Nessun economista affronta seriamente il problema: la creazione di denaro è vista quasi come una conseguenza naturale dell’istituzione delle banche o come una curiosità con effetti benefici sul sistema economico che tutt’al più deve indurre i banchieri ad operare con prudenza ed oculatezza per evitare che le conseguenze della creazione di denaro possano travolgere la stessa banca.
Il meccanismo bancario di creazione di denaro è invece alla base dell’appropriazione di risorse ingentissime da parte del sistema finanziario ai danni dell’economia reale e di tutti i cittadini. Per capire come funziona questo meccanismo, dobbiamo in modo virtuale spostarci indietro nel tempo di un paio di secoli e ritornare nella situazione che favorì la nascita delle banche moderne, cioè a quei depositi in oro che le situazioni politiche e la relativa ricchezza indotta dai commerci con l’estremo Oriente e il Nuovo Mondo avevano generato.
Le banche ricevevano l’oro e in cambio, rilasciavano certificati a vista o al portatore, che erano utilizzati per i pagamenti da parte dei titolari dei depositi, e, a loro volta, potevano essere utilizzati per effettuare nuovi depositi. E qui sta l’inghippo. Infatti, finché il certificato, nominativo o al portatore viene trasferito da un possessore ad un altro, nel sistema non si crea alcunché, dato che si tratta della stessa somma che semplicemente cambia di mano. Se invece, sulla somma depositata la banca emette un prestito, allora si crea del denaro.
Un esempio: stiamo nel1884 a Dawson City nel Klondike.
Sono appena uscito dalla banca del West dove ho depositato mille dollari in oro, frutto di un duro lavoro nelle miniere. La banca offre un buon interesse, e d’altra parte, ci sono troppi brutti ceffi in giro per portarmi tutta quella somma addosso.
La banca, inoltre, gode di buona fama, e così io sono sicuro che nessuno porterà via il mio gruzzolo. Tengo con me qualche spicciolo, e riparto per il giacimento che ho scoperto nel nord del paese. La banca sa che non tornerò presto a riprendere l’oro. Conta sulla mia avidità e sul desiderio di sfruttare al meglio la miniera. Così quando si presenta un imprenditore a chiedere un prestito di ottocento dollari per costruire un casinò per i minatori, la banca lo concede volentieri, sia perché lo considera un buon investimento, sia perché l’imprenditore in questione è persona economicamente solida. D’altra parte la banca deve prestare i denari a qualcuno, perché altrimenti non potrebbe pagarmi l’interesse che ha promesso, né le proprie spese. La banca non può concedere più di 800 dollari in prestito perché tiene una riserva del 20%: la percentuale sui depositi ritenuta sufficiente per coprire eventuali necessità liquide impellenti dei propri depositanti.
Se per esempio, avessi necessità di denaro per comprare delle nuove attrezzature per la miniera, la banca sa che non chiederò più di 200 dollari, dato che in media la percentuale dei depositi che si presume possa essere ritirata è, appunto, del 20%. Tra le migliaia di depositanti, c’è ovviamente anche chi che ritira per intero il suo deposito senza preavviso, ma in media il denaro che entra ed esce dalla banca non supera il 20% del totale dei depositi. Se la banca concedesse prestiti utilizzando una parte delle proprie riserve, rischierebbe di trovarsi in difficoltà a fare fronte alle necessità correnti e perderebbe il proprio buon nome. D’altro canto, se la banca tenesse più denaro del necessario a riserva, non guadagnerebbe abbastanza, e non potrebbe remunerare i depositi come le altre banche del sistema, che, quindi, le porterebbero via i clienti, condannandola prima o poi alla chiusura. Quindi, la banca deve concedere prestiti tenendo la riserva del 20%, così come fanno le altre banche del sistema, che pure sanno che non più del 20% dei propri depositi sarà ritirato. Come si può rilevare il sistema si regge dunque sul calcolo delle probabilità e sul buon nome delle banche. Ma torniamo agli 800 dollari prestati per la costruzione del casinò.
L’imprenditore, ottenuto il prestito, si mette al lavoro di buona lena, e spende tutti i denari ricevuti dalla banca per la costruzione, pagando operai, fornitori, barman, ballerine e il pianista. Questi soggetti, ricevono i soldi e a loro volta o li spendono o li mettono in banca.
