Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Barbara Lalle il seguente articolo:
Per il mio compleanno, lo scorso febbraio, ho dato una grande festa dentro la galleria dove lavoro, la Tevere Art Gallery.
Colgo l’occasione per presentarmi, sono Barbara Lalle: lavoro in una galleria, lavoro a scuola e scrivo su questo giornale di tanto in tanto.
Sono un’artista, sono un’insegnante, non sono una giornalista, ma penso spesso, quindi scrivo.
Soprattutto, anzi quasi soltanto, quando sono mossa da un’urgenza personale.
Ritorniamo alla festa.
Due invitate mi portano in dono un libro, dicendomi che era bellissimo e molto toccante: ‘Io lo ho letto tutto in una serata ed ho pianto’, mi dice una.
‘Lo ha scritto mia sorella’, mi dice l’altra.
In mano avevo un libro fondo bianco, scritta rossa ‘Tutti i bambini ridono allo stesso modo’ di Angela Agresti, edizione Ponte Sisto.
Ringrazio le donanti ed accetto il dono.
Il libro, pero’, rimarrà per cinque mesi accanto al mio letto, senza essere iniziato. Sapevo dell’argomento del contenuto e questo mi aveva ‘freezato’, come già era successo.
‘Tutti i bambini ridono allo stesso modo’ è un libro autobiografico in cui l’autrice racconta quel tratto della sua vita e della sua vita familiare che va dalla diagnosi di disabilità della sua secondogenita, Sofia (solo il nome è di fantasia), ad oggi.
Ecco perché ho aspettato ben cinque mesi pieni prima di leggerlo, conscia che la mia vita è già permeata da prove simili: sono terapista per la riabilitazione neurologica post-traumatica e docente impegnata quotidianamente nell’integrazione delle disabilità gravi, mossa da ‘un’emergenza di dire’, come artista, attraverso le forme della pittura e della performance, esploro le modalità in cui il disagio, deprivazione e dolore possono essere compresi, narrati e superati.
E comprendere, narrare e superare è quello che fa la scrittrice-madre Angela Agresti.
La incontro per la seconda volta a casa sua, per questa intervista.
Buon pomeriggio Angela, grazie per avermi aperto la tua casa e grazie per questo thè. Il tuo libro mi ha commosso, lo ho letto con lentezza per il piacere di farlo. E contemporaneamente mi ha stupito. Nell’intervista vorrei toccare proprio i punti che mi hanno maggiormente stupito. Posso?
Certamente
La prima volta che ci siamo conosciute, eravamo alle Case Romane del Celio. Era la scorsa primavera. Presentavo una performance ‘APRIR-SI’, sul tema dei fiori. Nonostante la location fosse estremamente scomoda per una persona in carrozzina, non ti sei fermata. Sei venuta con Sofia e avete superato tutte le barriere architettoniche. Archeologiche e belle, ma pur sempre barriere. Sembra una contraddizione parlare di belle barriere, ma esistono. Cosa vuole dire per te superare barriere?
Fino a 13 anni fa non mi rendevo conto di essere circondata da così tante barriere architettoniche. La mia famiglia, tutti i giorni lotta per superare gli ostacoli che incontriamo nel nostro percorso di vita, ma queste barriere purtroppo non sono solo materiali ma anche mentali. Cerchiamo di non farci fermare, al massimo possono rallentare il nostro percorso, ma bloccarci mai.
Abbiamo imparato a conviverci, ad esempio quando esco a piedi con Sofia il mio sguardo va sempre lontano, per capire se ci sono impedimenti davanti a noi e quindi scegliere rapidamente una strada diversa. Se posso dire le barriere che mi spaventano di più sono quelle che incontriamo nelle persone, quelle sì che mi fanno paura. Sono invisibili, ma quando le incroci fanno più male di una scalinata.
Mi piacerebbe far provare la vita che facciamo noi famiglie ‘speciali’ ad alcune persone per almeno un mesetto, ma basta anche solo una settimana. Forse in questo modo si renderebbero conto dello stress giornaliero chi viviamo, di quanto si scoraggiante dover vivere tutti i giorni cercando di superare le barriere architettoniche, ma soprattutto quelle mentali e culturali.
Nel libro parli di musica, di danza, di vita speciale vissute con normalità, di compleanni e di fortune avute. Di incontri positivi con professionisti della riabilitazione e dell’insegnamento. Descrivi anche situazioni in cui Sofia non è stata valorizzata per pigrizia, per incapacità o per poca apertura. Nonostante questo, pur nella lucidità dell’analisi, non trapela mai livore. E’ stato un punto di arrivo o di partenza?
Fortunatamente sono una persona positiva per carattere e questo di sicuro mi ha aiutata a gestire situazioni molto ‘dure’ che mi sono capitate in questi anni, ad esempio nell’ambito scolastico. Ma per me questo non può essere un punto di arrivo poiché vorrebbe dire arrendersi e questo non è possibile. La nostra competizione è appena iniziata, siamo ancora ai blocchi di partenza, la gara deve ancora iniziare.
