In un mondo sospeso tra ieri e oggi, il lavoro di Robin Maugham scava nell’eterno desiderio che giace in molti esseri umani di dominare ed essere dominati ed indaga il rapporto complesso e perverso vittima-carnefice
Al Teatro Mercadante di Napoli, fino al 21 gennaio, è in scena ‘Il Servo’ dal romanzo omonimo di Robin Maugham, regia di Andrea Renzi e Pierpaolo Sepe.
È interpretato, in ordine di apparizione, da Tony Laudadio, Emilia Scarpati Fanetti, Andrea Renzi, Lino Musella, Maria Laila Fernandez.
Le scene dello spettacolo sono curate da Francesco Ghisu; i costumi da Annapaola Brancia D’Apricena; le luci da Cesare Accetta. Una produzione Teatro Stabile di Napoli-Teatro Nazionale, Casa del Contempraneo, Teatri Uniti, Fondazione Campania dei Festival-Napoli Teatro Festival Italia.
Attraverso i due protagonisti, prima separati dai loro ruoli di servo e padrone e poi uniti in una simbiosi angosciante, il romanzo breve indaga i meccanismi perversi, più diffusi di ciò che si possa immaginare, che attraversano alcuni rapporti umani. In effetti, a riflettere bene, le dipendenze psicologiche numericamente sono molte di più di quanto si consideri, se si includono anche quei rapporti in cui tale fenomeno si verifica in maniera meno accentuata ed evidente di quella efficacemente descritta dall’autore. Ma questo è un altro discorso.
Il lavoro di Robin Maugham scava nell’eterno desiderio che giace spesso dormiente in molti esseri umani, per poi svegliarsi all’improvviso – più o meno palesemente evidente, in altri – di dominare ed essere dominati, e li porta a costruire una tantum o in ciclicità, un rapporto complesso e perverso vittima-carnefice.
Andrea Renzi e Pierpaolo Sepe partono dall’adattamento teatrale realizzato da Maugham nel 1958 memori delle atmosfere efficaci del fortunato film di Joseph Losey (1963) con la sceneggiatura di Harold Pinter.
Di grande attualità e fascino, il sottile gioco che vede l’uso del potere, padrone della vita dell’uomo, tanto da riuscire addirittura a stravolgerla, portando anche alla luce i lati più oscuri, reconditi, torbidi.
Al centro di questo racconto, vi è la storia di un legame fatto di dominazione, dal quale deriva l’imponenza di un uomo su di un altro uomo, Servo sul Padrone e non più Padrone sul Servo, dell’inversione di ruoli che in breve tempo ribalterà le loro esistenze.
Opera di intensità, già quando fu stampata nel 1948 e distribuito nelle librerie inglesi, venne indicata come ‘un piccolo capolavoro di abiezione’ ed è tuttora considerata una commedia nera e di scavo psicologico, capace di riempire le sale teatrali con un pubblico di qualità, destinatario prediletto.
Favorevole la critica che attribuì presto allo scrittore allora giovane, notevole talento narrativo, accostandolo a quello di Somerset Maugham, già noto ed apprezzato zio.
La trama efficace ed asciutta si sviluppa all’interno di una ricca casa borghese ed è volutamente strutturata come una ragnatela, tessuta con lentezza dal ragno: il domestico Les Barrett (Lino Musella).
Lo scaltro servo viene preso a servizio da Tony Mounset (Andrea Renzi), ricco avvocato londinese, al suo rientro in Inghilterra dopo molti anni trascorsi forzatamente all’Estero in condizioni disagevoli, lontano dalla civiltà britannica con le sue comodità, le luci, i divertimenti, il buon mangiare ed il buon bere.
Il domestico apparentemente perfetto, lavora inizialmente con zelo, poi riesce a rovesciare i ruoli servo-padrone, attraverso ambigui giochi psicologici ed attraverso questi riesce a manovrare indirettamente anche Richard (Tony Laudadio), amico-testimone della vicenda, Sally (Emilia Scarpati Fanetti), fidanzata di Tony – messa fuori gioco con sottile abilità – e l’autentica o presunta nipote di Barrett, Vera, oltre alla misteriosa Mabel (entrambe interpretate da Maria Laila Fernandez).
Riuscirà nella sua strategica missione di ribaltamento, adoperando con diabolica furbizia le tentazioni che da sempre rendono l’uomo schiavo: agi, sesso, cibo, alcol. Usando, dunque, armi peraltro scontate ma da secoli efficaci, se adoperate con la dovuta scaltrezza ed eventuale capacità di improvvisazione, laddove opportuna o necessaria. Perché non tutte le mosse dell’avversario sono esattamente prevedibili, nemmeno per il ragno più esperto e paziente. E Barrett, proprio come un ragno, sa restarsene ad aspettare che la vittima, passata l’indignazione per averlo colto in flagranza, ritorni sui suoi passi e lo perdoni, riammettendolo in casa, per tendergli una trappola ancora più atroce, satanica.
Andrea Renzi riesce a rappresentare efficacemente questo graduale ed inesorabile declino della volontà, l’impotenza man mano più accentuata, fino all’ annullamento totale nella palude senza ritorno, trascinando con sé lo spettatore nel limbo asfissiante, anticamera dell’abissi che si percepisce sempre più vicino.
Gli incisivi cambi di scena ‘a vista’ e la musica sempre più incalzante fino a diventare assordante ed ossessiva: in questo modo i due registi riescono a trascinare gli spettatori all’interno della scena, in una prigione domestica angosciante, dove dominano perdizione ed annullamento, ed a coinvolgerli nel profondo, obbligandoli a prendere coscienza dell’oscurità dell’anima e della precarietà dell’esistenza umana perché nulla è scontato ed il pericolo è sempre in agguato, pronto a prendere il sopravvento laddove vi è uno sfortunato cedimento e c’è chi – vigile e determinato – è già ad aprire una breccia che trasformerà artatamente in voragine, pozzo senza fondo, strada che non ha ritorno.
Inevitabilmente, lo spettatore è portato a chiedersi quanto di Tony o di Barrett ci sia in ognuno di noi e quale sarà il futuro di ciascuno… e quale è già il presente.
Questa seconda traduzione di Lorenzo Pavolini valorizza la scrittura del romanzo che ‘è decisamente più scarna e minima, concentrata nel raccontare un preciso costume sociale rispetto al testo teatrale. Infatti nel racconto c’è l’amicizia e la gioventù in tutta la sua ambigua e irrinunciabile forza, la malinconia e la vitalità di una generazione che usciva dalla guerra, il legame creato tra uomini che sono stati prima di tutto compagni di trincea, soldati, e che ora tornano alla vita, alla città, al sesso, ai problemucci di sempre’.
Il tutto in un mondo sospeso tra ieri e oggi, alla metà del secolo, dove i domestici sono servi e alla fidanzata si fa la dichiarazione, dove la Londra vittoriana non si è ancora sciolta nello swinging, le prostitute hanno la pelle rovinata e sono il male, l’omosessualità è fosteriana e la sensualità una perdizione – continua Pavolini – Barrett è un demonio che rappresenta il bieco e disonesto desiderio della democrazia ed è pronto a prendere il sopravvento sull’artistocratico cadente, o per lo meno a guidarlo, appiattendolo verso il basso in una lasciva quanto infangante equiparazione dei costumi, non scevra dall’ossessione erotica che sfocia nell’abiezione ed annuncia il disastro assoluto’.
Teresa Lucianelli