Alla fine, per varie strade, tutti gli 800 dollari prestati al primo imprenditore, ritornano in banca (dove per banca si intende il sistema bancario nel suo complesso che, come si è mostrato, si muove di conserva per non rischiare il fallimento). La banca, a questo punto ha di nuovo 800 dollari, e così è contenta se un altro imprenditore le chiede un prestito di 640 dollari per aprire un negozio di alimentari per i minatori. Anche questo pare alla banca un buon affare, e l’imprenditore che lo propone è un noto commerciante della zona, munito di solide garanzie. Ricomincia il solito giro e dopo un po’ di tempo, i 640 dollari ritornano tutti in banca. Con 512 dollari, il Direttore finanzia l’apertura di un negozio di armi, e poi con 409,6 dollari una bottega da maniscalco per i cavalli dei minatori e così via, finché i dollari non sono esauriti. Ciò che spinge gli imprenditori ad investire rapidamente i denari ricevuti è che essi devono pagare un interesse alla banca e quindi, prima cominciano a guadagnare, e prima riescono a restituire il debito senza essere taglieggiati dagli interessi. Allo stesso tempo la banca paga un interesse ai depositanti, così che costoro sono invogliati a portare i soldi in banca e lasciarveli il più a lungo possibile. Ovviamente c’è una differenza (spread) tra gli interessi che la banca paga e quelli che riceve dai prestiti, differenza sufficiente a coprire le spese della banca e l’utile dei soci di essa.
Come si può vedere i miei originari 1000 dollari – che sono sempre depositati in banca – ne hanno creato, prima 800, poi 640, poi 512, poi 409,6 e così via, tutti che si reggono sull’originario mio deposito di mille dollari. Tra i miei mille dollari e i cinquanta dell’ultimo depositante, un vetraio che ha rimesso in sesto le finestre del saloon distrutte da una sparatoria tra i minatori, non c’è, però, alcuna differenza: sia io che il vetraio sappiamo che essi sono frutto del nostro lavoro, ed entrambi ci fidiamo della banca che, d’altra parte, è una delle più solide del West. Il vetraio sa che in qualunque momento, può andare in banca e ritirare i suoi 50 dollari in oro, nonostante abbia versato carta. La banca non avrebbe alcuna difficoltà a pagare. Anche io so che in qualunque momento posso andare in banca a ritirare i miei mille dollari in oro senza alcuna difficoltà. In banca, però non ci sono tutti i soldi che sono stati depositati da me fino al vetraio. In realtà ce ne sono solo il 20%, vale a dire la riserva ritenuta prudente dalle banche per il ragionamento fatto prima. La somma di tutti i soldi che sono tornati in banca è infatti ora di 4.000 dollari che, sommati ai miei 1.000, fanno 5.000 dollari, rispetto ai quali i miei mille sono appunto il 20%. Se la riserva fosse del 10%, i dollari che la banca potrebbe prestare sarebbero 9.000, se del 5%, sarebbero 19.000. E’ dunque evidente che la massa di denaro che la banca crea dipende direttamente dalla riserva valutaria che la banca ritiene necessario costituire: minore è la percentuale della riserva e maggiore è la quantità di denaro che viene creata.
