Henry Kissinger, ex-consigliere per la Sicurezza nazionale Usa ed ex-segretario di Stato, fa, sull’Economist, un’analisi spietata dei molti, troppi errori compiuti dagli Stati Uniti tanto nella gestione del quotidiano quanto nel momento del disimpegno: ‘Una decisione presa senza alcun preavviso, nessun accordo preliminare né con gli alleati – Italia compresa – né con gli stessi afghani e, infine, una grave mancanza di flessibilità e di visione creativa al punto da non capire che, tra il pieno controllo dell’Afghanistan o il ritiro totale, c’era una terza via da percorrere, per lasciarsi alle spalle 20 anni di impegno militare nel Paese, che prevedeva la sensibilizzazione delle nazioni vicine minacciate dalla presenza del terrorismo’.
Occorre “un’attenta riflessione per capire come mai l’America si sia ritrovata a dare l’ordine del ritiro, con una decisione presa senza preavviso né accordo preliminare con gli alleati e con le persone coinvolte in questi vent’anni di sacrifici – ragiona Kissinger. – E come mai la principale questione in Afghanistan sia stata concepita e presentata al pubblico come la scelta tra il pieno controllo dell’Afghanistan o il ritiro totale“.
“Ci siamo persuasi – ammette Kissinger nel l’intervento sul quotidiano britannico ripreso dal Corriere della Sera – che l’unico modo per impedire il ritorno delle basi terroristiche nel Paese era quello di trasformare l’Afghanistan in uno Stato moderno, dotato di istituzioni democratiche e di un governo insediato su base costituzionale“, ma “una tale impresa non poteva prevedere un calendario certo, conciliabile con i processi politici americani“.
Per Kissinger, “la lotta ai ribelli poteva essere ridimensionata a contenimento, anziché annientamento, dei talebani” e “il percorso politico-diplomatico avrebbe potuto esplorare uno degli aspetti particolari della realtà afghana: che i Paesi confinanti, anche se in aperta ostilità tra di loro e non di rado con l’America, potessero sentirsi profondamente minacciati dal potenziale terroristico dell’Afghanistan“.
Dunque per Kissinger lì era parte della soluzione e “una diplomazia creativa avrebbe potuto distillare misure condivise per debellare il terrorismo in Afghanistan. Questa alternativa non è mai stata esplorata”, conclude l’ex-segretario di Stato, convinto che l’America non possa “sottrarsi al suo ruolo di attore chiave nell’ordinamento internazionale”.
«È il modo in cui è stato gestito il ritiro che ha permesso il crearsi di quest’occasione per i terroristi». Va giù duro Ian Bremmer, politologo, fondatore e presidente del centro studi Eurasia Group. Al Corriere della Sera dice: «L’errore più grande è stato lasciare la base aerea di Bagram a luglio. Per evacuare tutte queste persone serviva un’area nella quale poter controllare la sicurezza. E non è il caso dell’aeroporto di Kabul. Poi ci sono stati tanti altri errori». L’elenco è lungo. Si va dalla mancanza di pianificazione alle informazioni errate, dall’unilateralismo a una confusa strategia di comunicazione.
«È Biden che sta gestendo male questa evacuazione. E lo sta facendo da solo, invece di farlo con gli alleati. Questo sarà un grosso problema per lui». Perché tutti questi errori di giudizio? «Evidentemente pensavano che il governo afghano sarebbe rimasto in piedi e che la Difesa afghana avrebbe combattuto. Quando hanno lasciato Bagram, l’intelligence parlava di un governo che sarebbe durato due o tre anni. Ora, se l’intelligence dice questo, ma ammette che potrebbe essere molto peggio – e però tutti sanno che Biden vuole andarsene a ogni costo – è plausibile che le persone che lo consigliano possano aver edulcorato i rapporti. O semplicemente è stato lui a non voler ascoltare».
Ora Biden dovrà spostare in avanti la fine delle operazioni di evacuazione? «Sarà difficile mantenere il passo. Man mano che gli americani riducono le loro truppe diventa più difficile e pericoloso operare. Significa che un enorme numero di afghani che avrebbero avuto il diritto di partire verrà lasciato indietro. E questo sarà un problema per Biden. Soprattutto sul palcoscenico internazionale davanti agli alleati europei già estremamente scontenti di come è stata gestita l’uscita dal Paese».