Incontro virtualmente per un’intervista ai tempi del Covid-19, Tony Allotta, talentuoso performer che abbiamo da poco visto nel ruolo del Califfo nella serie “The New Pope” di Paolo Sorrentino. “Artivista”, questo è come lui stesso si definisce
Buongiorno, Tony. Ben trovato e grazie per questa chiacchierata. Come hai vissuto esistenzialmente e quindi professionalmente queste ultime sei strane settimane?
All’inizio come tante persone ho fatto resistenza all’idea che questa tragedia stesse avvenendo a noi, nelle città che abitiamo, ad un tratto siamo divenuti i protagonisti di quelle notizie che ascoltiamo al telegiornale distrattamente o anche con coinvolgimento, ma da lontano, mentre siamo al sicuro. Ho passato i primi giorni di quarantena a misurarmi la temperatura, a pulire me stesso approfonditamente e tutto ciò che mi circondava, a pensare “oggi avrei dovuto fare questo” oppure “una settimana fa stavo facendo…” o peggio “quando finisce, fra due settimane (un mese/due mesi/ tre?) devo fare…”. Poi mi sono riconnesso con il principio base del teatro, il “qui e ora”, e ho cominciato a stare il più possibile nel presente. Sono stato salvato fisicamente, psichicamente ed emotivamente da un allenamento fisico giornaliero che faccio con un gruppo di 30 persone che appartengono a una rete di relazioni e connessioni reali, dal darmi delle regole e farmi coccole…ossia quando non rispetto le regole che io stesso mi sono dato, invece di punirmi, mi faccio le coccole! Limitare le comunicazioni a quelle scelte e non subite. Leggere e avere cura di me stesso e delle persone a cui tengo, mi ha fatto scegliere di ritardare ogni mattino l’accesso a internet, se non per fare operazioni pratiche: sentire qualcun@ che volevo sentire o fare cose burocratiche o di lavoro. Il fatto che le persone che stavano seguendo il laboratorio che conduco, “La smarginatura”, mi abbiano chiesto di trovare un modo per continuare il nostro percorso in quarantena, mi ha dato una carica bella che rischiava di essere uccisa. Ho passato molto tempo brutto e pesante a compilare domande per il sostegno al reddito ma con scarsi risultati. L’unico bonus l’ho avuto da un’associazione di artisti di cui faccio parte, ARTISTI 7607, che si occupa di diritti d’interpreti ed esecutrici e esecutori e che ha dato un contributo economico per il lavoro mancato. Non come fa il governo per gli artisti. La disoccupazione viene riconosciuta (come il bonus) a chi ha lavorato di più nell’anno precedente. Il principio è: se lavori hai la disoccupazione?!?! Un totale controsenso. Senza contare che nell’elaborare un progetto artistico che può prendere mesi, non puoi in nessun modo pagarti i contributi. Quel lavoro di creazione progettazione artistica che prende la maggior parte del nostro tempo e delle nostre giornate, non è calcolabile a livello economico e di tempi, ma sarebbe deducibile: per esempio, se vado in scena 4 giorni avrò provato lo spettacolo almeno 2 mesi.
Quando è arrivato il decreto che ha chiuso l’Italia così come i set cinemattografico ed tuoi laboratori, cosa è che si è fermato? Su cosa stavi lavorando e che è rimasto ad ora sospeso?
Stavo per iniziare il laboratorio teatrale “La Smarginatura” a Bologna. Ho lavorato un anno per creare le relazioni in una città dove non vivo, curare la logistica e la comunicazione di un percorso da sviluppare in tre week end e in tre luoghi differenti di Bologna e che sono sede di associazioni che aggregano molte persone. Ho fatto in tempo a presentare il laboratorio con una passeggiata performativa tra i portici bolognesi il 5 marzo, nel giorno del compleanno di Pasolini e mio, nei luoghi dell’infanzia e giovinezza dell’artista: più di 60 persone hanno camminato a un metro di distanza l’una dall’altra mentre io performavo “le ceneri di Gramsci”. E’ stato bello e molto faticoso psicologicamente ed emotivamente. Il giorno dopo ho fatto la stessa perfomance in strada al Pigneto dove vivo, nei luoghi dove è stato girato il film “Accattone” e poi mi sono chiuso in casa. Per altri 3 venerdì avrei dovuto fare una mia creazione al Club55, luogo d’arte del Pigneto che ora rischia di non riaprire più, sarei stato l’artista ospite di “Unconventional Date”, un progetto di fruizione artistica e convivialità appena iniziato nel gennaio 2020. Il laboratorio teatrale che conduco nello spazio di Fivizzano27 è stato sospeso, così come è stato sospeso anche il progetto di teatro che porto avanti con Roberto Sestilli da 3 anni nelle scuole pubbliche elementari e medie. Stava per partire anche una nuova avventura di passeggiate performative con la sociologa-urbanista Irene Ranaldi, “Pasolini Roma”. Poi dovevo girare una ricostruzione storica per il nuovo programma RAI di Augias che è stato cancellato. Insomma un sfacelo totale. Marzo e Aprile sarebbero stati i mesi molto densi e ricchi d’impegni e risorse economiche e non solo.