Si può immaginare cosa potrebbe succedere se all’improvviso un numero rilevante di depositanti si presentasse davanti agli sportelli a ritirare i depositi! Si ponga il caso che la miniera – grazie alla quale come si è visto viene promossa tutta quella attività – chiude per es. a causa di un’inondazione, e che molti depositanti si presentino, tutti assieme, agli sportelli per ritirare i propri denari. La banca non ne potrebbe accontentare più del 20%, e per pagare gli altri sarebbe costretta a richiedere in restituzione con estrema urgenza denaro a tutti coloro a cui li ha prestati, i quali per definizione non ne hanno. Quell’oro, infatti, non esiste: c’è una serie di pezzi di carta per mezzo della quale sono stati costruiti il saloon, la bottega, il negozio e ogni altra attività finanziata dalla banca, ma l’oro non c’è, per la semplice ragione che – come è stato mostrato – non c’è mai stato se non nella misura del 20% dei depositi. Oltretutto, l’oro in questione non può essere preso nemmeno da altre città: se la miniera chiude, saloon, negozio di alimentari, e maniscalco – che vivevano tutti sulla miniera – non guadagnano più nulla o quasi, e non possono restituire il prestito ricevuto. La banca cerca di vendere i beni dei suoi debitori al migliore offerente, ma nessuno compra aziende che non guadagnano, e così la banca realizza ben poco. Disperato, il Direttore escogita allora tutti i trucchi per ritardare il fallimento della banca: apre un solo sportello mandando a casa tutti gli altri impiegati, sottopone i depositanti a procedure estenuanti per ritirare i denari, convoca il Consiglio di Amministrazione per chiedere denari ai soci della banca, e allo stesso tempo si rivolge ad altre banche per ottenere dei prestiti. In altri termini cerca di diminuire la velocità di circolazione del denaro, che è uno dei sistemi per far scomparire gradualmente il denaro virtuale creato dalla banca. Nel frattempo, anche a causa di queste tecniche dilatorie, si sparge la voce che la banca del West ha difficoltà di pagare, e anche gli altri depositanti, preoccupati per la sorte dei propri soldi, accorrono agli sportelli della banca, facendo una gran ressa di fronte alla sede dell’istituto. Alla fine il banchiere getta la spugna e chiude la banca per fallimento. Il denaro creato dal suo istituto lo ha travolto. Anche se non ha commesso irregolarità di sorta, e si è comportato seguendo le regole di funzionamento della banca, anche se non ha commesso errori evidenti, egli finisce in galera per bancarotta ed è accusato dai suoi depositanti di esser un ladro. La scena di panico descritta in Mary Poppins è molto significativa a questo riguardo: Mr. Banks, il padre dei bambini cui Mary Poppins faceva da baby sitter, era un austero funzionario della banca Dawes di Credito, Risparmio e Sicurtà. Insomma una tipica banca ottocentesca, dove tutti indossano il tight e le ghette, portano la bombetta, l’ombrello e il garofano all’occhiello.
La crisi di panico si scatena quando il piccolo Michael cerca di farsi restituire dal vecchio Dawes i due penny con cui voleva comprare il miglio per i piccioni, e che invece il banchiere vuole usare per fargli aprire un conto corrente. Non c’è argomento che riesca a convincere il bambino. Nel suo animo sono entrate bene le parole di Mary Poppins che l’aveva incitato a donare di cuore. Le sue grida vengono sentite da due clienti della banca che, preoccupatissime si affannano a ritirare tutti i propri depositi. Anche gli altri clienti dentro l’edificio, vista la reazione delle due correntiste si affrettano agli sportelli per ritirare tutto il proprio denaro. E’ il panico, scatenato apparentemente senza alcuna ragione, da una voce, da uno sguardo preoccupato, da un passo affrettato. Per convincere il bambino il vecchio Dawes aveva usato tutti gli argomenti della cupidigia: “Con due miseri penny sarai proprietario di terreni in America, di navi, di fabbriche, di palazzi. Il tuo capitale raddoppierà di anno in anno e tu diventerai ricco!”. Nulla riesce a smuovere Michael dal suo proposito di usare i suoi due penny seguendo il suo cuore, ormai ricco di amore e di generosità. Il discorso di Dawes sul raddoppio del capitale è, però, il centro della truffa delle banche, il miraggio agitato dinanzi agli occhi della gente per indurla a lavorare duramente e risparmiare con la promessa di una felicità che non arriverà mai. E la crisi di panico trova, in questa scena, la propria ragione profonda. Il dono d’amore, la generosità, sono i nemici mortali del sistema finanziario.
