Ilva tra Sallusti e Di Maio: ‘Problema affidato a un ragazzino che fino a 4 anni fa vendeva bibite’

 

”Abbiamo affidato una decisione fondamentale per le sorti del Paese a un ragazzino che fino a quattro anni prima vendeva le bibite al San Paolo”. Il direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti sintetizza così la questione Ilva, dopo l’annuncio improvviso dell’addio del gruppo ArcelorMittar che ha scosso il governo. Ospite a Otto e mezzo di Lilli Gruber su La7 insieme allo scrittore Gianrico Carofiglio e al giornalista Luca Telese, Sallusti ha risposto proprio a quest’ultimo in merito a un paragone sulla questione dell’Ilva tra l’ex ministro dello sviluppo economico nei governi Renzi e Gentiloni Carlo Calenda e Di Maio, a capo del MiSE durante il governo Conte I. “Avrei qualche dubbio su Di Maio come Calenda. Calenda ha portato qui il primo gruppo internazionale di produzione dell’acciaio e ha fatto mettere sul piatto 4 miliardi. Di Maio li ha fatti scappare. Attenzione a dire che sono uguali”.

“Il problema è stato affidare questa cosa, che era decisiva, a un ragazzino di trent’anni che fino a quattro anni prima vendeva bibite al San Paolo. Se gli affidiamo le cose più strategiche e delicate….”, ha detto Sallusti.

Secondo lo stesso Calenda, presente anche lui in studio, “la colpa è dei due governi precedenti”: “Quando Arcelor Mittal ha comprato con una gara Ilva, investendo 4 miliardi e 200 milioni di euro, nella gara era previsto lo scudo penale. Questa immunità è stata levata dal governo Conte 1, e cancellata definitivamente dal governo Conte 2 con un voto del M5s insieme a Renzi e il PD”.

Tra i motivi che hanno spinto ArcelorMittar ad annunciare l’addio c’è la questione dello scudo penale per i commissari straordinari e acquirenti dell’ex Ilva. Nel decreto “salva Ilva” del 2015 varato dall’allora governo Renzi si prevedeva l’esclusione dalla “responsabilità penale e amministrativa del commissario straordinario, dell’affittuario o acquirente (e dei soggetti da questi delegati) dell’ILVA di Taranto in relazione alle condotte poste in essere in attuazione del Piano ambientale” in merito alle “condotte poste in essere in attuazione” del Piano ambientale della fabbrica.

Con una norma inserita nel cosiddetto “decreto crescita” il governo gialloverde guidato da Lega e M5s ha limitato “dal punto di vista oggettivo l’esonero da responsabilità alle attività di esecuzione del cosiddetto piano ambientale, escludendo l’impunità per la violazione delle disposizioni a tutela della salute e della sicurezza sul lavoro”, individuando “nel 6 settembre 2019 il termine ultimo di applicazione dell’esonero da responsabilità”. ArcelorMittar minaccia di andarsene dopo quella scadenza e qualche settimana dopo, con il decreto “salva imprese” ad agosto, lo scudo viene ripristinato parzialmente tra modifiche e limitazioni di “compromesso”, come hanno riferito i commentatori, tra gli interessi di ArcelorMittar e la posizione di Di Maio e del M5s, da sempre favorevoli alla chiusura dell’Ilva.

Con il governo Conte II e la nuova maggioranza M5s-Pd, lo scudo per i manager però è stato nuovamente eliminato dalla versione definitiva del decreto “salva imprese” grazie a un emendamento al decreto Imprese presentato dalla pentastellata pugliese Barbara Lezzi (e votato da M5s, Pd e Italia Viva).

Anche il Colle preme per una soluzione, che al momento appare lontanissima. “L’Ilva non può chiudere” dicono in coro tutti i principali leader politici. Non sarà facile, stavolta, passare dalle parole ai fatti. Il sindaco interviene nel dibattito: “Sbagliano tutti quei politici e leader che in queste ore gridano allo scandalo in favore del gestore, dimenticando ogni minima delicatezza versa Taranto”. Il Presidente della Regione Emiliano: “Hanno sempre voluto chiuderla”.

