Non solo l’ex Ilva, Taranto versa in “una più generale situazione emergenziale”, di fronte a cui “reputo necessario aprire un ‘Cantiere Taranto’, all’interno del quale definire un piano strategico, che offra ristoro alla comunità ferita e che, per il rilancio del territorio, ponga in essere tutti gli strumenti utili per attrarre investimenti, favorire l’occupazione e avviare la riconversione ambientale”. E’ quanto scrive il premier Giuseppe Conte in una lettera ai ministri, il cui testo è riportato da Repubblica.
Il rilancio dell’intera area necessita di un approccio globale e di lungo periodo. La politica deve assumersi la responsabilità di misurarsi con una sfida complessa, che coinvolge valori primari di rango costituzionale, quali il lavoro, la salute e l’ambiente, tutti meritevoli della massima tutela, senza che la difesa dell’uno possa sacrificare gli altri, evidenzia Conte, che chiama i ministri a presentare subito proposte.
In vista del prossimo Consiglio dei ministri di giovedì 14 novembre, ti invito, nell’ambito delle competenze del tuo dicastero, ad elaborare e, ove fossi nella condizione, a presentare proposte, progetti, soluzioni normative o misure specifiche, sui quali avviare, in quella sede, un primo scambio di idee”, scrive il premier. La discussione – spiega – proseguirà poi all’interno della cabina di regia che ho intenzione di istituire con l’obiettivo di pervenire, con urgenza, a soluzioni eque e sostenibili.
Conte aggiunge che già il ministro della Difesa Lorenzo Guerini “ha comunicato l’intenzione di promuovere un intervento organico per il rilancio dell’Arsenale”, e il ministro per l’Innovazione Paola Pisano “ha rappresentato la volontà di realizzare un progetto di ampio respiro, affinché Taranto possa diventare la prima città italiana interamente digitalizzata”.
Mentre scriviamo nel reparto Acciaieria 2 dello stabilimento siderurgico Arcelor Mittal di Taranto una ‘siviera’ (una caldaia di colata che contiene metallo fuso) appena uscita dal ‘Convertitore 1’ si sarebbe bucata “sversando acciaio in fossa e procurando fiamme altissime che hanno raggiunto alcune tubazioni di gas”. È quanto denunciano Fim, Fiom e Uilm, precisando che solo l’intervento tempestivo dei vigili del fuoco che hanno gestito l’emergenza in maniera professionale ha evitato il peggio.
La vicenda che sta investendo le sorti dell’ex Ilva e ArcelorMittal coinvolge al contempo i partiti, il governo e governi passati, la stampa e altro. Trovo utile riportare la lettera inviata da Luca Telese, giornalista della 7 a Carlo Calenda, Viceministro dello sviluppo economico nei governi Letta e Renzi. Ascoltiamo Luca Telese: ‘Secondo me Carlo Calenda fa benissimo a fare quello che fa. Fa bene a difendere Mittal ovunque vada. Sente la responsabilità di aver gestito una partita importante, ha sicuramente operato in buona fede, difende la multinazionale franco-indiana anche per difendere se stesso, cioè il suo lavoro nell’accezione migliore del termine. Si sente legato a quel patto siglato quando lui era ministro. Non c’è nulla di male, per lui. Ma certo non può pretendere che lo stesso ragionamento debba valere anche per noi. Purtroppo, siccome il conflitto di interessi è una brutta bestia, anche quando è “buono”, forse Calenda non si rende conto fino in fondo che, così facendo, regala la sua credibilità ad una azienda che in queste ore sta ricattando i lavoratori, una intera città, il governo e il nostro paese (Ilva vale – come è noto – un punto e mezzo del nostro Pil). Se Mittal stesse spegnendo l’1,5 per cento del Pil tedesco i tedeschi sarebbero già mobilitati, se stesse spegnendo l’1,5 per cento del Pil francese i Jilet jaunes sarebbero già in piazza. Da noi invece prendere a schiaffi le istituzioni