Lo stesso concetto lo esprime Keynes che racconta una storia illuminante tratta da Sylvie e Bruno che, forse, ha ispirato il regista del film. “E’ solo il sarto, Sir, con il suo conticino” disse una voce querula fuori dell’uscio. “Oh, bene – disse il professore ai bambini, – risolverò subito questa sua faccenda, se vorrete aspettare un momento. Quant’è quest’anno, buon uomo?” – Mentre parlava il sarto era entrato. “Vedete è stato raddoppiato per tanti anni – replicò il sarto un po’ brusco – che adesso penso proprio di volere i quattrini. Sono duemila sterline, sono!” “Roba da nulla – osservò noncurante il professore frugandosi nelle tasche come se si portasse sempre dietro quella cifra come minimo – ma… non preferireste aspettare ancora un anno e farle diventare quattromila sterline? Pensate solo a quanto diventereste ricco! Pensate, potreste diventare un re, se lo voleste!” “Non so se mi interessi diventare un re – commentò pensieroso l’uomo – ma sembra davvero un mucchio di quattrini… Beh credo che aspetterò..”. “Certo che aspetterete – incalzò il professore – Vedo che avete cervello. Buongiorno, buon uomo!”. Non appena la porta si richiuse alle spalle del creditore Sylvie chiese: “Gliele pagherete mai quelle quattromila sterline?”. “Mai, ragazza mia! – replicò enfatico il professore – Preferirà raddoppiare fino al giorno della morte. Vedete, vale sempre la pena di aspettare ancora un anno per avere il doppio”.
La scena della crisi di panico venne replicata molto frequentemente per tutto l’ottocento e fino a qualche anno dopo la grande crisi del 1929. E non si trattava del fallimento di qualche banca qua e là, bensì di decine di banche e – nei periodi di crisi – di centinaia: il sistema andava in crisi periodicamente, in media ogni 15/20 anni, provocando fallimenti a catena di imprese e di banche. Negli anni della grande crisi, tra il 1931 ed il 1933 fallirono negli USA oltre 10.000 banche, circa la metà di tutto il sistema bancario. In realtà, nella favoletta della miniera, il banchiere un errore lo ha commesso: avrebbe dovuto diversificare gli investimenti, in modo da non fondare tutte le proprie attività sulla sola miniera. Insomma, se oltre ad avere adocchiato la miniera il banchiere avesse finanziato operazioni relative alla costruzione della ferrovia, all’allevamento del bestiame, alla coltivazione del cotone ed alla pesca del salmone, la chiusura della miniera, probabilmente, non avrebbe causato il fallimento della banca. Quest’ultima avrebbe infatti potuto – per fronteggiare il ritiro dei fondi dovuti alla chiusura della miniera – prendere i denari versati per effetto delle altre attività. Ma per tale operazione, il banchiere avrebbe dovuto disporre di molto denaro per finanziare tutte le attività… e d’altra parte se fossero andate contemporaneamente in crisi miniera, pesca, allevamento e coltivazione, il fallimento sarebbe stato comunque inevitabile… Ed è proprio questo che accadde nel 1929, quando andarono in crisi contemporaneamente molti settori dell’economia, e il sistema bancario ne fu travolto e andò in tilt.
Ma, a parte la diversificazione degli investimenti – che però non salva il banchiere se la crisi è particolarmente grave ed estesa – è chiaro che non c’è rimedio se le attività economiche finanziate dalla banca si fermano, o anche solo se rallentano: se le attività economiche rallentano, la banca si trova lo stesso in difficoltà. Infatti molti depositanti avrebbero necessità di denaro per fare fronte ai pagamenti correnti cui non possono più attendere con i propri ridotti guadagni, e si affollerebbero dinanzi alla banca. Con la diversificazione degli investimenti, i tempi della crisi sarebbero tutt’al più rallentati e forse la banca potrebbe salvarsi liquidando le attività in tempo e ad un prezzo tale da coprire le proprie necessità di cassa. E’ già qualcosa. Un’ipotesi in cui una banca è in grado di fare fronte anche alla crisi più devastante pagando in oro tutti i suoi debiti, ci sarebbe. E’ il caso in cui la crescita di quella banca abbia attirato versamenti cospicui in oro da parte di altre aree per effetto di una politica di investimenti e di tassi di interesse più attraente per i risparmiatori di quella di altre banche. Ma anche questa situazione ha il suo rovescio della medaglia. La crescita economica di un’area viene fatta ai danni di altre aree, ovvero una zona dove la crescita è più elevata attira i capitali da altre zone dove la crescita rallenta o si ferma per mancanza degli strumenti finanziari necessari.
Insomma, così com’è stato creato, il denaro della banca scompare lasciando dietro di sé morti e feriti. Hanno ragione, allora, i clienti della banca a pensare che il loro banchiere dall’aria così severa e rassicurante, sia in realtà un bel truffatore, dato che in realtà il denaro da loro guadagnato con un duro lavoro non c’è più, e la fatica patita per accumularlo si fa sentire tutta assieme, pesantemente. Indipendentemente dalle sue qualità personali, infatti, il banchiere è complice di un meccanismo di ridistribuzione della ricchezza che premia i più furbi e i più svelti e penalizza in genere le persone perbene e quelle più deboli.
