Domenico Furgiuele è un deputato della Lega. Non uno qualunque, ma uno di quelli che, poco meno di un decennio fa, ha permesso il radicamento del progetto salviniano nel Meridione. Originario di Lamezia Terme, vanta una storia particolare, che non lascia indifferenti: si avvicina alla politica giovanissimo, militando nelle formazioni della destra nazional-popolare e impegnandosi concretamente nell’attivismo di strada; per vivere fa l’operaio, lavorando duramente nei cantieri e ritagliandosi a fatica uno spazio per la famiglia e per gli amici. Non aspira a fare carriera, come tanti di quei “militanti ignoti” che si donano quotidianamente per un’idea, senza concepire necessariamente una contropartita materiale. Dopo un’esperienza ne “La Destra” di Storace, però, sceglie di lanciarsi nell’avventura della Lega, che poco più tardi avrebbe inaugurato il progetto di “Noi con Salvini”: una scelta apparentemente folle, che invece è risultata azzeccata. Pensare di poter presentare la Lega in Calabria, a quei tempi (siamo fra il 2013 e il 2014), era un’impresa fantascientifica: del resto, stiamo parlando del partito che – nell’immaginario collettivo – rappresentava la Padania del “secessionismo”. Una fase certamente lontana nel tempo, la cui eco – però – restava assordante. Furgiuele, tra gli altri, è stato l’artefice di un’innovazione che ha sostituito i vecchi pregiudizi con un nuovo entusiasmo, aprendo le porte ad un percorso di affermazione che lo ha portato a Montecitorio.
Nelle pagine de Il militante ignoto, pubblicato da Passaggio al Bosco Edizioni, il deputato leghista racconta la propria esperienza, ma lo fa attraverso una serie di riferimenti, di parole d’ordine e di linee di vetta: non si tratta di una banale biografia, ma di un manuale scritto in prima persona, nel quale emerge una chiara visione del mondo. Da una precisa concezione del lavoro ad un netto senso di appartenenza, passando per l’importanza dei legami e delle pratiche comunitarie, per la necessità di custodire e trasmettere la Tradizione, per la centralità della famiglia naturale quale scrigno degli affetti ed impalcatura della società: sono tanti i temi trattati, in un viaggio che unisce attualità e princìpi perenni, critica del moderno e proposte “politicamente scorrette”, esempi da seguire e spiragli di vita vissuta. Comunque la si pensi, non si può non cogliere un senso di assoluta abnegazione, di carica vitale, di gioia del dare, di voglia di cambiare: un impeto rivoluzionario e conservatore al tempo stesso, dove la giustizia sociale incontra l’eterno e tutte le certezze del nostro tempo sono messe in discussione, decostruite e sapientemente sostituite da qualcosa di nuovo, di libero e di diverso. Un testo decisamente fuori dagli schemi: coraggioso, diretto, semplice e necessario, il cui scopo non è il vuoto narcisismo, ma il contributo disinteressato ad una causa di ordine superiore.
Non è scontato che questo appello provenga proprio da un deputato, cioè da una persona che vive la politica nella sua più alta espressione istituzionale: da questo punto di vista, il concetto vale due volte, perché sfugge da ogni logica utilitaristica e da ogni interesse particolare. Furgiuele avrebbe potuto sfornare l’ennesimo libro commerciale sulla politica di Palazzo: ha scelto, invece, di tornare alle fondamenta di un impegno totalizzante, rispolverando gli antichi valori del sacrificio, del coraggio, della sacralità, della lealtà e del senso dell’onore. Avrebbe potuto utilizzare il bon ton da talk show, ma invece ha scelto la dialettica diretta dell’uomo del popolo. Avrebbe potuto elargire sviolinate e critiche scontate, ma invece ha messo in piedi un saggio di ottima fattura, la cui natura è decisamente controcorrente. In questo senso, le sue parole descrivono al meglio lo spirito del testo:
“In fin dei conti, ogni singolo sacrificio – fosse esso lavorativo, familiare o politico – è servito per forgiare il percorso del sottoscritto e della mia Comunità di appartenenza: col senno di poi, seppur tra mille difficoltà, la strada è stata affrontata con determinazione e coraggio. Ma, quel che più conta, non è stata affrontata da solo: in ogni singolo istante, accanto a me, ci sono sempre state persone straordinarie, la cui pazienza e la cui energia sono state determinanti per raggiungere i tanti obiettivi che abbiamo centrato in questi anni. Anche sulla scorta della mia esperienza lavorativa, però, ho elaborato e cercato di incarnare un certo modello di politica: fin da quando ero un giovane militante, infatti, ho disprezzato con tutto me stesso i parassiti, ovvero quelle persone che “succhiano” le energie altrui e si assumono meriti che non hanno.
Fu il professor Gianfranco Miglio, in una delle sue tante conferenze, a descrivere magnificamente questa metaforica figura, la cui tendenza – purtroppo – è assai diffusa nel mondo della politica: quanti – magari anche giovani – si affacciano a questo mondo con il solo scopo di fare carriera? Privi di ogni idea profonda, di ogni slancio, di ogni sana passione, pretendono di arrivare, di farsi notare, di diventare qualcuno. L’ombra del potere, da loro interpretato nei suoi lati peggiori, pare essere l’unico orizzonte: non hanno mai rischiato un’unghia, non si sono mai sacrificati, non hanno mai creduto in niente, eppure ambiscono a governare gli altri, a ricoprire incarichi, a “fare la storia”. Dal canto mio, non ho mai avuto bisogno di “essere” per “fare”: sono un “figlio di nessuno” che ha fatto il suo percorso, passo dopo passo, senza mai chiedere nulla e senza mai pestare i piedi agli altri. Al “reddito di militanza”, che spesso corrisponde con qualche assunzione al caldo, ho sempre preferito la prima linea. Solo lì, del resto, si afferma l’Idea”.