Nel 2017 sono nati in Italia appena 458mila bambini, il 3% in meno rispetto all’anno precedente con una continua curva discendente. Nel 1964, in pieno Baby Boom, erano un milione e 35mila. In mezzo secolo le nascite sono più che dimezzate e le conseguenze si vedono anche sull’economia. La popolazione invecchia, il disavanzo previdenziale cresce così come il debito pubblico mentre il Pil non sale abbastanza. Il ministro della Famiglia e della Disabilità Lorenzo Fontana è ben consapevole della gravità della situazione: ‘E’ una sfida difficilissima, una vera emergenza. Un Paese che non fa figli non ha futuro. E noi vogliamo garantire alle coppie la libertà di poter desiderare un figlio senza preoccupazioni. Non è un lusso, è il primo punto dal quale dobbiamo partire’.

‘Non servono interventi spot ma programmazione strategica e interventi prolungati nel tempo: un sistema fiscale ‘family friendly’, una drastica semplificazione tributaria, una rete di sostegno ai genitori, la valorizzazione dei consultori, un rafforzamento dei sussidi’, afferma il ministro Lorenzo Fontana.

Il calo delle nascite continua e nascono meno bambini in Italia  perché la riduzione della natalità dura da così tanto tempo che oggi ci sono meno donne che possono metterne al mondo:negli ultimi 10 anni le donne in età fertile, dai 15 ai 50 anni, sono calate di un milione (-900.000). Inoltre l’età media del parto è salita a quasi 32 anni (31,8), fatto che rende più complicato avere più figli nel corso della vita.

Una delle ragioni principali del crollo demografico, che in Italia ha portato il tasso di fecondità a 1,34 figli per donna, è stata la crisi economica. Crisi e disoccupazione hanno avuto un impatto diretto sulla dimensione delle famiglie.

Senza un recupero dell’occupazione e senza prospettive di lavoro stabili, dunque, la natalità difficilmente potrà ripartire. Molte ricerche hanno dimostrato che l’incertezza e la precarietà fanno aumentare le convivenze rispetto ai matrimoni e calare le nascite. Salari molto bassi per i lavori meno qualificati, spesso assai precari, obbligano a lavorare stabilmente in due se si vuole crescere un figlio, e non sempre basta. Anche per questo, rispetto a un tempo, meno donne con bassa istruzione diventano madri.

Quello che si nota oggi, tuttavia, è che la mancanza di figli caratterizza sempre di più anche gli uomini e le donne con istruzione elevata e carriere migliori.  Investire molto sulle proprie competenze sposta così tanto in avanti il momento per costituire una famiglia che a risentirne è la natalità. D’altra parte oggi ci sono più persone, sia uomini che donne, che non intendono rinunciare alla carriera o ad altre cose per far posto a dei bambini. E’ un cambio culturale con il quale si deve fare i conti.

Chi invece continua a nutrire il sogno di una famiglia deve rapportarsi a un contesto culturale ed economico che in Italia disincentiva la parità: mentre gli uomini con prole risultano più attivi sul mercato del lavoro, per le donne vale esattamente il contrario. Maternità e lavoro non riescono ancora ad andare d’accordo.

Occupazione, politiche per la conciliazione e un welfare più attento ai figli sono le strade per provare a far ripartire un po’ le nascite. Ma senza illusioni: il dato di 2,1 figli per donna – il tasso di sostituzione della popolazione – è diventato un livello che i Paesi sviluppati riescono ad avvicinare solo grazie a chi arriva da Paesi più poveri.

Antonella Di Pietro