Il governo “non consentirà la chiusura dell’Ilva”. Lo affermano fonti del ministero dello Sviluppo economico. Il premier Giuseppe Conte ha convocato una riunione d’urgenza a Palazzo Chigi e oggi  incontrerà di persona i vertici di ArcelorMittal. “Non esistono i presupposti giuridici per il recesso dal contratto”, avvertono dal Mise. La questione Ilva “ha la massima priorità”, ha affermato il presidente del Consiglio.

La situazione potenzialmente è drammatica, inutile girarci intorno. Secondo il segretario nazionale della Fim Cisl Marco Bentivogli la volontà di ArcelorMittal di recedere dal contratto “significa che partono da oggi i 25 giorni per cui lavoratori e impianti ex Ilva torneranno all’amministrazione straordinaria. Tra le motivazioni principali, il pasticcio del Salva-imprese sullo scudo penale. Un capolavoro di incompetenza e pavidità politica: non disinnescare una bomba ambientale e unire una bomba sociale”.  “Una decisione che assume un carattere grave per le conseguenze industriali, occupazionali e ambientali”, commenta il leader Fiom, Francesca Re David.

Interviene nel dibattito il primo cittadino Rinaldo Melucci: “È un momento drammatico per Taranto e per i lavoratori dell’ex Ilva, perciò la cautela deve essere massima, attendiamo le determinazioni del Governo prima di pronunciarci sulle ultime iniziative di ArcelorMittal, che certo anche in questo momento, per quanto fosse nota la questione dello scudo penale, non ha brillato per senso di responsabilità e propensione al dialogo verso le Istituzioni e il territorio che li ospita, non senza nuove recriminazioni”

E sbagliano – continua – tutti quei politici e leader che in queste ore gridano allo scandalo in favore del gestore, dimenticando ogni minima delicatezza versa Taranto. Lo ribadiamo a chiare lettere, per quanto sia auspicabile la certezza del diritto per tutti gli investitori, non è a causa dello scudo penale che rischiamo di perdere l’acciaio, ma per quello che ArcelorMittal ci sta facendo vedere da settimane, per esempio, sul camino E312 e per la resistenza contro l’introduzione di una valutazione del danno sanitario. Voglio vedere in questa crisi una opportunità, nonostante tutto. Se il Governo, come sembrerebbe dalle prime mosse, avrà la forza di tenere al tavolo del negoziato ArcelorMittal, forse ci sarà ancora spazio per rimettere in equilibrio tutte le esigenze, quelle ambientali e sanitarie, come quelle occupazionali e tecnologiche, persino quelle giuridiche ed economiche connesse al contratto. E il tutto, questa volta, consentendo alla comunità ionica di svolgere sin da principio un ruolo da protagonista, o non sarà mai una soluzione definitiva e soddisfacente.

No, non è vero che quel piano ambientale ed industriale del 2017 era il più evoluto del mondo, partiamo da qui, e sono per altro mutate molte delle circostanze oggettive e di mercato alla base di quell’accordo col Governo, dunque è il momento di riaprire legittimamente e correttamente il confronto con l’affittuario, finanche ridiscutendo la governance del principale produttore di acciaio italiano. Se la loro fosse solo tattica sarebbe già riuscita male, oltre che risultare uno sberleffo per una città che ha tanto sofferto e non è più disposta ad alcun genere di ricatto. Se non lo fosse, come in fondo ci auguriamo, dovremmo essere pronti ad un rilancio coraggioso, per i nostri lavoratori e per i nostri concittadini,  conclude Melucci.

“Era tutto già scritto, un errore disastroso: imbastire una gara e poi dare l’Ilva a chi non aveva interesse a rilanciarla”,  afferma Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia in un’intervista la quotidiano ‘Il Fatto Quotidiano’ sottolineando come “l’operazione di vendita a Mittal ha sempre nascosto la volontà di consentire al più grande monopolista europeo di acquisire quote e clienti del l’Ilva e poi, con la scusa dell’immunità, di sfilarsi. Ora il cerchio si chiude. Andava ceduta a un soggetto meno coinvolto nell’acciaio europeo, più motivato a innovare gli impianti dal punto di vista tecnologico”.