Ma c’è dell’altro: finché il gioco della ridistribuzione coinvolgeva le persone che affidavano alle banche i propri risparmi le conseguenze negative sul resto della popolazione erano infatti ancora modeste. Dopo la crisi del ’29 la cosa si è fatta certamente più pesante, e da tutti gli Stati del mondo fu assunta una serie di provvedimenti che modificarono radicalmente la situazione. Le banche da allora non falliscono più, ma la creazione del denaro continua ad operare come meccanismo di ridistribuzione della ricchezza coinvolgendo tutti i cittadini, anche quelli che in una banca non hanno mai messo piede e che conservano i soldi nel materasso!!! Tra gli anni trenta e il 1970 infatti si passò – attraverso una serie di provvedimenti successivi – da un sistema monetario fondato sull’oro ad un sistema monetario fondato sulla carta. Per evitare il fallimento delle banche, furono istituite in tutto il mondo le centrali (le banche centrali) e un sistema di assicurazione interbancario che consentiva di far fronte ad improvvise necessità liquide di alcune banche eventualmente coinvolte nella crisi in un qualsiasi settore dell’economia. Ma, soprattutto, venne vietata la conversione delle banconote in oro da parte del pubblico (la conversione rimaneva tra gli Stati). Galbraith sostiene che ciò che fece cessare la catena di fallimenti delle banche fu l’istituzione dell’assicurazione che limitò i comportamenti scorretti dei banchieri. Questa tesi sarebbe convincente se le crisi delle banche dipendessero dai comportamenti scorretti dei banchieri. Tali crisi saranno certamente aggravate da tali comportamenti aberranti, però se la “miniera” su cui poggia la banca chiude a causa di un’inondazione e i depositanti si presentano in massa allo sportello per ritirare i propri soldi, i banchieri qui c’entrano fino a un certo punto. La ragione della fine della crisi delle banche è – fino a prova contraria – un’altra: si tratta dell’adozione del divieto di conversione. Per un depositante non c’è infatti alcuna differenza tra l’avere un pezzo di carta di un colore piuttosto che di un altro. Se non è possibile avere oro, piuttosto che tenere del contante in casa, è meglio averlo in banca, dove almeno rende un interesse. Occorre avere bene chiara la situazione di questi ultimo 50, 60 anni, per accorgersi di che cosa sta succedendo. Agenzia di notizie AFIMO ha più volte accennato al fatto che nel 1944, fu istituito a Bretton Woods un sistema di conversione delle monete nel dollaro e di questo nell’oro, e che tale conversione poteva essere praticata solo dagli Stati e non dai cittadini, e all’altro fatto che nel 1971 fu abrogato tale sistema del1944 acausa della crisi petrolifera.
Da allora le banconote non hanno più alcuna base materiale, e la loro emissione si fonda sulla truffa del PIL.
Ovviamente la creazione di moneta da parte del sistema bancario non si è affatto fermata con l’istituzione dell’assicurazione interbancaria né con il divieto di conversione. E’ stato infatti mostrato da Agenzia di notizie AFIMO che il meccanismo di creazione di denaro virtuale funziona molto bene: l’oro nei forzieri della banca d’Italia assomma a circa 50.000 miliardi, le banconote a circa 100.000, e il denaro dei depositi bancari ad oltre 2 milioni di miliardi (cfr. per es. la tabella delle attività liquide degli italiani nell’anno ’95). A questo denaro bisogna poi aggiungere anche le altre attività liquide che vanno considerate anch’esse denaro a tutti gli effetti, dato che per loro tramite si possono acquistare beni di ogni tipo… Insomma il miracolo della creazione prosegue al punto che oggi in Italia la massa monetaria è cresciuta oltre a dieci milioni di miliardi – mentre nel mondo è arrivata a oltre un miliardo di miliardi – e continua ad esercitare la propria funzione di ridistributore della ricchezza a danno di tutti, anche se le banche non falliscono più. Come avviene questa ridistribuzione? Prima del ’29 l’appropriazione della ricchezza avveniva per mezzo del fallimento delle banche: solo alcuni dei depositanti, in genere i più informati, riuscivano a riprendere i propri denari, mentre la maggior parte dei depositanti restava senza denaro.
