questo percorso, beneficiamo degli accordi con numerosi Paesi africani – dall’Algeria all’Angola, alla Repubblica del Congo. Vogliamo sviluppare insieme tecnologie verdi, mettere l’Africa al centro della transizione ecologica.

La guerra in Ucraina ha ridisegnato la geografia energetica e con essa il quadro geopolitico. L’Unione europea è destinata a guardare sempre più verso sud e l’Italia vuole essere un ponte verso la sponda meridionale del Mediterraneo, verso tutto il continente africano.

Per mantenere una posizione unita, risoluta, coerente con i nostri valori, è essenziale preservare la coesione sociale. L’aumento del costo dell’energia mette a rischio la ripresa economica, limita il potere d’acquisto delle famiglie, danneggia la capacità produttiva delle imprese, può fiaccare l’impegno dei nostri Paesi per l’Ucraina. Per aiutare le imprese e i cittadini a fronteggiare i rincari in Italia abbiamo speso circa il 3,5% del nostro prodotto interno lordo. Ora dobbiamo fare di più, soprattutto a livello europeo.

Come l’Italia sostiene da tempo, l’Unione europea deve imporre un tetto al prezzo delle importazioni di gas, anche per ridurre ulteriormente i finanziamenti che mandiamo alla Russia. L’Europa deve sostenere gli Stati membri mentre questi sostengono Kiev. L’Unione europea deve anche usare la forza delle sue istituzioni per mettere i suoi vicini al riparo dalle rivendicazioni russe.

La guerra di aggressione in Ucraina ha risvegliato o rafforzato in molti Paesi il desiderio di Europa. Il governo italiano ha fortemente voluto la candidatura dell’Ucraina a Stato membro e sostiene con convinzione l’integrazione dei Balcani occidentali, della Moldavia, della Georgia nell’Unione Europea. Dalle crisi si esce soltanto guardando lontano, con coraggio e con ambizione.

Il nostro obiettivo è la pace. Una pace che sia ritenuta accettabile dall’Ucraina – la sola che può essere duratura e sostenibile. Finora, la Russia non ha dimostrato di volere la fine del conflitto: i referendum per l’indipendenza nel Donbass sono un’ulteriore violazione del diritto internazionale che condanniamo con fermezza.

Tuttavia, l’Italia resta in prima linea per provare a raggiungere un accordo, quando sarà possibile. Lo abbiamo fatto in passato, quando abbiamo evidenziato come il blocco dei porti del Mar Nero costituisse un rischio per la sicurezza alimentare globale. L’accordo sull’esportazione del grano ucraino è stato un momento di collaborazione importante tra le parti, per cui voglio ringraziare l’ONU, il Segretario Generale Guterres, la Turchia. Il nostro auspicio è che si possano raggiungere altri momenti di cooperazione, a partire dalla centrale nucleare di Zaporizhzhia.

L’accesso alla centrale di una squadra di esperti dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica rappresenta un passo avanti. Ora è essenziale arrivare a qualche forma di demilitarizzazione dell’area. Non possiamo rischiare la catastrofe nucleare.

L’invasione russa dell’Ucraina ha prodotto conseguenze che vanno ben oltre i confini dell’Europa. I rincari energetici colpiscono soprattutto i meno abbienti, aggravano la povertà e le diseguaglianze. L’aumento dei prezzi delle derrate alimentari, la scarsa disponibilità di grano e di altri cereali colpiscono soprattutto gli Stati più poveri. La riduzione delle forniture di gas ha obbligato alcuni Paesi a riaprire le proprie centrali a carbone o a rimandarne la chiusura, sebbene per un periodo strettamente legato all’emergenza.

A questo attacco alla coesistenza pacifica tra le nostre nazioni dobbiamo reagire con il multilateralismo, con spirito di solidarietà e responsabilità. Alla guerra di aggressione dobbiamo rispondere riaffermando i valori alla base di questa assemblea: il rispetto dei diritti, la cooperazione internazionale, la non-belligeranza.

Nel suo discorso all’Assemblea Generale del 1988, Michail Gorbačëv notò come, in un mondo globalizzato, la forza o la minaccia del suo utilizzo non potessero più funzionare come strumento di politica estera. “Affrontare i problemi globali – disse Gorbačëv – richiede un nuovo ‘volume’ e una nuova ‘qualità’ della cooperazione” da parte degli Stati.

La nostra reazione alla guerra in Ucraina serve a riaffermare che la violenza gratuita non può avere spazio nel ventunesimo secolo. L’Italia auspica ci possa essere un futuro in cui la Russia torni al rispetto dei principi che scelse di sottoscrivere nel 1945. Un mondo diviso in blocchi, attraversato da rigide demarcazioni ideologiche e contrapposizioni militari non genera sviluppo, non risolve problemi.

Dobbiamo mantenere le nostre identità, ma condurre le relazioni internazionali in modo responsabile, legale, pacifico. Questo principio deve valere per tutte le crisi che affrontiamo: dall’Ucraina, ai recenti scontri nel Caucaso, alle situazioni di instabilità in Africa, Medio Oriente, America Latina, fino alle tensioni nell’Indo-Pacifico.

Nonostante le divisioni degli ultimi mesi, abbiamo una base solida su cui costruire. La Presidenza italiana del G20 dello scorso anno è coincisa con un momento di grande collaborazione tra Paesi. È un’eredità che non dobbiamo disperdere.

A questo proposito, voglio richiamare la disponibilità di Roma a ospitare Expo 2030, per continuare a offrire soluzioni condivise ai problemi globali. Nella fase più acuta della pandemia, siamo intervenuti per superare il protezionismo sul materiale sanitario e garantire più vaccini alle regioni che non ne ricevevano.

