Mancano quattro giorni alle elezioni americane. Kamala Harris ha tenuto il suo discorso finale all’Ellissi di Washington il 29 ottobre, luogo simbolo perché è lo stesso in cui Donald Trump parlò a suoi sostenitori il 6 gennaio 2021 prima che questi andassero ad assaltare il Congresso Usa per cercare di impedire la certificazione del risultato delle elezioni del 2020. Quello di Harris non è stato l’ultimo discorso prima del voto di martedì, ma sicuramente il più importante e quello in cui ha cercato di riassumere i valori della sua candidatura e della sua eventuale presidenza.
Immancabile l’attacco a Trump, definito un «tiranno capriccioso ossessionato dalla vendetta. Un meschino tiranno instabile che vuole il potere assoluto». Quindi il focus sulla tornata elettorale: «Questo è il voto più importante a cui avete mai partecipato. La scelta è tra la libertà per ogni americano o il caos e le divisioni di Donald Trump». E ha assicurato: «Io sarò la presidente di chi non ha voce. Non sono perfetta, faccio errori ma prometto che ascolterò sempre tutti, anche chi non ha votato per me». Al contrario, ha continuato, «Trump è instabile e vuole il potere assoluto. Ma la sua America divisa non è quel che siamo noi. È tempo per una nuova generazione di leader, voltiamo pagina. Gli Stati Uniti non sono un luogo per aspiranti dittatori, chi ci ha preceduto non ha lottato e dato la vita per vederci cedere le nostre libertà fondamentali. Non lo hanno fatto per vederci sottomettere alla volontà di un altro meschino tiranno».
Dopo gli affondi contro l’avversario, la candidata dem ha parlato dei punti principali del suo programma: «Mi batterò per restituire alle donne americane quello che Trump e la sua Corte Suprema hanno strappato loro, la possibilità di decidere del loro corpo. Ridurre i costi per la classe media sarà la priorità del mio lavoro. Voglio ripristinare la leadership mondiale degli Usa. Perseguiremo i cartelli del narcotraffico e gli immigrati illegali, ma allo stesso tempo non dobbiamo dimenticare che siamo una nazione di immigrati». La kermesse si è conclusa sulle note di Freedom, la canzone di Beyoncé diventata inno della campagna.
Nelle ultime settimane, il candidato repubblicano, Donald Trump, è stato più volte accusato dalla democratica Kamala Harris di essere un fascista. Naturalmente, a pochi giorni dall’Election Day, queste accuse possono giocare un ruolo decisivo, soprattutto in una tornata elettorale così combattuta. Tuttavia, non tutti credono alle affermazioni nei confronti di Trump. Tra questi, vi è il sindaco di New York, Eric Adams, che ha preso sorprendentemente le difese del leader MAGA. Durante una conferenza stampa presso il quartier generale della NYPD, il primo cittadino, un democratico, ha spiegato: “Ho già sentito questi termini utilizzati contro di me da alcuni leader politici della città”. Alla domanda se considerasse il tycoon un fascista, Adams ha ribadito: “La mia risposta è no. So cosa ha fatto Hitler, e so cos’è un regima fascista. E questo non lo è. Il tono del dibattito politico deve abbassarsi”. Adams, dal canto suo, ha preso le difese del leader MAGA anche su questo fronte, spiegando: “Questa è l’America. Questa è New York. Penso che sia importante permettere agli candidati di esercitare il loro diritto di trasmettere il loro messaggio ai newyorkesi. Il nostro compito come città e come Dipartimento di Polizia è quello di assicurarci che possano farlo in modo pacifico”.
Come Trump, il sindaco della città più grande del Paese è stato incriminato per accuse federali, affermando di essere vittima di una persecuzione politica da parte della “vendicativa” amministrazione Biden. Il tycoon, a sua volta, ha espresso simpatia per Adams, recentemente, in occasione della cena di Al Smith a Manhattan.
“Non mi sento di fare previsioni. Purtroppo, le macchine di voto elettronico della Dominion hanno dato già qualche problema in passato. Il rischio di discrepanze resta concreto, ma confido in un risultato storico per Trump, magari simile alla vittoria di Reagan”. Così, all’Agi, l’ analista politico italo-americano George Guido Lombardi, consigliere di Donald Trump, a qualche giorno dal voto negli Stati Uniti e a poche ore dal discorso di Kamala Harris all’Ellisse, il parco a Sud della Casa Bianca nel quale il 6 gennaio 2021 Trump tenne il comizio che alimentò la rabbia dei suoi sostenitori, che poi sarebbero andati a Capitol per prendere d’assalto il Congresso. “Non mi sorprenderei di qualche colpo di scena dalla propaganda democratica, soprattutto da parte della Harris, sono disperati. Invece, per Trump non mi aspetto sorprese”, dice. “Al Madison Square Garden di New York, Trump ha tenuto uno dei suoi migliori discorsi – attirando un vasto pubblico anche in una città tradizionalmente orientata a sinistra”.
Secondo Lombardi, il voto delle minoranze potrebbe rivelarsi decisivo: “I latinos, tradizionalmente divisi, ora si sono spostati in massa verso Trump perchè temono loro per primi l’immigrazione incontrollata che mina le opportunità lavorative. Anche tra gli afro-americani si è visto un cambiamento. Mentre in passato votavano democratico al 90-95%, oggi la percentuale è scesa al 40-50%, soprattutto tra i giovani che si sentono minacciati dall’afflusso di manodopera sottopagata”.
Quanto alla comunità italo-americana, che tradizionalmente è equamente divisa tra democratici e repubblicani, per l’ analista italo-americano “questa volta potrebbe pendere dalla parte dei repubblicani, anche se nelle grandi città gli italo-americani sono ancora influenzati dai legami con amministrazioni di sinistra”. Il suo riferimento è ad alcuni premi culturali che recentemente hanno escluso tutti i nomi repubblicani in favore di figure legate all’amministrazione Biden.
Per il consigliere di Trump è positivo il mancato l’endorsement del Washington Post e del Los Angeles Times a Kamala Harris. “è un messaggio che lascia intravedere che una parte del partito democratico, piu’ moderata, è pronta a dissociarsi in caso di sconfitta, proprio per evitare future rappresaglie interne”.