L’Iran deve liberare “al più presto” Ahmad Reza Djalali, il medico irano-svedese con un passato da ricercatore in Italia, che è detenuto dopo una condanna a morte per “spionaggio” a favore di Israele. È l’appello lanciato da otto esperti dell’Onu sui diritti umani, secondo cui il 49enne ricercatore è “in condizioni critiche” e potrebbe “presto morire in prigione”, dopo mesi di “isolamento” in cella con “il rischio costante di un’imminente esecuzione”, dopo il rinvio dello scorso dicembre.
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, il medico sarebbe costretto a subire privazioni del sonno e avrebbe avuto una “tremenda perdita di peso” per la mancanza di un’alimentazione adeguata. “C’è una sola parola per descrivere il grave maltrattamento fisico e psicologico di Djalali, ed è tortura”, dichiarano gli esperti, tra cui la relatrice speciale sulle esecuzioni extragiudiziali, Agnes Callamard, e il relatore speciale sulle torture, Niels Melzer.
Il ricercatore, che ha trascorso tre anni al Crimedim (Medicina dei disastri) dell’Università del Piemonte orientale a Novara, era stato arrestato nell’aprile 2016 durante una visita nel Paese d’origine. Lo scienziato si è sempre dichiarato innocente, sostenendo di essere stato punito per essersi rifiutato di compiere attività di spionaggio per la Repubblica islamica in Europa. Amnesty International ha definito il processo a suo carico “clamorosamente iniquo”.