Il 26 ottobre il COPASIR ha presentato al Parlamento la “Relazione su una più efficace azione di contrasto al fenomeno della radicalizzazione di matrice jihadista” di cui l’On. Federica Dieni (M5S) e Vice Presidente del Comitato e l’On. Enrico Borghi sono stati correlatori.
“Il fenomeno jihadista, anche a seguito dell’impatto legato al ritiro delle truppe Nato in Afghanistan, rimane la sfida più grande e globale che la società contemporanea si trova ad affrontare”- dichiara l’On. Dieni.
“Quello che è emerso dalla Relazione Copasir, è l’urgenza di un intervento legislativo da parte del Parlamento, per dotare il nostro Paese di una disciplina idonea a contrastare la minaccia jihadista, ad esempio, punendo non solo la pubblicazione ma anche la sola detenzione di materiale di propaganda. Non possiamo rischiare di farci trovare impreparati verso una minaccia in costante evoluzione che solo una strategia integrata può essere in grado di contrastare” – ha concluso l’On. Federica Dieni.
Il fenomeno terroristico di matrice jihadista, a causa della sua dimensione globale, ibrida e multiforme – anche in relazione all’impatto dei recenti e drammatici sviluppi legati al ritiro del contingente della Nato in Afghanistan – continua ad essere una delle grandi sfide del mondo contemporaneo. È recentissimo l’omicidio del deputato inglese David Amess avvenuto il 15 ottobre 2021 e di cui la polizia britannica ha riconosciuto la matrice terroristica.
Dall’ultimo rapporto di Europol sul terrorismo in Europa riferito all’anno 2020 si rileva che il fenomeno continua a rappresentare una grave minaccia. Nel 2020 sul suolo europeo si sono verificati 10 attacchi di stampo jihadista con 12 morti e 47 feriti. Sono stati effettuati 254 arresti per sospetti reati legati al terrorismo jihadista; l’87% degli
arrestati è di sesso maschile con un’età media di 31-32 anni, di questi il 64% ha meno di 35 anni.
In Italia, secondo il Dossier Viminale 2021, riferito al periodo 1° agosto 2020 – 31 luglio 2021, sono state effettuate 71 espulsioni e i foreign fighters monitorati sono 144.
Per quanto riguarda la radicalizzazione in carcere, dal report “Comprendere la radicalizzazione jihadista. Il caso Italia” predisposto dalla European Foundation for Democracy e da Nomos Centro Studi Parlamentari nel 2019, risulta che su 60.000 detenuti 20.000 sono stranieri; di questi, 13.000 provengono da Paesi musulmani e 8.000 dichiarano di professare la religione islamica, 25,88%.
L’efficacia delle misure di contrasto non può prescindere dall’indagine e dalla prevenzione delle motivazioni dei singoli e dei gruppi pronti a radicalizzarsi. Le condizioni comuni che motivano una tale scelta sono di ordine psicologico, familiare,
L’adesione al jihadismo continua a vedere un terreno fertile nel web, principale luogo di proselitismo, dove vengono condivisi articoli, video e materiale di tipo più strettamente propagandistico e dove circola una “manualistica” sulla produzione di ordigni o contenente le istruzioni per procedere con attentati di vario genere.
L’ambiente carcerario rimane un contesto delicato in cui il processo di radicalizzazione può accelerare o partire da zero per i soggetti sensibili così come alcuni luoghi di aggregazione islamici in cui soggetti radicali fanno opera di
proselitismo e indottrinamento.
La disciplina normativa: gli strumenti di contrasto preventivo e repressivo Quella contro la radicalizzazione jihadista è una partita che si gioca su più piani, quello della prevenzione e quello della repressione. Sia l’Unione europea che
l’Italia si sono dotate di strumenti finalizzati a contrastare una minaccia che si presenta con caratteristiche ibride ed anticonvenzionali; è evidente che il contrasto a tale minaccia può avere successo solo se basato su misure reattive e misure preventive e di anti-radicalizzazionee, sociale o personale sulle quali si incardina un’abile propaganda.
Stando a dati recentissimi del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia aggiornati al 15 ottobre 2021, si rileva che nell’opera di prevenzione della radicalizzazione in carcere sono sottoposti a monitoraggio 313 detenuti suddivisi in tre livelli di attenzione in base alla pericolosità, 142 sono classificati di livello alto, 89 di livello medio e 82 di livello basso. Tra questi detenuti le nazionalità maggiormente rappresentate sono l’algerina, 27,16%, e la marocchina,
Vale la pena ricordare che in Italia esiste infine uno strumento di elevata affidabilità e che tutti gli operatori valutano di alto livello, al punto da prefigurarlo come un modello da replicare nel contesto europeo. Si tratta del Comitato di analisi strategica antiterrorismo, CASA, che rappresenta il luogo di incontro, scambio informativo, cooperazione e coordinamento tra le Forze di polizia e le Agenzie di intelligence con la partecipazione dell’amministrazione penitenziaria.
È necessario dare vita a programmi culturali che sappiano disegnare percorsi di interrelazione tra religioni e culture. La lotta al terrorismo e la necessità di mettere in campo nuove strategie per l’integrazione, oltre al rafforzamento di quelle esistenti,
Le scuole, le carceri, i luoghi di aggregazione islamici sono i luoghi fisici della sfida ma un altrettanto cruciale campo di battaglia è il web.
Occorre ricordare, come è emerso dalle audizioni dei vertici delle Forze dell’ordine, che il terreno dei social network, in cui avviene buona parte del proselitismo e della radicalizzazione dei soggetti a rischio, pone un problema dovuto
al fatto che la giurisdizione in cui ricadono tali ambiti è estera, imponendo di fatto un limite alle indagini che incontrano difficoltà e rallentamenti in sede di rogatoria internazionale.
Solo una strategia integrata – che affianchi misure reattive a quelle preventive e di anti-radicalizzazione – sarà in grado di contrastare efficacemente l’estremismo e la violenza terroristica.