Imu e doppia esenzione: per chi scattano i rimborsi

Imu coniugi non dovuta sulla seconda casa, partono le richieste di rimborso. Come richiedere la restituzione delle somme pagate in eccesso

Dopo l’ultima sentenza della Corte Costituzionale, partono le richieste di rimborso dell’Imu per i coniugi con residenze diverse, a patto di poter dimostrare l’effettivo uso dei due immobili come abitazione principale.

La sentenza 209 della Corte Costituzionale del 13 ottobre scorso ha dato il via alla possibilità di recuperare le imposte versate e non dovute per gli ultimi cinque anni. Il cittadino dovrà dimostrare di risiedere e di dimorare abitualmente nell’immobile in esame. La prova più semplice per documentare la dimora è quella tramite le bollette delle utenze, o la scelta del medico di base.

Imu, si torna alle vecchie regole: cosa cambia per i coniugi

Torna la doppia esenzione Imu per i coniugi con residenze in abitazioni differenti, anche all’interno dello stesso comune.

La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la norma del 2011 che limitava l’esenzione Imu solo alla prima casa, relegando l’altra a seconda e in quanto tale soggetta all’imposta sugli immobili. E questo, spiega la Consulta nelle motivazioni della sentenza, perché altrimenti sarebbe discriminato chi decide di sposarsi o di costituire un’unione civile rispetto ai conviventi di fatto.

Quindi niente Imu sulla seconda casa se è la residenza di uno dei coniugi.

Imu coniugi, a chi spetta il rimborso

I coniugi o gli uniti civilmente che possiedono due diverse abitazioni principali nello stesso comune o in comuni differenti potranno beneficiare della doppia esenzione IMU, a patto che la casa risulti la sede della propria residenza anagrafica e dimora abituale.

Il rimborso Imu spetta ai coniugi in relazione alla maggiore imposta versata negli ultimi cinque anni e quindi, andando a ritroso potranno essere accolte le richieste relative alle somme pagate dal 2017 al 2022.

Imu coniugi, come chiedere i rimborsi

La decisione della Consulta apre alla possibilità da parte del cittadino di chiedere rimborso. La domanda deve essere presentata al proprio Comune di residenza entro 5 anni dal versamento effettuato oppure da quando è sorto il diritto alla restituzione, cioè al 13 ottobre 2022, momento in cui la sentenza della Corte costituzionale è stata depositata.

Nel caso in cui le richieste non vengano accolte e si pensi di avere diritto al risarcimento, sarà possibile rivolgersi a un giudice tributario.

La nuova norma ha un effetto retroattivo: le domande di rimborso dell’imposta versata possono essere presentate anche per le annualità passate e ancora oggetto di potenziale accertamento (ultimi 5 anni).

La domanda tardiva non dà accesso al risarcimento: la Cassazione ha chiarito che decorso il termine di decadenza (5 anni), l’interessato non ha più nessuna forma di tutela.

La richiesta di rimborso può essere applicata anche nei casi in cui vi sia un contenzioso pendente, ma solo in determinate circostanze. Qualora il Comune abbia già inviato un avviso di accertamento, nel corso di una delle numerose campagne di riscossione finalizzate proprio all’individuazione di coniugi con diversa residenza, e il cittadino abbia già pagato, non vi sarà più alcuna possibilità di chiedere il rimborso. Non ci si potrà appellare alla nuova norma qualora l’accertamento dell’ente impositore sia divenuto definitivo o sia stata emanata una sentenza passata in giudicato. Non ci sarà rimborso per colui che ha deciso di non pagare ma ha lasciato trascorrere i 60 giorni previsti per l’impugnazione. Idem nel caso in cui il comune respinga la domanda di esenzione/rimborso: il provvedimento di diniego potrà essere impugnato dinanzi al giudice tributario entro e non oltre i 60 giorni dall’invio della notifica.

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