Senza remore, con grande onestà intellettuale, nel libro ammetti una verità: Sofia è agevolata dal fatto di essere nata da una famiglia economicamente agiata e di vivere in una città che offre cultura ed occasioni di inclusione. Cosa Angela Agresti, come madre, come cittadina, come scrittrice ed intellettuale, direbbe alle famiglie che si trovano in svantaggio rispetto a questo? E cosa direbbe alle Istituzioni della Repubblica Italiana e alla Società Civile?
La prima volta che mi è stato fatto notare questo vantaggio in cui mi trovavo, fu al nostro primo ricovero in ospedale da un medico, ma in quel momento non lo avevo capito.
La fortuna di vivere a Roma, ed avere a disposizione ottime strutture ospedaliere, non ha prezzo, soprattutto per chi le frequenta con una assidua ciclicità.
Penso che sia utile confrontarsi con le altre famiglie che vivono gli stessi problemi, poiché si possono condividere le esperienze vissute e capire come hanno gestito e quindi superato determinate situazioni.
Ma il fulcro principale rimane la famiglia, noi siamo aiutati dai nonni, dalle zie, dagli amici e in momenti di difficoltà non bisogna avere paura di farsi aiutare.
Per quanto riguarda le istituzioni, ci vorrebbe un’altra intervista.
I problemi che lo Stato dovrebbe risolvere sono tanti ma ci sono un paio a me cari a cui tengo molto. Il primo, da quando sono entrata in questo mondo parallelo ho scoperto di essere un ‘caregiver’ cioè una persona che si occupa in modo non professionale, in modo continuativo e costante, direi H24 alla cura del famigliare non autosufficiente.
Purtroppo, la legge nazionale è ferma al Senato, ma spero di vedere presto la luce. In un paese civile mi sembra il minimo che si debba fare per aiutare le famiglie con a carico un disabile. L’Italia in questo rispetto ai paesi Europei è lontana.
Il secondo è la scuola, sogno una scuola migliore che riesca ad integrare veramente i ragazzi con difficoltà. C’è bisogno ancora di molto lavoro.
Per quanto riguarda l’abbattimento delle barriere architettoniche è una questione di soldi.
Sicuramente nelle città ci sono ostacoli oggettivi, ad esempio alcuni posti archeologici, palazzi antichi è difficile renderli accessibili per tutti, ma andare alla ASL per effettuare la visita del rinnovo dell’Invalidà al primo piano senza ascensore mi sembra un po’ bizzarro.
Il libro ha anche una pagina facebook ‘Tutti i bambini ridono allo stesso modo’. Mi sono collegata: è’ sempre aggiornata. Dalla pagina lanci eventi per presentazione del libro in librerie e scuole, novità sulle normative e approfondimenti sulla scuola. Nel contempo lavori nell’ambito della comunicazione. Trovi il tempo per curare la tua persona. Fai delle vacanze piene di vento, roccia, sale, sole con la tua famiglia. Sei un esempio di resilienza. Sei un esempio. Lo hai mai sentito gravoso?
Quello che ho fatto e quello che faccio per la mia famiglia, non mi pesa. E’ la mia famiglia, la mia vita. Quello che è cambiato in questi ultimi tredici anni è che sono più vecchietta ed inizio ad accusare un po’ di stanchezza fisica.
Ho visto le foto a Fuerte Ventura che hai pubblicato. Sanno di poesia e libertà. Mi autorizzi la pubblicazione della mia preferita su questo giornale? Eccola qui, posso?.
Certamente.
Ti andrebbe di fare un piccolo momento di flusso di coscienza e di regalarci dei flash sulle emozioni e pensieri che ti suscita?.
Mi piace fotografare la sedia a rotelle nei posti dove vado in vacanza. Per mia figlia quelle sono le sue gambe ed io sono felice quando la vedo andare da sola. L’autonomia motoria è stata una conquista fondamentale per Sofia. Da mamma e donna che lavora nel settore della comunicazione ho cercato sempre di renderla più bella, più accattivante possibile, cercando di decorarle a suo piacimento. Quelle che abbiamo ora le trovo fantastiche, sono state realizzate dei miei colleghi del reparto creativo. E’ stato un regalo meraviglioso che hanno fatto a Sofia e l’hanno resa super felice. Io ormai non la vedo più.
Spesso chi vive un’esperienza forte come la tua, cerca e trova spiegazione e consolazione nella religione. Tu non fai mai accenno al trascendente, come se cercassi luce dentro te e dentro la tua famiglia e non sopra la testa, in cielo. Ti va di parlarmene?.
Sono cattolica, poco praticante, ho pregato molto da sola nel silenzio della notte. Ma la forza per andare avanti me la danno i miei figli.
Angela, dimenticavo, verresti a fare prossimamente una presentazione del tuo libro nella scuola dove insegno?
Sarei onorata. Le precedenti presentazioni del libro fatte nelle scuole, mi hanno dato molto e mi hanno fatto capire che la pubblicazione del libro è stata una buona scelta.
Bene, adesso posso andare. La abbraccio e la ringrazio.
Barbara Lalle