Prima della pandemia stavi portando in giro per l’Italia “La Smarginatura – Laboratorio teatrale sull’arte della sparizione e del nascondersi” in collaborazione con lo spazio Fivizzano27. Ancora complimenti. Cosa e come sei riuscito, nonostante tutto, a portare avanti?
Grazie alla richiesta e la spinta incoraggiante di alcune persone che partecipano al laboratorio abbiamo ripreso gli incontri sulla piattaforma di meeting, Zoom. Ci mancano i corpi nello stesso spazio ma stiamo esplorando i limiti del mezzo e li mettiamo a valore visto che il tema del nostro percorso è proprio indagare l’arte del nascondersi e della sparizione e in questo momento siamo tutt@ nascost@ in casa, ma ci siamo e siamo capaci d’inventarci nuove vite, proprio grazie all’arte. La smarginatura s’ispira ad artiste e artisti che hanno inventato altre personalità per creare le proprie opere. Indaga l’anonimato e/o l’uso dello pseudonimo e le vite parallele che nascono di conseguenza. Non ha a che vedere col “farsi fuori” ma anzi col moltiplicare le proprie possibilità inventando altre esistenze.
In merito ancora a questi tempo di Covid, la creatività può trasformare la condizione in possibilità. Cosa ha prodotto di nuovo la tua mente? Immagini, visioni…
Nelle prime misure di sicurezza governative non ci sono stati dubbi sulla chiusura immediata dei luoghi d’arte mentre tante resistenze e domande ci sono state per la chiusura delle fabbriche e delle industrie, luoghi anche questi di possibili contagi per chi lavora. Non si parla in nessun decreto di quando potremmo riprendere a fruire arte insieme. Come se tutta questa questione artistica fosse secondaria. Eppure se pensiamo a tutta l’arte fruita in quarantena, libri letti e scritti, film visti, video e doc prodotti, musei virtuali, canzoni cantate e musica fruita e suonata sui balconi e terrazzi, il pensiero che mi viene è: quante morti in più avremmo contato senza arte? Quanti e quante non ce l’avrebbero fatta chius@ fra quattro mura senza potere immaginare altro e “spostarsi da fermi”?
Il primo incontro virtuale della Smarginatura ho proposto di prendere un foglio di carta e una penna e scriverci l’incipit di un poema di Fernando Pessoa: “Io ho nostalgia persino…” e poi far partire un timer per 7 minuti e scrivere dei getto quello che arrivava dalla pancia, senza rileggere e correggere. Quando i 7 minuti sono passati e ho guardato nelle caselle virtuali i volti di chi aveva scritto quel flusso di coscienza, ho visto sofferenza e disagio ma anche un senso di liberazione. Abbiamo condiviso in forma anonima quei primi scritti e poi ognuno ne ha scelto un’altro testo rispetto a quello proprio per trovare una forma artistica e pubblicare quelle parole. E’ nato così “Nostalgia del presente” una raccolta e rielaborazione artistica di flussi di coscienza anonimi e non che ci vengono inviati via mail all’indirizzo: lasmarginatura@gmail.com e che poi pubblichiamo sulla pagina fb e Instagram de “La Smarginatura”. Sta nascendo un affresco multiforme, collettivo e anonimo di questo tempo difficile.
Grazie, Tony.
foto di Azzurra Primavera
Barbara Lalle