Giorgia Meloni, nell’ultima settimana di campagna elettorale, sente il traguardo sempre più vicino e ha già iniziato – dicono e bene informati – a cercare gli uomini da piazzare nelle caselle fondamentali non solo del prossimo governo, ma anche delle partecipate. L’opera di draghizzazione di FdI, con la Meloni allineata al presidente del Consiglio uscente su diversi temi (scostamento di bilancio e sanzioni alla Russia in primis) in opposizione soprattutto a Matteo Salvini è necessario a placare i timori delle cancellerie europee su un prossimo governo italiano che potrebbe essere ‘disallineato’ rispetto alle scelte fatte da Ue e Nato rispetto alla guerra in Ucraina.
Per questo la Meloni ha sottolineato in ogni occasione possibile la fedeltà Atlantica del suo partito, l’appoggio all’Ucraina ed al conseguente invio di armi, l’attenzione ai conti pubblici italiani laddove si mette di traverso alle richieste di scostamento di bilancio e smussa prudentemente le promesse salviniane sulla flat tax. Un percorso in qualche modo obbligato in u momento storico in cui la geopolitica mondiale sta cambiando forma rispetto all’ordine cui siamo abituati dal secondo dopoguerra e da Yalta.
Un percorso che ha visto però la leader di FdI inciampare clamorosamente sul voto Ue rispetto all’Ungheria del suo alleato di ferro Victor Orban. La relazione del Parlamento Ue, il 15 settembre scorso, ha definito l’Ungheria di Viktor Orbán un “regime ibrido di autocrazia elettorale” e ha denunciato gli “sforzi deliberati e sistematici del governo ungherese” contro i valori dell’Ue. “Difendiamo i valori dello Stato di diritto e proteggiamo il bilancio comune europeo. Le autorità ungheresi sono chiamate a rispondere con misure correttive concrete”, ha twittato il commissario Ue all’Economia, Paolo Gentiloni.
Da quel voto si sono sfilati proprio la Meloni e Salvini, creando diverse preoccupazioni nei consessi europei. “Non sono d’accordo con l’Europa a proposito dell’Ungheria”, ma respinge i rischi di appiattimento verso quelle posizioni. “Noi non dobbiamo spingere Paesi europei verso la Russia, ma portarli verso di noi. Io sono d’accordo con un’Europa seria. Orban farà le sue scelte, ma io non faccio quello che dice Orban. Io faccio solo l’interesse nazionale italiano”.
Ma il problema non è squisitamente politico, bensì di natura anche e soprattutto economica. Perché la Commissione, in seguito alle criticità emerse, non ha ancora dato il via libera al Pnrr dell’Ungheria a causa di irregolarità legate al rispetto dello Stato di diritto nella gestione dei fondi. Se non ottiene semaforo verde entro fine anno, Budapest perderà i fondi di Next Generation Eu. E il timore di un allineamento italiano è quello che una simile sorte possa toccare anche a noi, visto che Meloni ha parlato in più di un’occasine anche di correttivi PNRR stesso. E senza quei 209 miliardi che ancora ci spettano, ovviamente, altro che caro bollette e inflazione: andremmo direttamente gambe all’aria.
Perché la Meloni ha le sue ragioni quando dice che la sovranità appartiene al popolo e che gi interessi nazionali devono tornare centrali nell’architettura comunitaria, ma questi sono discorsi che può permettersi chi ha un’economia forte e soprattutto non ha debiti. E in buona evidenza, non è certo il caso dell’Italia. Il grado di sovranità, volenti o nolenti, è deciso da quanto si è indebitati e da chi ti presta i soldi. Altrimenti è sovranismo a parole, con cui però non si mangia.
Lo sa bene Silvio Berlusconi, che infatti non ha mancato di smarcarsi immediatamente dopo il voto del 15 settembre minacciando anzi di sfilare Forza Italia dal governo se Meloni e Salvini dovessero muoversi in una direzine diversa da quella europeista e atlantica, laddove Orban è visto come una testa di ponte di Putin in Europa, una sorta di sabotatore. Il commissario Ue per il Bilancio Johannes Hahn ha spiegato che, nonostante le misure proposte dall’Ungheria per affrontare le carenze, la Commissione Ue raccomanda la sospensione dei fondi perché “in questa fase permane un rischio per il bilancio, quindi non possiamo concludere che il bilancio dell’Ue sia sufficientemente protetto”. Un rischio che l’Italia non può perlettersi di correre.
Anche perché la posizione italiana risulterà probabilmente decisiva in un senso o nell’altro. Per far divenire esecutiva la proposta della Commissione è sufficiente che almeno 15 Stati membri rappresentanti il 65% della popolazione diano il via libera. Per Orban diventa dunque fondamentale costruire una cosiddetta minoranza di blocco, che si forma riunendo almeno quattro Stati che rappresentino più del 35% della popolazione europea. “La destra starà con chi rispetta lo Stato di diritto o con Orban?” si è chiesto il sottosegretario agli Affari Ue, Enzo Amendola, che oggi rappresenta il governo italiano al Consiglio Affari Generali, l’organismo che dovrà prendere la decisione.
E anche Romano Prodi, ex commissario europeo, ha voluto mandare un avvertimento alla Meloni: “Qualcuno incautamente fa il paragone con regimi del passato, ma qui non siamo alla marcia su Roma, il problema della democrazia compiuta è molto più complesso di un tempo, è una questione di alleanze, amicizie, valori. Non si sanziona un risultato elettorale, si sanzionano i comportamenti. Quelli di Orbàn vanno contro i pilastri fondamentali delle regole europee, sottoscritte da tutti i paesi, su libertà di stampa, trattamento delle minoranze, giustizia. Che Meloni non veda il rischio di un’Italia emarginata in Europa è preoccupante”.