Quella dell’immunità è una scusa patetica. – prosegue Emiliano – Tutti sanno che se si adempie alle prescrizioni del piano ambientale si applica una legge e nessuno può essere punito per questo, stesso discorso per le condotte del passato. Lo scudo era incostituzionale, la Consulta l’avrebbe cassato. In tutta Europa solo Ilva ha una norma del genere: come poteva reggere davanti alla corte di Giustizia Ue?.

L’Ilva se non fosse mai esistita sarebbe stato un bene per la Puglia e per Taranto: ha causato centinaia di morti sul lavoro e migliaia per le malattie legate all’inquinamento. Ma oggi esiste e quello che non si può fare è farla implodere. – prosegue Emiliano – Se il governo decide di chiuderla, deve fare un piano per gestire la riconversione degli impianti. Se decide, per ragioni strategiche, di tenerla aperta, non può che puntare a produrre senza bruciare carbone. Era il piano della cordata rivale guidata da Jindal. In un incontro con Mittal, l’unico a cui mi hanno ammesso, chiesi all’ad se era possibile produrre acciaio bruciando gas, mi disse di sì, a patto di avere lo stesso prezzo del gas che si ha negli Usa.

L’acciaieria è fondamentale per il sistema industriale italiano. E, di fatto, è già dello Stato, che affitta gli impianti. Se il governo, di fronte al ricatto di Mittal, decidesse di riprendersi la gestione diretta non sarei contrario, ma non è un’impresa semplice. Va però presa una decisione: o chiusura razionale o decarbonizzazione, conclude Emiliano.

Il contratto prevede che, nel caso in cui un nuovo provvedimento legislativo incida sul piano ambientale dello stabilimento di Taranto in misura tale da rendere impossibile la sua gestione o l’attuazione del piano industriale, la società Arcelor Mittal avrebbe il diritto contrattuale di recedere dallo stesso contratto.

Dal 3 novembre 2019, il Parlamento italiano ha eliminato la protezione legale necessaria alla società per attuare il suo piano ambientale senza il rischio di responsabilità penale, giustificando così la comunicazione di recesso. In aggiunta, i provvedimenti emessi dal Tribunale penale di Taranto obbligano i Commissari straordinari di Ilva a completare talune prescrizioni entro il 13 dicembre 2019 – termine che gli stessi Commissari hanno ritenuto impossibile da rispettare – pena lo spegnimento dell’altoforno numero 2. Tali prescrizioni dovrebbero ragionevolmente e prudenzialmente essere applicate anche ad altri due altiforni dello stabilimento di Taranto.

Lo spegnimento renderebbe impossibile per la Società attuare il suo piano industriale, gestire lo stabilimento di Taranto e, in generale, eseguire il contratto. Altri gravi eventi, indipendenti dalla volontà della società, hanno contribuito a causare una situazione di incertezza giuridica e operativa che ne ha ulteriormente e significativamente compromesso la capacità di effettuare necessari interventi presso Ilva e di gestire lo stabilimento di Taranto. Tutte le descritte circostanze attribuiscono alla Società anche il diritto di risolvere il contratto in base agli applicabili articoli e principi del codice civile italiano.

”Ilva è una delle poche imprese italiane strategiche. Una azienda che vale l’1,4% del Pil”. Lo avrebbe affermato il leader della Cisl, Annamaria Furlan, al tavolo con il governo sulla manovra, secondo quanto riportato da Adnkronos. ”Ho l’impressione che si sia ragionato troppo poco di questi elementi -continua Furlan- La produzione di acciaio ha un grande valore in un Paese come l’Italia a crescita zero. Sarebbe una sciagura perdere questa produzione”.

‘Quando parliamo dell’Iva, non parliamo solo di Taranto -aggiunge Furlan- ma anche degli altri siti industriali in altre regioni, più l’indotto, a spanne parliamo di 20 mila lavoratori. Dobbiamo tenerlo presente”. ”Non sono convinta c he il contratto con ArcelorMittal non contenesse lo scudo penale -aggiunge Furlan-. Per noi c’era. quindi l’incontro di oggi con l’azienda è fondamentale. Non possiamo perdere un settore strategico come l’acciaio. Sarebbe un disastro in termini occupazionali, industriali ed ambientali. Sarebbe peggio di Bagnoli. Spero in un impegno massimo del governo”, conclude Furlan.

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