Con la sentenza n. 13059 del 7 aprile 2021, la Corte di Cassazione penale si è espressa in merito a un particolare caso che riguarda la sentenza di appello verso un imprenditore individuale accusato di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale.
Prima di addentrarci nella sentenza in oggetto, vorrei partire dai riferimenti normativi a cui si riconduce il reato di bancarotta, ossia la Legge Fallimentare (il R.D. n.267/1942), modificata nel 2016 dalla Legge n. 119 e poi dal recente Codice di Crisi d’Impresa. Secondo il nostro ordinamento le fattispecie riconducibili a questo reato sono due: la bancarotta semplice e quella fraudolenta (art.322-323 del D. Lgs. n. 14, 12/01/2019).
La bancarotta semplice si configura quando l’imprenditore, pur non agendo intenzionalmente, arreca però danno ai creditori a seguito di una condotta imprudente nella gestione imprenditoriale, ossia se abbia:
- sostenuto spese personali eccessive;
- utilizzato una cospicua parte di patrimonio in operazioni manifestamente imprudenti;
- compiuto operazioni allo scopo di ritardare l’apertura del fallimento;
- aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal seguire le norme in materia;
- non soddisfatto adempienze derivanti da precedenti procedure fallimentari;
- non tenuto regolarmente le scritture contabili nei tre anni antecedenti alla crisi fallimentare.
Per quanto riguarda il reato di bancarotta fraudolenta, invece, si configura quando l’imprenditore abbia appositamente:
- distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato i suoi beni (non cambia se parte di essi o interamente) esponendo o riconoscendo passività inesistenti per recare pregiudizio ai suoi creditori (bancarotta fraudolenta patrimoniale);
- sottratto, distrutto, falsificato i libri contabili o altre scritture contabili o li ha tenuti in tal modo da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento di affari (bancarotta fraudolenta documentale);
- eseguito, prima o durante la procedura fallimentare, pagamenti o simulato titoli di prelazione allo scopo di favorire (a danno degli altri) uno dei creditori (bancarotta fraudolenta preferenziale).
Alla luce di questa necessaria premessa, passiamo a osservare più da vicino il caso di specie affrontato nella sentenza penale della Corte di Cassazione dello scorso aprile: un imprenditore individuale giudicato, nei precedenti gradi di giudizio, responsabile del reato di bancarotta fraudolenta sia patrimoniale sia documentale, ha proposto ricorso allegando quattro motivazioni. Prima di analizzarle è bene sapere che l’imprenditore in causa è stato giudicato in tal senso poiché, da un lato, ha distratto ingenti somme di denaro dell’impresa riguardanti redditi accantonati negli anni derivanti dalla cessione di un ramo dell’azienda e accertati dalla Guardia di Finanza e, dall’altro, ha occultato le scritture contabili rendendo, così, impossibile la ricostruzione patrimoniale.
Le motivazioni del ricorrente sono state le seguenti:
- l’omissione della motivazione, da parte della Corte d’Appello competente, per procedere alla perizia contabile, che è invece necessaria se lo scopo è quello di accertare la realizzazione di un ingiusto profitto o di un pregiudizio ai creditori;
- un vizio di motivazione in relazione agli elementi che costituiscono il reato di bancarotta patrimoniale e quindi un’applicazione falsa della norma;
- un vizio di motivazione in relazione al reato di bancarotta fraudolenta documentale e dunque un’applicazione falsa della norma;
- l’inesattezza dell’accertamento reddituale operato dalla Guardia di Finanza e la non obbligatorietà da parte dell’imprenditore individuale di accantonare il reddito d’impresa (cosa che renderebbe non dimostrabile l’ipotesi distrattiva).
La Corte ha accolto il punto inerente all’inesattezza dell’accertamento reddituale e ha reputato fondato il vizio di motivazione relativo al reato di bancarotta fraudolenta documentale, annullando pertanto la sentenza impugnata e rimandandola a un nuovo esame della Corte d’Appello.
Si è, così, richiamato quello un orientamento ormai costante, e già riscontrato in sentenze precedenti, ossia il fatto che la mancanza di libri e scritture contabili, se è assente o insufficiente la motivazione dell’accertamento intrapreso dall’agente, deve ricondursi non al reato di bancarotta fraudolenta, ma di bancarotta semplice. Si è però anche precisato che, mentre l’occultamento delle scritture contabili configura bancarotta fraudolenta documentale solo quando sussiste il dolo specifico di recare pregiudizi ai creditori, la tenuta di scritture contabili fraudolenta integra il dolo generico e presuppone l’accertamento sui libri contabili che si riescono a rinvenire.
D’altro canto, per quanto riguarda il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la Corte ha evidenziato che, sebbene manchi l’obbligo di accantonamento per l’imprenditore individuale, questa mancanza viene comunque assorbita dall’esistenza di elementi di una condotta distrattiva, che prescinde dal suddetto obbligo. Infatti, si configura comunque una distrazione patrimoniale ogni qual volta un bene venga distaccato dal patrimonio aziendale in maniera ingiustificata. Se, dunque, in mancanza dei libri contabili, non si riesce a giustificare la destinazione non distrattiva dei beni in oggetto (che l’imprenditore afferma essere stati utilizzati per effettive necessità dell’impresa), si deve dedurre che essi siano stati dolosamente distratti. L’imprenditore sarà tenuto, perciò, a comprovare la legittimità della destinazione delle somme, prova di legittimità senza la quale non potrà contestare l’imputazione del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Non è sufficiente, infatti, che l’imprenditore individui in generici “costi gestionali” la destinazione dei beni, se tale destinazione non è precisata, né documentata, né dettagliata nel suo ammontare in nessuna scrittura contabile.
Incombe sull’imprenditore, concludendo, la distrazione dolosa dei beni e l’onere di vincere la richiamata presunzione affinché si comprovi la destinazione delle somme in oggetto.