Il piano di Eni per sostituire il gas russo: da dove lo prenderemo

Il nuovo piano di sicurezza energetica nazionale (detto anche “piano per l’Energia e il Clima 2030”) progettato dal ministero dello Sviluppo Economico del leghista Giancarlo Giorgetti ha come soggetto attuatore l’Eni. Lo va congegnando l’amministratore delegato del gruppo Claudio Descalzi, tra soggiorni a Roma, dove ne parla con i vertici delle istituzioni, e mirati viaggi in Nord Africa e in Medio Oriente (sempre al fianco del ministro degli Esteri Luigi Di Maio che lo ha voluto con sè nelle trasferte delle ultime settimane), dove l’azienda ha relazioni d’affari consolidate e peculiari.

L’obiettivo sarebbe porre fine alla dipendenza dal gas russo, trovando per il 2023 nuove forniture diverse che coprano almeno la metà dei 29 miliardi di metri cubi provenienti dai giacimenti di Mosca. Dato il contesto, è come fare un’inversione in autostrada: ma il manager da giorni si raccorda con la Farnesina e con Mario Draghi per approntare la sterzata geopolitica. Del resto, Eni intermedia gran parte del gas usato in Italia, e quasi tutto il russo, che copre il 40 per cento del fabbisogno e risale a contratti del 1974.

I viaggi di Di Maio e Descalzi nei Paesi produttori

Il percorso è inverso a quello che il fondatore Enrico Mattei avviò circa 70 anni fa, comprando proprio a Mosca una prima fornitura di greggio. Seguirono decine di altri passi tra gli acquisti sempre maggiori di gas, i metanodotti paritetici, le società miste sugli idrocarburi e le raffinerie. Ma a partire dalle prime sanzioni alla Russia del 2015 molto di quel blasone è stato smontato, e ora l’invasione dell’Ucraina costringe il nostro Paese a pensare a quale possa essere un futuro alternativo.

“In due mesi riusciremo a dimezzare la dipendenza dal gas russo: non saremo più soggetti ad eventuali nuovi ricatti” ha detto domenica scorsa il ministro degli esteri Luigi Di Maio, ospite del programma di Rai 3 ‘Mezz’ora in più’ condotto dalla giornalista Lucia Annunziata. “L’Italia sta costruendo nuove partnership, in particolare con Algeria, Angola, Qatar e Congo: in questi Paesi abbiamo la disponibilità delle autorità locali ad aumentare le quantità di gas che importiamo”.

La guerra in Ucraina e i membri dell’Opec

Le promesse dell’esponente del Movimento 5 stelle vanno prese con le molle, per più motivi. Il primo è di quadro interno: tra un anno in Italia si vota, con esito incertissimo. Poi ci sono le incertezza dello scenario internazionale: nessuno sa come finirà la guerra, ma tutti sanno che le materie prime saranno sempre più preziose. Ci sono infine i vincoli tecnico-contrattuali: la maggior parte del gas italiano arriva via tubo, “un matrimonio indissolubile” come ricorda Massimo Nicolazzi, ex manager Eni che insegna economia delle risorse energetiche.

E nella gara globale ad assicurarsi gas e greggio, i Paesi produttori danno priorità agli usi interni. Le istituzioni hanno chiamato Claudio Descalzi per i 41 anni di anzianità all’Eni. Conosce molto bene i leader dei Paesi Opec, ed è tra i pochi italiani che possono sedere ai tavoli negoziali del caso. Così il primo marzo il titolare della Farnesina, che lo stima da anni, se l’è portato in missione ad Algeri. I viaggi in tandem sono proseguiti in Qatar (il 5 marzo), Angola e Congo (il 13 marzo). In ogni visita i due hanno chiesto maggiori forniture di metano, anche se i nodi da sciogliere sono tanti e servirà tempo.

La situazione in Nord Africa e il tubo GreenStream

In Algeria il nuovo gas Eni va “sviluppato”: l’azienda tornerà a investire grazie ad una licenza ottenuta di recente. Quando il gas riaffiorerà potrà veicolarne in Italia pochi miliardi in più. Simili trattative serviranno in Qatar ed Egitto (anche lì Eni produce molto, ma per gli egiziani). Anche un’altra clausola tipica sarà forse da rivedere: quella per cui se il prezzo di mercato del gas liquido supera quello del gas via tubo, le eccedenze si possono vendere via nave a clienti terzi.

Il dossier Angola-Congo invece prevede due impianti di liquefazione, fino a 2 milioni di tonnellate l’anno che potrebbero, dopo il 2023, salpare verso l’Italia; il 10 marzo anche Mario Draghi ne avrebbe parlato, in una chiamata al presidente del Congo Dénis Sassou Nguesso. Infine, ci sono da ravvivare le produzioni in Libia, dove anni di guerra civile hanno più che dimezzato i 10 miliardi di capacità del tubo GreenStream.

La nostra produzione e i contratti di Eni

In tutto questo c’è anche la produzione nostrana, scesa a 3,3 miliardi di metri cubi anche per veti politici e locali, ma che il governo punta a raddoppiare in tempi brevi con agevolazioni al varo. Della nuova strategia si avranno ragguagli durante la presentazione del piano Eni 2022-2025. Giorni fa una portavoce ha annunciato la sospensione “di nuovi contratti di approvvigionamento di greggio o prodotti petroliferi dalla Russia“. La mossa non tocca i vecchi contratti pluriennali, su cui Eni “sta già svolgendo, caso per caso, opportune valutazioni commerciali e di logistica”.

Nel 2021 il 18 per cento dei greggi lavorati da Eni era di provenienza russa, ma l’azienda “prevede di sostituire le quote ricorrendo al mercato internazionale, data l’ampia flessibilità di lavorazione delle raffinerie Eni e l’ampia qualità dei greggi lavorabili”. Per ora non si parla del gas russo, ben più vitale per l’Italia. E in generale Eni dice che “l’attuale presenza in Russia è molto limitata e la società sta operando e opererà nel pieno rispetto delle decisioni eventualmente prese a livello istituzionale europeo e nazionale”.

La questione dei rincari e il ruolo di Gazprom

Tra l’altro, i prezzi stellari raggiunti da gas e greggio sui listini, su cui si fondano i contratti tra Eni e Gazprom, riducono molto i possibili ricarichi sui compratori italiani. Nel bilancio 2021, il migliore da un decennio con 4,7 miliardi di euro di profitti, Eni guadagna molto dalla vendita di olio e di gas di produzione propria, ma solo 169 milioni dalla divisione “Global Gas & Gnl”, che intermedia gas all’ingrosso.

Dire addio al gas russo di Gazprom e rimpiazzarlo con gas Eni, finanziariamente, potrebbe essere un affare. E preparare la strada al quarto mandato di Descalzi ad, nel 2023. Un rinnovo nel segno dell’indispensabilità, che lo renderebbe il capo più longevo dell’azienda nata nel 1953.

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