In un video la contrarietà storica di Giorgia Meloni alla ratifica del Mes

Sul no del governo Meloni,  e del Parlamento alla ratifica del Mes vengono fornite dalla sinistra le più fantasiose ricostruzioniì.  Giorgia Meloni si è sempre detta contraria alla ratifica  del Mes, della sua riforma e dell’impegno economico ingentissimo cui obbligherebbe l’Italia e che ammonta a 125 miliardi, rispetto ai quali non c’è alcuna certezza che il Parlamento possa intervenire. Dunque, se di “cappio al collo” si vuole parlare, come ha fatto Giuseppe Conte, lo si deve fare in senso opposto a quello indicato dal leader M5S: non messo, ma evitato.

Già alla fine del novembre 2019 l’allora leader di opposizione Meloni avvertiva sui rischi del Mes. Gli Stati europei erano nel pieno delle trattive per la riforma del Meccanismo, sui cui avrebbero raggiunto un accordo di massima di lì a pochi giorni. “Il Fondo salva stati è una fregatura mondiale per l’Italia che nessun presidente del Consiglio può permettersi di sottoscrivere senza chiedere al parlamento italiano cosa ne pensi. Si tratta di impegnare l’Italia per 125 miliardi di euro per salvare le banche tedesche”, diceva Meloni in un punto stampa coi cronisti di cui si trova facilmente il video. “Non so se si possa risolvere a livello giudiziario, ma credo – disse tra l’altro – che sia giusto fare tutto quello che possiamo per impedire che questa vicenda si chiuda così. C’è il serio rischio di una patrimoniale, un domani, sugli italiani”.

Dei 125 miliardi, l’Italia, terzo contribuente dopo Francia e Germania, ne ha già versati 14. La quota complessiva si chiama “capitale autorizzato non versato”. La riforma del Mes prevede in ultima istanza, attraverso vari passaggi  che si fanno via via sempre più scivolosi e che coinvolgono solo gli organi di gestione dello stesso Mes, che “i membri si impegnano incondizionatamente e irrevocabilmente a versare” il capitale autorizzato non versato. C’è chi sostiene che la circostanza di essere obbligati a sborsare tutti quei miliardi difficilmente potrebbe realizzarsi nella realtà, e ciononostante sta là scritta nero su bianco e si chiede di sottoscriverla. In questo contesto, non è fatto alcun riferimento al ruolo che potrebbero – ma sarebbe meglio dire “dovrebbero” – avere i Parlamenti nazionali, che resterebbero dunque o esautorati tout court o nella condizione di non potersi esprimere liberamente su quei miliardi richiesti, poiché un no sarebbe una violazione fatta e finita di un trattato internazionale.

La riforma del Mes, ha ricordato  ad Agorà su Rai 3 il capogruppo di FdI al Senato, Luico Malan, “è soprattutto volta a salvare le banche in difficoltà. Il fatto è che le banche in difficoltà non sono quelle italiane. Tutt’al più quelle a rischio sono magari quelle francesi e tedesche”. “Siamo contrari alla riforma del Mes “perché riteniamo che non sia nell’interesse degli italiani, perché tende a imprimere quell’austerità che abbiamo visto non ha avuto successo, perché non ha ridotto il debito, ma lo ha fatto aumentare a suo tempo. Noi siamo sempre stati contro questa riforma del Mes, perché un Mes c’è tuttora in vigore, operativo come fondo salva Stati”, ha chiarito.

Lo stesso premier lo ha ricordato non più tardi di una decina di giorni fa a Elly Schlein, che sosteneva che la nostra contrarietà bloccasse i partner europei. “Forse non sa che il Mes esiste, chi lo vuole attivare lo può tranquillamente attivare. Forse bisogna interrogarsi sul perché, in un momento in cui tutti facciamo i salti mortali per reperire risorse, nessuno vuole attivarlo: questo sarebbe il dibattito da aprire”, ha detto Meloni, domandando anche perché la sinistra nei suoi anni di governo non abbia ratificato il Mes. Il premier inoltre ha anche avvertito sul fatto che “non si può parlare del Mes se non si conosce il contesto. Un governo serio tiene conto del contesto e in quel contesto fa calare gli strumenti, perché parliamo di strumenti e non di totem ideologici. Quando saprò qual è il contesto in cui mi muovo saprò anche cosa bisogna fare del Mes”.

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