Essere ottimisti non è solo un buon metodo per vivere a pieno la propria vita, ma anche lo strumento adatto per “allungarla”. E’ quanto emerge da una ricerca condotta da un gruppo di scienziati svizzeri dell’università di Zurigo, che ha dimostrato come chi dice di sentirsi bene, anche se magari soffre di acciacchi o “cova” malattie, proprio grazie al suo “vedere rosa”riesce a sopravvivere più a lungo. Chi invece si lamenta e giudica pessimo il proprio stato di salute, avvertono i ricercatori nello studio pubblicato su ‘Plos One, arriva addirittura a triplicare il rischio di morte. Alla fine degli anni ’70, il team diretto da Matthias Bopp dell’Istituto di medicina sociale e preventiva di Zurigo aveva interrogato 8.250 persone su come valutassero le proprie condizioni di salute, sottoponendole al contempo a un esame medico. Oltre 30 anni dopo i ricercatori hanno provato a stabilire un rapporto tra la mortalità dei partecipanti all’indagine e il giudizio che allora avevano espresso. Ne è emerso che “l’autovalutazione ha un forte valore prognostico”, riassume l’ateneo elvetico. In particolare, il rischio di morte degli uomini che giudicavano “pessime” le proprie condizioni di salute è risultato, 3 decenni dopo, 3,3 volte maggiore rispetto a quello dei coetanei che si sentivano “molto bene”. Andava un pò meglio alle donne “pessimiste”, con una probabilità di morte 1,9 volte superiore rispetto a quella delle coetanee che avevano valutato positivamente la propria salute. Il rischio di morte, precisano gli autori dello studio, aumenta parallelamente alla negatività dell’autovalutazione: è più alto per chi vede nero, più basso per gli ottimisti, con in mezzo tutti i gradi intermedi. Poiché è facilmente immaginabile che chi valuta negativamente la propria salute soffra già di qualche malattia, oppure viva in modo poco sano o abbia anche altri fattori di rischio, gli scienziati svizzeri hanno “corretto” i risultati ottenuti tenendo conto di eventuali elementi concomitanti. Ebbene, l’effetto-longevità dell’ottimismo rimaneva valido: il fatto che le singole persone esaminate fumassero o no, fossero o meno affette da una malattia cronica, assumessero o meno farmaci – assicurano gli autori – modifica pochissimo il legame tra autovalutazione e rischio di morte. Lo stesso vale anche per il valore della pressione arteriosa e per i livelli di zucchero nel sangue. I risultati dello studio suggeriscono che chi giudica “molto buona”la propria salute in realtà possiede risorse in grado di promuoverla e preservarla, commenta Bopp all’agenzia Ats. Questo non significa, precisa l’esperto, che basta essere ottimisti per mantenersi sani. Secondo i medici, tuttavia, l’autovalutazione del paziente potrebbe rappresentare un’importante indicazione. La salute, infatti, non è la semplice assenza di malattie, ma un sentirsi bene complessivo: fisico, spirituale, sociale, puntualizza Bopp. “Un buon medico – sostiene il co-autore dello studio David Fah – non dovrebbe valutare soltanto la presenza o assenza di fattori di rischio e malattie, ma esaminare anche di quali “risorse di salute i pazienti dispongono, ed eventualmente promuoverle e consolidarle”.
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