E adesso, quando c’è una crisi economica e non si vedono più le file di risparmiatori fuori le banche per cercare di ritirare più in fretta possibile i propri risparmi, chi se non tu che stai leggendo queste parole paga quel denaro virtuale che – come è stato mostrato – necessariamente scompare durante le crisi? Tu che lavori e paghi le tasse, e magari non hai un soldo bucato in tasca né, tantomeno, un conto corrente in banca. Da quando le banche non falliscono più, dato che sono garantite dallo Stato, il denaro creato viene anch’esso garantito dallo Stato e quindi pagato da tutti. Gli effetti del meccanismo di creazione di denaro da parte delle banche sono essenzialmente tre. Primo effetto: abnorme crescita della massa monetaria. Questa massa monetaria è, a sua volta, produttrice di ricchezza per mezzo del tasso d’interesse medio che la remunera. Ciò comporta che una sempre maggiore quantità di ricchezza venga “predata” dai detentori di denaro virtuale, a danno di coloro che sudano per produrre i beni.
Secondo effetto: l’espansionismo innaturale del sistema, il quale per potersi sostenere deve essere sempre in espansione. In tale sistema – che potrebbe essere paragonato a un sistema respiratorio che inspira soltanto essendo terrorizzato all’idea di espirare – una crisi economica o anche un mero rallentamento del sistema economico, possono causare con la relativa scomparsa del denaro virtuale creato dalle banche, anche l’avvitamento di una crisi finanziaria incontrollabile. Terzo effetto: alla ricchezza di un’area corrisponde la povertà di un’altra area: ovvero il sistema deve crescere in maniera squilibrata. Infatti, nei momenti di crisi, il denaro si trasferisce verso le aree dove ha maggiori possibilità di collocazione e di mantenere il proprio valore. La demonetarizzazione dell’oro in favore del dollaro ha infatti consentito agli americani di impadronirsi delle risorse dei paesi finanziariamente più deboli attraverso le manovre sulle monete.
Per queste ragioni le crisi economiche dell’Occidente sono state pagate dai paesi meno sviluppati. Ed è anche per queste ragioni che è praticamente impossibile fare uscire dal sottosviluppo e dalla depressione economica aree del mondo sempre più vaste. Le stesse società dell’Occidente soffrono, in maniera sempre più evidente, di uno squilibrio crescente tra zona e zona e tra classi sociali. Nei paesi dell’Occidente in cui le politiche sociali hanno generato una forte pressione fiscale sul lavoro e sulla produzione, ci si attenderebbe una maggiore equità ed una minore incidenza degli squilibri sociali. Com’è evidente, invece, non è affatto così, a riprova del fatto che il sistema fiscale non opera come un ridistributore di ricchezza tra le classi, ma essenzialmente come un meccanismo di appropriazione di una classe a danno delle altre. In realtà oggi ci sono solo due classi, costituite da gente che lavora onestamente e da gente che lavora per derubare quest’ultima in modo legale.
L’aumento della massa monetaria ha come effetto non secondario, l’aumento del tasso di inflazione, a causa del generale effetto al rialzo che i prezzi dei beni subiscono, ma il meccanismo di trasferimento della ricchezza dal mondo economico a quello della finanza è relativamente indipendente dall’inflazione, anche se in periodi di alta inflazione il trasferimento di ricchezza è minore, e in periodi di deflazione è maggiore. Infatti, un’alta inflazione in genere diminuisce lo spread tra i tassi attivi e quelli passivi e di conseguenza il trasferimento di ricchezza dai debitori ai creditori. Allo stesso tempo, un’alta inflazione accelera la crescita della massa monetaria e accelera i tempi di esplosione del sistema. Una bassa inflazione, e a maggior ragione una situazione di deflazione palese od occulta, deprime in maniera drammatica le attività economiche e, aumentando lo spread, aumenta notevolmente il trasferimento di ricchezza dall’economia alla finanza.
