Sei milioni di israeliani si recano oggi alle urne per eleggere 120 deputati e scegliere un nuovo premier fra Netanyahu e lo sfidante Herzog. I seggi sono stati aperte alle 7 (le 6 in Italia) e si chiuderanno alle 22; 3 reti tv nazionali pubblicheranno i propri exit-poll. Netanyahu ha votato di prima mattina a Gerusalemme, dichiarando ancora una volta che non formerà un governo di unità nazionale con Herzog ma punterà piuttosto a costituire un governo col partito nazionalista di Bennett. Se rieletto, Benyamin Netanyahu farà di tutto per non consentire la nascita di uno stato palestinese. Alla vigilia del voto, a fronte di sondaggi sfavorevoli o perlomeno insicuri, il premier torna a cavalcare il tasto della sicurezza di Israele. Sfidando gli Usa e la comunità internazionale, lo fa con l’intento, da una parte, di rassicurare i suoi elettori, e dall’altra di evitare che il voto di destra si disperda in altri partiti che non siano il suo Likud. Al tempo stesso ammicca agli elettori più sensibili alla possibilità che in uno stato palestinese in Cisgiordania possa alla fine prevalere l’estremismo, come è successo a Gaza dopo il ritiro unilaterale deciso da Ariel Sharon. “Penso che chiunque muova verso uno Stato palestinese e lasci territori, abbandona questi agli attacchi dell’Islam radicale contro Israele”. Poi ha attaccato la sinistra: “Ha messo la testa sotto la sabbia giorno dopo giorno e ha ignorato questo argomento”. La sinistra attaccata dal premier è il ‘Campo sionista’ di Isaac Herzog e Tzipi Livni a cui gli ultimi sondaggi ufficiali, venerdì scorso , davano un vantaggio di quattro seggi nei confronti del Likud. Onde evitare ogni fraintendimento, Netanyahu, che in passato ha invece detto di sostenere la soluzione a due Stati, ha spiegato che se ‘Campo sionista’ vincesse le elezioni questo “si unirebbe alla comunità internazionale e alle loro volontà” che comprendono lo stop nelle costruzioni in Cisgiordania e a Gerusalemme est e il ritorno ai confini del 1967. Del resto, oggi stesso, ad Hor Homa – considerata dalla comunità internazionale colonia illegale nei pressi di Gerusalemme est – Netanyahu ha ribadito, se il voto lo premierà, che le “costruzioni di case” e “le fortificazioni” a Gerusalemme est proseguiranno in modo da impedire ogni divisione della città. Nell’appello dell’ultimo minuto – dopo la manifestazione di ieri sera a Tel Aviv, giudicata da alcuni un raduno di coloni – Netanyahu è andato dunque all’attacco per ricompattare un fronte, il suo, apparso depresso. Oggi il Jerusalem Post ha rivelato un sondaggio del Likud, dello scorso 9 marzo, secondo cui la percentuale di chi crede che l’attuale premier possa guidare il prossimo governo è precipitata dal 60 al 49,6%. La maggioranza sembra dunque essersi volatilizzata. Ma se Netanyahu con gli ultimi appelli al voto tenta di serrare i ranghi per risalire la china, anche ‘Campo sionista’ tenta di pescare in mare aperto. Con una mossa a sorpresa, la centrista Tizpi Livni ha rinunciato in via di principio all’alternanza nella premiership con Herzog: questo, ha spiegato, se risultasse essenziale per consentire al leader di ‘Campo sionista’ di formare un governo di coalizione. Un passo dovuto all’opposizione nei suoi confronti non solo da parte della sinistra laburista ma soprattutto all’esterno del partito: tra quelli cioè che non hanno mai perdonato a Livni la sua facilità nel cambiare schieramento, visto che fino a pochi mesi fa era ministro della Giustizia nel governo Netanyahu. Ognuno di questi interventi, in un finale di partita piuttosto agitato e dall’esito incerto, va interpretato – a giudizio di molti analisti – con il fatto che a prevalere non sarà solo chi avrà più seggi, ma chi sarà in grado di formare una coalizione di governo. Come del resto è accaduto alla stessa Livni alle elezioni del 2009, dove il suo partito ‘Kadima’ prevalse nel numero dei seggi, 28, contro i 27 del Likud. Ma a formare il governo – grazie all’affermazione del partito di destra di Avigdor Lieberman – fu Netanyahu che ricevette l’incarico da Shimon Peres. E’ in queste alchimie di coalizione che si gioca il primato di domani, considerando come possibili aghi della bilancia (premiati dai sondaggi) la ‘Lista araba unita’ di Ayman Odeh – che oggi ha detto che raccomanderà al presidente Reuven Rivlin Herzog come premier -, il partito di Moshe’ Kahlon ‘Kulanu’ (Noi tutti), il centrista Yair Lapid e non ultimi i partiti religiosi. Tra questi Eli Ishay di ‘Yachad’ che, se supererà la soglia elettorale del 3,25%, potrebbe diventare un aiuto insperato per Netanyahu.
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