sembra una cosa molto chic e qualcuno addirittura applaude. Per motivi imperscrutabili che riguardano chi assortisce gli inviti nel talk, Calenda ed io ci siamo trovati ospiti insieme già in tre programmi a discutere di Ilva, e – chissà perché – sempre accompagnati da Alessandro Sallusti. Ovviamente eravamo sempre su posizioni contrapposte. Fateci caso: in nessuna di queste ospitate, come negli altri interventi sull’Ilva, Calenda spende la sua passione per difendere i diritti di chi di veleni in questi anni è morto. C’è sempre Mittal nella sua testa e nel suo cuore, e gli altri temi, o gli altri soggetti sono solo comparse: nei suoi chiodi fissi ci sono gli odiati Grillini, ovviamente. Poi la Lezzi che per lui è ovviamente una analfabeta (“Si vuole candidare alle regione Puglia”) e avrebbe la colpa insanabile di essere “una segretaria”. Quindi c’è “il governo degli incompetenti” che “cala le braghe”. E poi anche Conte “che non sa che pesci pigliare” (intervista a Il Foglio). Tutte definizioni testuali sue, ovviamente. Poi se gli dici che lui fa “l’avvocato difensore” si arrabbia e ti da del “tribuno”, del “demagogo”, del “populista”. Lui può definirti “bambino d’asilo” e offrirti “il ciuccio”, ma se gli dici – è innegabile – che in questa storia si sta comportando “come l’oste che reclamizza il suo vino dicendo che è buono” si imbufalisce. Ciò non toglie che Calenda sia una persona perbene, io credo intellettualmente onesto appassionato e saturnino, perché faccio parte della scuola che non ama dileggiare quelli con cui litiga. Tuttavia Calenda cambia sempre versione, lo fa con grande e istintiva naturalezza, anche con abilità. Io non guadagno o perdo nulla, in questa discussione, se non le mie idee di cittadino. Lui invece deve tutelare la sua immagine: così a volte è splendidamente demiurgico. Lui ha fatto la gara e ha addirittura “inventato” (parola testuale che utilizza) la cordata concorrente. Poi, magari, solo dieci minuti dopo ti dice: “la gara non l’ho fatta io, ma i commissari sotto il controllo dell’Europa”. Da Lilli Gruber voleva dare lezioni di diritto a Gianrico Carofiglio che gli ha risposto (“Su questo tema è meglio che non parli”). Da Nicola Porro attaccava il suo (ex) partito, il Pd. Ed è curioso che manchi di rispetto a ministri come Giuseppe Provenzano e Francesco Boccia che fino a ieri erano suoi colleghi riformisti e che ora – probabilmente – ai suoi occhi sono colpevoli di mettere in dubbio le verità di Mittal, di sostenere che quella di andarsene è una pretesa insensata, un abuso. Di Michele Emiliano, poi , dice ogni volta peste e corna: perché ha il torto di essersi convinto che l’altra cordata, che prometteva di decarbonizzare era meglio di Mittal. E io mi faccio una domanda: ma se quella cordata con Jindal l’ha inventata Calenda, non dovrebbe essere contento del fatto che Emiliano preferisse il suo progetto? Calenda attacca tutti e ripete ovunque: “Bisogna rimettere subito lo scudo”. Ma può esistere uno scudo “Ad aziendam”? E se lo ottiene Mittal, perché non lo devono ottenere tutte le altre aziende impegnate in opere di risanamento ambientale? Io farei una legge non ritagliata su di un singolo soggetto ma su di un principio (ma è ovvio, io non capisco nulla, e dovrei solo occuparmi del ciuccio che Carlo generosamente mi offre)’.
Questo intervento giornalistico a latere del testo, e della proposta del premier sul ‘Cantiere Taranto’, offre la veritiera situazione di una vicenda che investe il Paese e per la quale si naviga non a vista ma nel buio totale. Non c’è una linea procedurale chiara in termini politici ed economici, in senso nazionale e non, ma solo un coacervo di voci, spesso contrastanti, che poco lasciare sperare per una felice definizione…
Cocis