Insomma, la creazione di denaro da parte delle banche ha causato l’abnorme espansione di un mondo di finanza virtuale che cresce necessariamente ogni anno, ed occupa sempre più spazi del mondo reale, dato che la ricchezza virtuale da esso creata è in grado di appropriarsi della ricchezza prodotta dal mondo dell’economia reale. Poiché il sistema finanziario deve necessariamente crescere per potersi mantenere in vita, esso deve creare moneta virtuale in misura crescente. Una parte di questa moneta virtuale è costituita dalla massa monetaria, l’altra – interna al sistema – dai prodotti finanziari che ruotano intorno a questa massa monetaria.
Recenti studi hanno infatti dimostrato che anche la massa dei prodotti finanziari derivati influisce sulla formazione dei prezzi, e quindi dovrebbe essere considerata anch’essa componente della massa monetaria. Il problema è che la vita dei prodotti finanziari derivati è assoggettata per definizione al tempo, la loro emissione è fatta da enti privati, e quindi il loro pagamento non è garantito dalla generalità dei cittadini, come avviene per la massa monetaria in senso stretto. D’altra parte, le dimensioni della massa dei prodotti derivati sono talmente estese, e, peraltro, necessariamente in continua crescita, che l’eventuale inadempienza di una parte di essa si riverberebbe in maniera drammatica su tutto il sistema finanziario. Ciò è apparso evidente nella recente crisi di mercato seguita alla crisi del mercato asiatico: la Federal Reserve Bank è stata costretta ad intervenire per salvare il fondo LTCM (Long Term Capital Management), un hedge fund di soli 20 miliardi di dollari di capitale con investimenti per oltre 1.000 miliardi di dollari in tutto il mondo. Il meccanismo di moltiplicazione del denaro messo in atto dai prodotti finanziari derivati, è davvero impressionante. Non si conosce esattamente la massa di tali prodotti ma si calcola che essi superino la cifra di 300.000 miliardi di dollari, vale a dire la bellezza di 550 milioni di miliardi di vecchie lire (corrispondenti a circa 275 anni di lavoro di tutti gli italiani). Questa cifra costituisce pressoché la metà della massa monetaria complessiva mondiale che si aggira intorno al miliardo di miliardi di vecchie lire e a cui va aggiunta la massa delle azioni, oggi valutabile intorno ai 100 milioni di miliardi. Non si può dunque escludere la massa dei prodotti derivati dal calcolo della massa monetaria, anche se sarà necessario una loro più precisa definizione giuridica per evitare che la continua nuova creazione di strumenti possa generare infinite classi di strumenti finanziari. Un derivato consiste in una operazione generalmente a breve termine, contratta su un’altra operazione in genere a lungo termine: si pensi a un fondo di investimento che raccoglie tra gli investitori 100 milioni di dollari. L’operatore finanziario del fondo sa che deve garantire una redditività del fondo tale da pagare l’interesse promesso agli investitori, nonché le proprie spese – pur mantenendo una quota di liquidità di riserva. Decide di effettuare operazioni su titoli a lungo termine in una valuta che abbia un tasso di interesse basso. Egli compra 100 milioni di dollari di titoli USA con una redditività lorda del 6% e va ad indebitarsi nelle banche giapponesi depositando a garanzia i titoli acquistati per ottenere finanziamenti ad un tasso di interesse minore – dato che in Giappone le banche prestano denaro a un bassissimo tasso di interesse, equivalente al 3,50% circa. La differenza tra i due tassi è il guadagno del fondo, che però non è sufficiente per coprire l’interesse promesso agli investitori.
Allora il nostro operatore finanziario, col denaro ottenuti mediante l’indebitamento in Yen giapponese, compra altri titoli americani, e la banca giapponese gli da’ un finanziamento di circa 95 milioni, in quanto il tasso di interesse basso gli consente di coprirsi con una riserva bassa. Con i 95 milioni di titoli americani si indebita presso un’altra banca giapponese ottenendo 90,250 milioni e così via di seguito, ogni volta creando denaro, come nell’esempio sopracitato della banca del West. Ogni volta egli così lucra sulla differenza di tassi, corrispondente al 2,50% circa, realizzando così 47,5 milioni lordi di interesse all’anno. Con questi interessi, l’operatore finanziario può: remunerare il capitale ottenuto in prestito con un interesse molto alto, equivalente al 18% circa, attirare altri investitori, assicurarsi contro il rischio di una variazione brusca dei rapporti di cambio tra le monete e dei tassi d’interesse, pagare le imposte, e magari alimentare una speculazione su titoli o in borsa a breve termine. Ovviamente il giochetto è replicabile anche su tre o più valute diverse accettando maggiori rischi sul cambio, ma lucrando un differenziale più elevato. La banca giapponese, a sua volta, non sta certo ferma. Con gli interessi sui titoli di Stato USA ottenuti in garanzia, esegue operazioni futures su titoli coreani e tailandesi che danno un alto tasso d’interesse e sono familiari alla banca giapponese che conosce il mercato locale. Ricomincia il ciclo di creazione di denaro, poiché a loro volta le banche coreane e tailandese con i finanziamenti giapponesi effettuano investimenti su fondi americani che garantiscono una elevata redditività per coprire i costi del finanziamento giapponese e garantirsi un differenziale interessante.
