Il peso specifico di ogni singolo partito un mese dopo le elezioni Europee

Quando è ormai passato un mese esatto dalle elezioni europee del 26 maggio, la politica italiana continua ad essere sostanzialmente immobile: è immobile la maggioranza di Governo, paralizzata dalle distanze tra Lega e M5s su praticamente qualsiasi dossier, ed è immobile l’opposizione, impegnata più nei rispettivi dibattiti interni che a contrastare l’esecutivo in Parlamento e fuori.

Come nelle settimane scorse, questo immobilismo si traduce in scostamenti davvero minimi nei sondaggi sulle intenzioni di voto. Per Supermedia, la Lega si mantiene sui suoi valori massimi (35,7%), quasi un punto e mezzo sopra il dato delle Europee. Si nota qualche segnale di recupero per il Movimento 5 Stelle, che torna sopra quota 18% ma rimane in terza posizione, staccato di oltre 5 punti dal Partito Democratico.

Per il momento il dibattito interno al M5s (cioè, sostanzialmente, le critiche alla linea tenuta nell’ultimo anno da Luigi Di Maio provenienti da Alessandro Di Battista) non sembrano penalizzare più di tanto i pentastellati, perlomeno a livello di consensi “virtuali”.

Continua invece la sfida tutta interna al centrodestra tra Forza Italia e Fratelli d’Italia, anche questa settimana separati da meno di un punto (0,9%). Il partito di Silvio Berlusconi sta cercando una via per rilanciarsi  aprendo  alla competizione interna (che per ora si annuncia riservata a Giovanni Toti e Mara Carfagna) mentre quello di Giorgia Meloni continua il suo trend positivo settimana dopo settimana: secondo l’ultimo sondaggio di Antonio Noto, FDI sarebbe arrivato addirittura a sfiorare l’8% dei consensi – mentre le stime di altri istituti sono decisamente più conservative.

Se andiamo a vedere come si traduce tutto ciò nel consenso verso le coalizioni che si sono presentate alle Politiche 2018, notiamo che quella che fu la coalizione di centrodestra (Lega-FI-FDI) oggi vale più del 50% dei voti. Già alle Europee questi tre partiti avevano sfiorato la maggioranza assoluta dei consensi, e già con quel dato potrebbero ambire ad ottenere una maggioranza schiacciante in Parlamento in caso di elezioni anticipate.

Il “caso” al centro dell’opinione pubblica questa settimana è però senz’altro quello relativo allo sbarco dei migranti soccorsi dalla nave della ONG Sea Watch. Secondo una rilevazione dell’istituto EMG, gli italiani si riconoscono in netta maggioranza nella linea del Ministro dell’Interno Matteo Salvini, che si era espresso contro l’attracco della nave sull’isola di Lampedusa.

Comprensibilmente, gli elettori della Lega concordano quasi all’unanimità (93%) con la posizione espressa da Salvini, mentre – altrettanto comprensibilmente – quelli del Partito Democratico sono in stragrande maggioranza (76%) contrari. Più spaccati invece gli elettori del Movimento 5 Stelle (49% a 47%), che infatti non ha espresso una posizione univoca a favore o contro lo sbarco dei migranti.

La vicenda Sea Watch ha messo (per il momento) in secondo piano le divisioni interne al Governo. Ma un dato interessante, anche questo proveniente da un sondaggio EMG, è che aumentano gli elettori convinti che l’attuale esecutivo sia destinato a durare ben oltre l’anno in corso. Nelle ultime due settimane, la quota di italiani che vede come ipotesi più probabile che il Governo duri fino alla fine della legislatura (2023) è salita di ben 10 punti, passando dal 34% al 44%.

I rumors delle scorse settimane, all’indomani del voto europeo, parlavano di una possibile crisi di governo già a luglio, per poter sfruttare la “finestra” temporale che consentirebbe di andare a nuove elezioni a settembre. Un’ipotesi che però non piace alla maggioranza degli italiani, come testimoniato da un recente sondaggio di Demopolis, secondo cui il 51% degli italiani sarebbe contraria a una crisi di governo prima dell’estate.

Dallo stesso sondaggio Demopolis emerge un altro dato interessante: gli italiani che hanno cambiato partito negli ultimi 5 anni sono il 70%. Solo 3 italiani su 10 hanno votato sempre per lo stesso partito dal 2014 a oggi. Ennesima conferma del fatto che viviamo in tempi in cui il consenso politico è estremamente volatile, e che il voto non è più un voto di appartenenza ma sempre più un voto di opinione che si dà “in prestito”, pronto ad essere “revocato” la volta successiva.

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