Il 2025, anno in cui si verificherà il picco di pensionamenti, 13.156, tra i medici del Sistema Sanitario Nazionale (SSN), si avvicina rapidamente e con esso il martellante rischio una situazione che possa mettere sempre più a rischio la già vacillante sanità italiana.
Già il 2023, con 12.763 pensionamenti registrati, e il 2024, con una stima di 12.748 pensionamenti, hanno portato ad una significativa emorragia di medici presso il nostro SSN. Questo scenario rende essenziale il mantenimento in ruolo dei medici universitari, i quali possono garantire una preziosa sinergia tra attività accademica e competenza clinica, migliorando così la formazione sia degli studenti, ed in misura ancora maggiore, degli specializzandi.
Il mantenimento dei docenti universitari in servizio è una scelta vantaggiosa in quanto la loro retribuzione non grava sul bilancio del SSN ma sul bilancio del Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR). Infatti, la quota integrativa relativa all’incarico ospedaliero sarebbe comunque inferiore al costo di assumere nuovi medici per ricoprire gli stessi ruoli apicali.
A ciò si aggiunga come il nostro sistema universitario soffra di una carenza di personale docente. Tra il 2010 e il 2021, il numero di professori ordinari e associati è diminuito del 10%, passando da 63.000 a 56.000, con il 16% di essi nell’area delle scienze mediche. Dal 2013 al 2019, quest’area ha perso circa 300 punti organico, compromettendo la qualità della formazione e della ricerca.
Infatti, soprattutto nel campo della formazione nell’ambito della formazione specialistica tale riduzione sta portando ad un peggioramento della formazione teorica con la conseguenza dell’assegnazione di più specializzandi allo stesso tutor compromettendo il ruolo dello stesso nella formazione dello specializzando. Quanto previsto dalla legge 402 del 2017 riguardo al numero specializzandi per tutor diventa sempre più difficile da soddisfare per la cronica mancanza degli stessi.
Pertanto, mantenere in ruolo i medici universitari potrebbe aiutare a colmare questo gap, garantendo continuità nella qualità dell’insegnamento e una supervisione adeguata a noi medici in formazione specialistica.
Anche nell’ambito della ricerca medica, questa scelta permetterebbe di affrontare efficacemente il picco di pensionamenti previsto, assicurando continuità gestionale e mantenendo alta la qualità dell’assistenza sanitaria. Inoltre, consentirebbe di completare i progetti finanziati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), fondamentali per il miglioramento e l’innovazione in campo sanitario.
Il PNRR Salute destina infatti 15,63 miliardi di euro, pari all’8,16% delle risorse complessive del Piano, con l’obiettivo di potenziare le azioni preventive e le cure del SSN, garantendo un accesso più equo e capillare ai servizi sanitari e favorendo l’integrazione delle nuove tecnologie in ambito medico. Di questi fondi, oltre 312 milioni di euro sono destinati alla realizzazione di 334 progetti di ricerca biomedica già approvati, da completare entro il 2026. La presenza dei professori universitari è particolarmente preziosa in questi ambiti.
Attualmente, in Italia, solo l’1,16% di tutti i medici del SSN potrebbe estendere il proprio servizio oltre i 68 anni, corrispondente a 1.253 dirigenti medici e sanitari. Tra questi, 340 sono direttori di strutture complesse e 245 ricoprono ruoli di responsabilità in strutture più semplici. Solo una piccola frazione di questi dirigenti ha anche un ruolo di professore universitario. Tuttavia, tale proposta mitigherebbe l’emorragia dei medici mitigando le problematiche attualmente presenti assicurando che il Sistema Sanitario e quello universitario possano avanzare in modo efficiente e innovativo, mantenendo costantemente elevati standard di assistenza e formazione.