Alla fine, in qualche modo il circolo vizioso si è chiuso generando una gran quantità di denaro virtuale che, di fronte ad una qualunque perturbazione del mercato si rivela fortemente instabile, trasformando gli enormi guadagni qui ipotizzati in enormi perdite, in ipotesi di uno scostamento dei tassi di interesse di un solo punto in direzioni inverse. Infatti, se i titoli americani dovessero diminuire la loro redditività di un punto, scendendo al 5% e le banche giapponesi dovessero alzare i propri tassi di un punto, salendo al 4,5%, il differenziale diventerebbe di solo lo 0,5%, e gli interessi ricavati sulla somma investita, diventati di soli 9,5 milioni, non pagherebbero più gli interessi promessi agli investitori. Il fondo comincerebbe ad accumulare perdite e sarebbe difficile attivare la catena del disinvestimento, dato che la banca tailandese paga il proprio debito con i denari promessi dal fondo americano e che non riceve più.
Oltretutto, la quota di questo giro finanziario che è andata ad alimentare investimenti nell’economia reale (in media circa il 4% sul totale) sarebbe precipitosamente disinvestita creando squilibri nel sistema economico. Tali squilibri potrebbero generare, a loro volta, provvedimenti di restrizione del credito da parte delle banche interessate, per recuperare con interessi più alti le perdite subite nel sistema economico. Questo meccanismo, direttamente riconducibile alla scomparsa del denaro virtuale creato dalle banche, è uno dei possibili scenari di una delle innumerevoli crisi finanziarie ed economiche che attanagliano sempre più spesso il nostro pianeta. Il sistema economico del mondo non può sopportare oltre la crescita di questa massa finanziaria. Il rischio, più volte evocato dagli analisti finanziari, di un crollo del sistema finanziario per l’esplosione del mercato dei prodotti derivati è sempre più concreto. Oltretutto questi prodotti, impadronendosi di ricchezza prodotta dal mondo economico e intervenendo nei processi di determinazione dei prezzi, determinano una continua crescita del debito pubblico, necessaria per sostenere la crescita del sistema finanziario. E’ quindi necessario immaginare interventi che limitino la crescita del sistema finanziario e restituiscano slancio alla produzione economica, allo stesso tempo garantendo una più equa distribuzione della ricchezza prodotta. Com’è apparso drammaticamente evidente nella crisi che ha attanagliato il mondo finanziario tra l’ottobre del 1997 e l’ottobre del 1998, la presenza di questa enorme massa di moneta e di prodotti finanziari, genera turbolenze violente sui mercati che rischiano di diventare incontrollabili e di coinvolgere tutti i paesi del mondo.
L’effetto della globalizzazione del mercato finanziario, indotta dalla crescita della massa monetaria e dei derivati, è quello di generare da un lato un’accelerazione dei processi di crescita della massa, e dall’altro di scatenare crisi ad effetto domino in tutto il sistema finanziario mondiale. D’altra parte, la tendenza mondiale a tassi di interesse prossimi allo zero, allo scopo di cercare di frenare la crescita della massa monetaria, è insufficiente a frenare l’effetto deleterio che hanno le crisi finanziarie sulla produzione e sul lavoro. Nella recente crisi del Giappone, i tassi di interesse erano, appunto prossimi allo zero, e non per questo hanno tenuto il paese indenne dalla crisi devastante che ancora oggi ne condiziona negativamente tutte le attività economiche.
N.B.