La polizia turca ha compiuto all’alba diversi blitz in covi di sospetti militanti dell’Isis a Istanbul, dopo l’attacco che martedì sera ha ucciso 42 persone all’aeroporto Ataturk. Non si hanno al momento notizie di arresti, né di legami diretti con l’attentato. Inoltre l’esercito turco ha annunciato di aver ucciso sabato, 2 presunti membri dell’Isis di nazionalità siriana, mentre cercavano di attraversare il confine con la Siria. Uno dei 2 era ricercato in Turchia perché sospettato di preparare attacchi kamikaze ad Ankara o ad Adana, nel sud del Paese. L’ennesimo attacco terroristico sulle rive del Bosforo – il quarto di quest’anno – è anche il più sanguinoso: 42 morti, di cui almeno 15 stranieri, senza contare i tre kamikaze che si sono fatti esplodere dopo aver aperto il fuoco sulla folla al terminal internazionale dell’aeroporto Ataturk, e 239 feriti. Vittime di 10 nazionalità, per le quali oggi è stato proclamato il lutto nazionale. E la sensazione di non essere in grado di fermare una minaccia terroristica, che per il premier turco, Binali Yildirim, stavolta è quasi certamente quella dell’Isis. E anche il direttore della Cia John Brennan, pur in assenza, al momento, di rivendicazioni da parte dello Stato islamico, vede chiarissima la firma di Daesh e della sua depravazione dietro l’attacco. Le indagini hanno seguito sin dalle prime ore la pista dell’attacco jihadista. Ma sul commando che ieri sera è piombato indisturbato, imbracciando i kalashnikov, nel principale scalo della Turchia restano ancora molte ombre. In queste ore, la Turchia guarda allo specchio soprattutto le lacune del suo sistema di sicurezza e di prevenzione. Una lettera che avvisava della minaccia imminente di attacchi dell’Isis giaceva da almeno 20 giorni sui tavoli delle autorità. Un allarme che è stato ignorato. O almeno, trascurato. Sotto accusa ci sono poi le falle della sicurezza nello scalo. Il doppio filtro di controlli, con un primo passaggio ai metal detector già all’ingresso, non è bastato a fermare i terroristi. Dallo Stato islamico, nel giorno simbolico in cui celebra il secondo anniversario dell’auto-proclamato Califatto da parte di Abu Bakr al Baghdadi, non sono giunte finora rivendicazioni esplicite. Il governo di Ankara sottolinea come l’attacco sia giunto proprio nel giorno in cui ha firmato l’accordo di riconciliazione con Israele, a 6 anni dall’incidente della Mavi Marmara, e riallacciato i contatti con la Russia, suggerendo un nuovo tentativo di destabilizzazione. Al presidente Recep Tayyip Erdogan è giunta la solidarietà in due telefonate con Barack Obama e Vladimir Putin. Quest’ultimo lo ha chiamato dopo 7 mesi di silenzio, dopo la lettera di scuse del leader turco per il jet russo abbattuto. Parole di condanna sono state espresse anche dai leader di Italia, Germania, Francia, Gran Bretagna, Belgio, Israele e da papa Francesco. La conta delle vittime si è arrestata solo nel primo pomeriggio, includendo almeno 15 stranieri di 9 nazionalità diverse: 6 sauditi, 2 iracheni, 1 tunisino, 1 uzbeko, 1 cinese, 1 iraniano, 1 ucraino, 1 giordano e una donna palestinese. Al momento, non risultano esserci italiani. Ma fino a sera, ancora quattro cadaveri sono rimasti senza nome. Oltre un centinaio di feriti accertati sono ancora in ospedale, di cui 41 in terapia intensiva.
Riprova
Conferenza sulla solidarietà europea ad Arad, Romania
Per due giorni, il 4 e 5 settembre, la città di Arad, sita nell’ovest della …