Il meccanismo Covax ha distribuito finora oltre 1,4 miliardi di dosi di vaccino contro il Covid-19 ai Paesi più poveri del mondo. Abbiamo potenziato l’assistenza finanziaria agli Stati più vulnerabili per aiutarli a rispondere alle conseguenze economiche della pandemia e abbiamo promosso l’estensione dell’Iniziativa sulla Sospensione del Servizio del Debito.

Grazie a un ritrovato spirito di cooperazione, abbiamo intensificato la lotta al cambiamento climatico. Per la prima volta, tutti gli Stati membri del G20 si sono impegnati a cercare di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali e hanno accettato le basi scientifiche di questo obiettivo. Abbiamo inoltre concordato una serie di risposte a breve e medio termine per raggiungerlo – a cui si aggiungono gli impegni assunti alla COP26 di Glasgow. Durante il G20 abbiamo anche concordato nuovi impegni finanziari per aiutare i Paesi a basso reddito a passare a un’economia più sostenibile.

Dobbiamo continuare a sostenere i Paesi più vulnerabili a difendersi dagli impatti dei cambiamenti climatici e a portare avanti i loro percorsi di transizione. Penso ad esempio alla tragedia delle inondazioni in Pakistan, dove una parte molto estesa del Paese è sommersa dall’acqua e milioni di persone sono costrette a lasciare le proprie case. La crisi ambientale ci coinvolge tutti, e dobbiamo uscirne tutti insieme.

L’impegno italiano per la pace, per la solidarietà internazionale è incessante. Siamo il principale contributore di Caschi Blu tra i Paesi europei: i nostri militari sono dispiegati in 5 missioni nel Mediterraneo, in Africa e in Asia. In Libano, partecipiamo alla missione UNIFIL con il secondo contingente più numeroso. Siamo molto attivi nel promuovere il dialogo con tutti i Paesi del Mediterraneo allargato.

In Libia, siamo impegnati perché il difficile processo di riconciliazione nazionale sia sostenuto con forza dalla comunità internazionale. In questo percorso, le Nazioni Unite rappresentano il nostro principale punto di riferimento.

Voglio anche ringraziare le istituzioni delle Nazioni Unite per il prezioso aiuto umanitario che danno nella gestione delle migrazioni nel Mediterraneo. L’Italia è ben consapevole che le migrazioni sono un fenomeno globale, e così va affrontato. Dobbiamo avere un approccio responsabile, umano, condiviso.

La guerra in Ucraina e le crisi che ne derivano hanno messo a dura prova la coesione della comunità internazionale. Ma è proprio in questo contesto che è necessario ritrovare lo spirito di cooperazione che ci ha permesso negli scorsi anni di affrontare insieme altre sfide non meno dure. Le nostre istituzioni comuni devono rinnovarsi.

L’Italia sostiene con forza la necessità di riformare il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per renderlo più rappresentativo, efficiente, trasparente. Anche nei prossimi anni, l’Italia continuerà a essere protagonista della vita europea, vicina agli alleati della Nato, aperta all’ascolto e al dialogo, determinata a contribuire alla pace e alla sicurezza internazionale.

Sono gli stessi principi e obiettivi che ispirano le Nazioni Unite, che è necessario e urgente difendere oggi.

Grazie.

‘L’operazione militare speciale in Ucraina è stata inevitabile’, ha detto il presidente russo Vladimir Putin nel suo discorso alla tv.

Putin ha dichiarato una mobilitazione parziale in Russia, con il richiamo di 300mila militari riservisti. L’obiettivo dell’Occidente è “indebolire, dividere e distruggere la Russia”, ha sottolineato Putin. “Nella sua aggressiva politica anti-russa, l’Occidente ha superato ogni limite”, ha aggiunto,  ribadendo che userà “tutti i mezzi a nostra disposizione”  e che coloro che stanno cercando di usare il ricatto nucleare contro la Russia scopriranno che le carte in tavola possono essere rivoltate contro di loro. “Non sto bluffando”, ha poi specificato. Inoltre, i territori dell’Ucraina che hanno annunciato il referendum per l’adesione alla Russia “hanno il sostegno” di Mosca.

Vladimir Putin ha fatto “minacce nucleari spericolate e irresponsabili”: lo ha detto Joe Biden intervenendo all’assemblea generale dell’Onu. “La Russia ha vergognosamente violato i principi base della carta dell’Onu invadendo l’Ucraina”, ha detto Biden.  “Una guerra nucleare non può essere mai vinta e non deve essere combattuta”.

“Non credo che userà queste armi. Non credo che il mondo gli consentirà di impiegarle”, ha detto il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, rispondendo a una domanda sulla minaccia nucleare di Putin.

«Noi, deputati municipali russi, riteniamo che le azioni di Vladimir Putin siano dannose per il futuro della Russia e dei suoi cittadini. Chiediamo le dimissioni di Vladimir Putin dalla carica di Presidente». Un atto di coraggio raccontata dalla deputata in Finlandia Ksenia Thorstrom del distretto di San Pietroburgo divulgatrice della petizione. Sono riusciti a raccogliere più di 70 firme con estremo coraggio si sono rivoltati a Putin rischiando grosso dato che in Russia l’opposizione viene punita con il carcere e costretta al silenzio.

«In questo mutismo generale, dove i nostri parlamentari non alzano la testa, siamo noi a dover fare qualcosa. Noi, piccoli pesci del mare che abbiamo poca forza politica, che gestiamo solo le questioni quotidiane delle nostre municipalità, ma rischiamo come tutti gli altri di finire dentro» si legge nel documento. La deputata dice che l’adesione è molto alta dopo che dei colleghi sono stati accusati autorità di screditare il paese per il documento contro l’invasione dell’Ucraina.

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