Tutto ruota nell’Italia politica sull’ipotesi di Mario Draghi quale successore di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica.
Mario Draghi sarebbe un ottimo Capo dello Stato, ovviamente, ma se dovesse traslocare da Palazzo Chigi al Quirinale, come vorrebbero le forze politiche anti italiane e anti europee, verrebbe meno la speranza che l’Italia possa uscire definitivamente dalla crisi e riesca a rilanciare il sistema produttivo ed economico.
I finanziamenti del Pnrr, quantificati dalle istituzioni europee in oltre 200 miliardi di euro, non per merito ma a causa del governo Conte due, non sono ancora arrivati nelle casse dello Stato, anzi arriveranno di sei mesi in sei mesi fino al 2026 ma a patto che si approvino riforme ben precise e si completino puntualmente i progetti presentati nel piano nazionale di ripresa e resilienza.
Con Draghi premier, la macchina burocratica e politica fatica a tenere il passo delle riforme e dei progetti da realizzare, ma l’autorevolezza dell’attuale inquilino di Palazzo Chigi è una garanzia esterna di mantenimento degli impegni presi e una certezza interna di effettiva esecuzione di buona parte dei progetti.
Gli scenari con Draghi al Quirinale a far compagnia ai corazzieri e a tagliare nastri, e con un punto interrogativo a Palazzo Chigi, non sono altrettanto rosei.
Ma anche se si trovasse l’espediente giuridico giusto per far dimettere Draghi da Palazzo Chigi nelle mani di Mattarella e non di sé stesso o di nessuno, resterebbero comunque aperte tutte le questioni politiche e pratiche sul come continuare il processo di salvataggio del paese dal Covid e di rinascita economica nazionale avviato con grande efficacia dall’attuale governo.
L’ipotesi di una reggenza di Renato Brunetta, quale membro anziano del governo, al massimo è di natura temporanea mentre l’apertura formale di una crisi di governo, con consultazioni politiche, incarico a Daniele Franco o a Marta Cartabia o a chiunque altro, e poi esplorazione e infine voto di fiducia in Parlamento, è lunga e molto rischiosa perché, a prescindere dalle acrobazie costituzionali e dall’esito finale, farebbe certamente sprecare tempo, non avendone, per l’attuazione del Pnrr.
I partiti potrebbero trovare un accordo per formare un nuovo governo post Draghi necessariamente molto più debole dell’attuale sia in termini di forza parlamentare sia nella capacità di prendere decisioni e di attuarle, con il probabile risultato di non riuscire a fare le riforme promesse all’Europa e di non realizzare i progetti senza i quali i soldi del Pnrr resteranno a Bruxelles.
L’alternativa a un governo politico senza Draghi sono le elezioni anticipate, peraltro la soluzione più naturale e anche quella intimamente più ricercata da chi vorrebbe promuovere Draghi al Quirinale al solo scopo di rimuoverlo dal potere esecutivo di Palazzo Chigi.
Oggi i sondaggi dicono che le elezioni anticipate sarebbero vinte dai due partiti più nazionalisti e sovranisti d’Europa, sodali dei nemici giurati della democrazia liberale e delle istituzioni comunitarie, oltre che largamente irresponsabili sul fronte della pandemia e fiancheggiatori dei no vax e dei no green pass.
Staccare la spina al governo più europeista del continente, guidato da un leader riconosciuto e rispettato in tutto il mondo, per accelerare consapevolmente la formazione di una maggioranza populista e antieuropea, mentre si continua a dipendere dai fondi stanziati dall’Unione, è un esempio formidabile di eutanasia di un paese. Un tentativo di farsi male, ma male davvero, che una classe dirigente adulta, non importa se di destra o di sinistra o di centro, dovrebbe tentare di scongiurare.
Oppure alle elezioni anticipate potrebbe prevalere il fronte demo-populista guidato da un Pd egemonizzato dall’ala nostalgica della ditta e in alleanza con i demagoghi e gli opportunisti a Cinquestelle (è indiscrezione di ieri l’incredibile offerta di Letta e Zingaretti del seggio di Roma centro a Giuseppe Conte, con la motivazione bizzarra di dargli una mano perché, poverini, è in difficoltà nella gestione dei Cinquestelle).
Destra nazionalista o sinistra populista, il dopo Draghi sarebbe comunque un doppio scenario da incubo sia per l’economia delle imprese sia per la salute degli italiani, che ricadrebbe peraltro nella responsabilità piena dell’eventuale Presidente della Repubblica Mario Draghi, il quale al Quirinale non avrebbe il potere esecutivo necessario a risolvere la situazione di cui invece dispone oggi.
L’obiezione “meglio che ci sia Draghi, invece che un altro, ad affrontare questo disastro annunciato” è fallace perché Draghi c’è già adesso, e sta nel posto giusto e con i poteri giusti per risollevare il paese, per rimandare a un momento si spera più favorevole il ritorno del bipopulismo e con l’opportunità nel frattempo di agevolare un’offerta politica positiva intorno alla sua agenda di riforme e buon governo, magari varando anche una legge elettorale proporzionale che metta in sicurezza il paese dai pericoli fascisti e neo, ex, post marxisti.
In assenza di una svolta riformista del Pd e di Forza Italia, davvero remota al momento, ma anche in mancanza di una credibile aggregazione liberal democratica, basterebbe approvare una leggina come quella del 1948 per eleggere il prossimo Parlamento, dando rappresentanza a tutte le forze politiche in base alla percentuale dei voti ottenuti alle urne, in modo da escludere colpi di testa e di prefigurare un ritorno di Draghi a Palazzo Chigi alla guida di una composita maggioranza unita da un comune spirito repubblicano.
Se Draghi lasciasse Palazzo Chigi a missione non compiuta sarebbe un disastro annunciato per il paese, di cui peraltro i membri del governo sono perfettamente al corrente, perché già adesso raccontano a microfoni spenti che senza l’intervento diretto del premier non riuscirebbero a portare avanti i progetti del Pnrr. Gli imprenditori e i produttori del Pil italiano, ma anche i sindacati, sanno altrettanto bene che in questo momento l’Italia non si può permettere il trasloco di Draghi, e lo sanno anche gli investitori internazionali e i partner europei.
Ma se c’è qualcuno che conosce esattamente il pericolo reale che correremmo se anticipassimo di un anno lo scenario bipopulista, senza peraltro aver prima messo in sicurezza il paese, questo qualcuno è Mario Draghi.