Nasce il governo di centrodestra. Giorgia Meloni e i 24 ministri, dei quali abbiamo parlato ieri, hanno giurato nelle mani del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. ‘Ecco la squadra di Governo che, con orgoglio e senso di responsabilità, servirà l’Italia. Adesso subito al lavoro’, ha twittato la premier Meloni appena uscita dal Quirinale dopo il giuramento del suo governo. Governo Meloni, e più in generale della destra, che arriva al governo dell’Italia, cosa che è realmente un fatto storico. Una destra che si è finalmente emancipata dagli orpelli post-fascisti, lontana e distante da tutto quello che si ispira al figurativo predappiese, ma ben ancorata agli ideali della destra liberale americana, alla tradizione del conservatorismo anglosassone, propugnatrice di libertà economiche e aperta sui diritti e valori civili. E’ lontana anni luce da tematiche sovraniste ma aperta all’Unione europea,liberale nella concezione democratica e dinamica della società. Nel prossimo Parlamento il centrodestra potrà contare su una maggioranza solida: 235 deputati su 400 alla Camera e 115 senatori su 200 a Palazzo Madama. Forza Italia sarà numericamente indispensabile, così come la Lega, ma al tempo stesso la premier avrà delle basi solide su cui poter costruire il proprio esecutivo. Nella squadra di Meloni ci sono tante conferme e, generalmente, la nascita di un governo rispetta la consueta logica di ‘chi entra papa esce cardinale’. Una vecchia volpe della politica come il ‘giornalista’ Antonio Tajani, vicepremier insieme con Matteo Salvini, entrato moltissimi anni fa nel cono di luce, accesa per lui da Gianfranco Funari, che lo salutava come un giovane fuoriclasse. Tajani nel governo approda alla Farnesina nonostante l’intemperanza di Silvio Berlusconi. Fa testo quel che riguarda il magistrato Nicola Gratteri arrivato da Guardasigilli e rientrato in Calabria con la toga. Idem per Adolfo Urso, dato alla Difesa ma traslocato al Mise per Guido Crosetto. Durante il faccia a faccia con il Capo dello Stato la premier avrà illustrato la lista dei ministri chiarendo di assumersi ‘la responsabilità di prendere alcune decisioni non concordate con gli alleati’. Ci riferiamo a Matteo Salvini, vicepremier e ministro delle Infrastrutture del governo, che incassa il ministero delle Infrastrutture, ma vedendo compresse le sue deleghe su due fronti. Il primo è il tema immigrazione, visto che alle Infrastrutture fanno capo i porti e le loro eventuali chiusure. Appare evidente che la nomina del fedelissimo Nello Musumeci a ministro del Mare finirà, senza ombra di dubbio, per impattare sulla questione. La Lega si è affrettata a precisare che ‘le deleghe di Musumeci non assorbiranno alcuna competenza attualmente in capo alle Infrastrutture’. Ovviamente la Lega sa bene che dipende tutto da come sarà scritta la delega, né più, né meno. Il ministero del Mare sarà politicamente competente nel caso in cui il leader del Carroccio decida di rilanciare la crociata dei porti chiusi. Altro paletto lo troviamo sul fronte del Pnrr, visto che la parte più corposa del Piano nazionale di ripresa e resilienza lo troviamo nelle infrastrutture. Parliamo di almeno 50 miliardi di euro su 200. La Meloni ha attribuito a Raffaele Fitto non solo la delega agli Affari europei ma anche quella al Pnrr. Detto in poche parole Fitto avrà grandi margini di manovra sulla realizzazione del Recovery plan. Nonostante sia chiaro che la parte operativa – quella dei bandi – resterà in capo al dicastero delle Infrastrutture. E’ chiaro che tecnicamente molto dipenderà da come verranno scritte materialmente le deleghe di Musumeci (su porti e capitanerie) e Fitto (su eventuali aspetti operativi del Pnrr) dagli uffici giuridici di Palazzo Chigi. La premier si è di fatto blindata nel Consiglio dei ministri con Francesco Lollobrigida e Luca Ciriani – confermati anche capigruppo di Camera e Senato. Non parliamo, sia chiaro, di una sgrammaticatura istituzionale, ma mai era successo con una doppia promozione alla nascita dell’esecutivo. Il Consiglio dei ministri sarà per Giorgia Meloni il più affidabile possibile. Parliamo ora dei ‘ministri senza portafoglio’, formula che interessa molto i lettori che la trovano ‘poco chiara’. La squadra che si insedia a Palazzo Chigi è infatti composta non solo dai ministri veri e propri (cioè quelli “con portafoglio”), ma anche da figure a cui non viene assegnato uno specifico dicastero, che fanno parte del governo e a cui vengono delegate importanti funzioni da parte del Presidente del Consiglio. I ministri senza portafoglio non sono previsti dalla Costituzione e la loro figura è regolata da leggi ordinarie che regolano il numero massimo dei componenti del governo. La loro funzione è quella di determinare l’indirizzo politico dell’esecutivo e di mantenere un equilibrio all’interno della squadra. Attraverso queste nomine, il premier può infatti assegnare incarichi di rilievo alle più influenti personalità dei partiti politici coinvolti a cui non è però possibile affidare un dicastero. La formula ‘ministro senza portafoglio’ viene utilizzata in riferimento alla borsa in pelle che anticamente i ministri utilizzavano per conservare e trasportare documenti e denaro contante durante gli spostamenti in nome dello Stato. Domani, prima la cerimonia della campanella con Mario Draghi, poi il primo Consiglio dei ministri e si aprirà la guerra delle deleghe.
Riprova
Scontro tra i poteri sulla pelle dei migranti
Ancora una volta sulla pelle dei migranti si combatte non solo una battaglia politica, tra …