Cinquanta morti in due giorni, questo il triste bilancio degli attentanti in Iraq. Dal sud al nord del paese, senza tregua di sorta e colpendo sia militari che civili. Un vero e proprio bollettino di guerra: Ventiquattro poliziotti uccisi in una serie di attacchi a diverse stazioni, solo nella provincia di Anbar ad ovest della capitale Baghdad. Proprio quest’ultima sembra essere diventata il vero fulcro della rivolta dei sunniti, che accusano il governo del primo ministro Nuri al-Maliki, uno sciita, di marginalizzare la loro comunità e di denigrarla, addossandole la responsabilità di attentati e gesti terroristici. A Bassora, due autobombe sono esplose uccidendo tredici persone e ferendone altre cinquanta. Otto bombe sono esplose nei quartieri a maggioranza sciita della capitale Baghdad, uccidendo undici persone e ferendone più di cento. A Samarra, nord di Baghdad, un’autobomba ha ucciso due combattenti anti al-Qadeda mentre un ordigno esploso a Mosul ha ferito tre persone. Nelle ultime settimane si sono ripetuti attacchi e attentati contro la popolazione sciita da parte di gruppi armati sunniti. A guidare questa nuova ondata di violenze ci sarebbe, secondo alcune fonti, Izzat Ibrahim al-Douri, il più fedele fra i collaboratori di Saddam Hussein, ricomparso dopo oltre un decennio di latitanza e intenzionato a cacciare dal potere il governo “persiano” di Baghdad.