Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte afferma di non avere intenzioni di cadere in agguati di partiti di maggioranza e opposizione né di cedere la delega sui servizi segreti e si dice pronto a riferire al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir) per smentire chi ritiene l’Italia a sottomessa agli ordini della Casa Bianca. Di più: «Io non sono servo di nessuno. Sono più duro perfino di quanto fu Bettino Craxi a Sigonella», si difende con il Corriere citando l’episodio risalente all’ottobre 1985, quando l’allora premier socialista difese il territorio italiano entrando in conflitto con i servizi segreti statunitensi.
Ma è un secondo quesito a fornire ulteriori elementi sul punto: i canali diplomatici Usa si sono rivolti direttamente al premier? No, assicura Palazzo Chigi. «Conte non ha avuto un contatto diretto». Piuttosto, «la richiesta è stata fatta da Barr tramite la diplomazia. Ed è stata fatta pervenire al responsabile dell’intelligence. E quindi anche Conte è stato informato». Il percorso, spiegano, sarebbe dunque questo: il ministro Usa attiva canali diplomatici statunitensi. Questi entrano in contatto con Vecchione, pare senza una mediazione “diplomatica” italiana. E a quel punto anche il premier viene informato, presumibilmente dallo stesso capo del Dis, e autorizza Vecchione a incontrare Barr.
Poi c’è il terzo e più importante punto: per quale ragione politica e istituzionale Conte ha autorizzato gli incontri di Barr con i vertici dei Servizi italiani?
«Era nostro interesse – è la spiegazione fornita – chiarire quali fossero le informazioni degli Stati Uniti sull’operato dei nostri Servizi all’epoca dei governi precedenti». Si tratta del periodo che va dal 2016 al 2017. A guidare l’esecutivo erano prima Renzi e poi Gentiloni. Di fatto, Conte autorizza colloqui per capire cosa gli Stati Uniti sanno delle mosse dei servizi italiani e della linearità dei comportamenti dei governi a cui rispondevano.
Puntando dunque l’obiettivo su Renzi, il principale sponsor del Conte bis. E su Gentiloni, scelto da Conte come commissario agli Affari economici Ue per cementare il patto Pd-5S. Ma non basta. Palazzo Chigi fa sapere anche che Conte non ha colto alcuna sgrammaticatura nel format che ha portato allo stesso tavolo Barr e Vecchione. «Nessuna anomalia, ma anzi massima prudenza».
Le risposte di Conte su Trump e il Russiagate sembrano essere costruite apposta per diventare un boomerang nei confronti di chi domandava, e in particolare di Matteo Renzi, come nota oggi Carlo Bonini su Repubblica:
Non è necessario un indovino per immaginare che messa così, la storia avrà effetti politici forse ancor più imprevedibili. Quantomeno nel già complicatissimo rapporto tra il presidente del Consiglio e Renzi. Ma è altrettanto evidente che questa ricostruzione non esaurisce le domande cui Conte ha promesso di rispondere di fronte al Copasir, il Comitato parlamentare di controllo sui Servizi, non appena avrà trovato un accordo sul suo nuovo Presidente. Non si comprende infatti, pur volendo stare alla sua ricostruzione, come mai il premier abbia autorizzato il direttore del Dis a un incontro al buio con gli americani senza comprendere l’anomalia di un vis a vis tra l’autorità politica di un Paese estero e un alto dirigente della nostra Intelligence.
Né si comprende come mai, se è vero, come Conte ora sostiene, che la visita di Barr e Durham venne chiesta attraverso canali diplomatici dal Dipartimento di Stato direttamente a Vecchione (cui lui poi diede semaforo verde), fonti diplomatiche americane, ancora due giorni fa, raccontavano al New York Times esattamente il contrario. Vale a dire che la diplomazia americana venne tenuta all’oscuro dei motivi delle visite in Italia. Ci sarebbe anche un’ultima circostanza. Che la ricostruzione di Conte non smentisce, ma anzi accredita. Che nella partita del “Russiagate”, Palazzo Chigi e Casa Bianca, nell’estate appena trascorsa, abbiano usato i Servizi per vicende che nulla avevano a che fare con la sicurezza nazionale.
Il presidente del Consiglio deve ancora spiegare le ragioni dell’impegno assunto con Donald Trump a collaborare sul Russiagate. Un impegno preso in assoluta solitudine e nel pieno di una crisi che lo avrebbe visto nell’arco di due settimane restare presidente del Consiglio nell’avvicendamento di due maggioranze di opposto colore.
Quando e da chi è stato chiesto? E perché si è deciso di consentire a un esponente politico dell’amministrazione americana di avere contatti diretti con l’intelligence? Il contenuto del faccia a faccia rimane segreto, ma è presumibile che in quella sede Vecchione si sia impegnato a fornire le informazioni richieste visto che appena un mese e mezzo dopo parte una lettera di convocazione per il direttore dell’Aise Luciano Carta e per quello dell’Aisi Mario Parente. Poche righe per fissare ora e luogo della riunione — la sede del Dis in piazza Dante — specificando che «è gradita la presenza» di tutti.
Non è infatti senza significato che Conte abbia deciso di rinviare ancora una volta il chiarimento di fronte al Copasir che proprio lui, ricorda Carlo Bonini su Repubblica, decise di non informare, né formalmente, né informalmente, né prima, né dopo i due incontri di Roma tra il ministro Barr e i nostri Servizi il 15 agosto e il 27 settembre.
Nella scelta di Conte, è evidente il nervosismo e l’allarme di chi, in ritardo, ha compreso che il Russiagate può trasformarsi in una garrota. Con l’ex alleato (Salvini) che ha ora gioco facile a rimproverargli ciò che lui gli ha rimproverato per “Moscopoli” – la fuga dal Parlamento – un Comitato parlamentare di Controllo sui Servizi (Copasir) che da mercoledì avrà un nuovo Presidente scelto tra le opposizioni, e il mobilissimo Renzi, lesto a sfruttare l’occasione per chiedere (lo ha già fatto) che il Premier si spogli del suo potere di indirizzo sui Servizi a beneficio di un’autorità politica delegata in grado di meglio garantire lui e l’intera maggioranza.
Questo perché, ricorda Bonini, i Servizi segreti non sono i Moschettieri del Re. E il presidente del Consiglio dovrebbe ricordare che “chi, in passato, si è abbandonato a questa irresistibile tentazione – il Sismi di Nicolò Pollari all’acme del ventennio berlusconiano – non ha avuto fortuna. Dovrebbe ricordare il caso Abu Omar (anche lì qualcuno pensò di fare un favore all’amico di turno alla Casa Bianca facendogli sequestrare a Milano un imam da agenti della Cia con l’appoggio di uomini dei nostri apparati)”.