Secondo autorevoli fonti internazionali sono circa 5000 i combattenti tunisini partiti per i territori di combattimento di Siria ed Iraq dal 2011 ad oggi, molti dei quali gia’ uccisi. Dell’eventuale ritorno di coloro che avrebbero manifestato la loro intenzione di rientrare in patria si sta discutendo in Tunisia in questi ultimi tempi. Il tema è più che mai attuale specialmente dopo l’inizio dei raid anti-Isis in Siria da parte russa. Si è tenuto a Tunisi, organizzato dall’Osservatorio tunisino della Sicurezza globale il convegno ‘Quali soluzioni per l’estremismo ed il ritorno dei combattenti jihadisti’.
I numerosi esperti della sicurezza accorsi al convegno ritengono indispensabile accordare in questo momento maggior attenzione alla questione dei ‘jihadisti pentiti’ che faranno ritorno dai territori di combattimento reclamando l’elaborazione di un preciso piano di sicurezza e la messa in atto di strutture e programmi a loro dedicati. Dal convegno è emerso che sebbene sia auspicabile adottare un piano di integrazione progressivo di questi combattenti pentiti nella società, i loro dossier andranno comunque studiati caso per caso per determinare per ognuno le motivazioni della partenza e del ritorno dai territori del Jihad. Secondo molti esperti infatti i combattenti pentiti, dovrebbero prima di tutto venire isolati totalmente o parzialmente dalla società, per permettere di condannare coloro che si sono macchiati di delitti gravi o hanno ucciso innocenti.
Per gli altri il processo di riabilitazione dovrebbe poter proseguire adoperando gli strumenti del dialogo e della reintegrazione, lontani da ogni forma di condizionamento mentale. Ibtissem Jebabli, membro della Commissione parlamentare dell’organizzazione del’amministrazione degli affari delle forze armate tunisine, ha richiesto la messa in atto di un quadro giuridico ben chiaro che possa inquadrare il fenomeno insieme all’adozione di misure cautelari preventive. Secondo il presidente dell’Osservatorio tunisino della Sicurezza globale, Jamil Sayah, i combattenti tunisini attualmente in Siria ed Iraq sono dai 3 ai 5 mila. A questo proposito fa appello al governo tunisino e alla società civile per riflettere al piu’ presto sulla ricerca di soluzioni urgenti ed efficaci a questo problema. Della questione si sta parlando anche a livello politico, da piu’ parti si solleva l’idea di una possibile legge che disciplini giuridicamente il rientro di queste persone basata sul pentitismo o sulla dissociazione, sul modello di quelle adottate nei paesi che hanno già vissuto il problema del terrorismo. Ma il premier Habib Essid in conferenza stampa sabato scorso, pur affermando che in base alla Costituzione non è possible impedire il rientro in patria a chi vuole tornare, ha promesso l’arresto per coloro che si sono macchiati di reati di terrorismo o hanno ucciso persone in quei territori e per gli altri ha assicurato che saranno seguiti e sorvegliati poiche’ rappresentano una minaccia alla sicurezza nazionale. Una vicenda, questa dei jihadisti tunisini di ritorno dalla Siria da seguire con attenzione nel prossimo futuro.