L’India e le sue religioni

Un territorio di circa 3.000.000 kmq, una popolazione di più di 1miliardo di abitanti e un mosaico di religioni diverse si riflettono in un universo di monasteri buddisti, moschee e templi induisti che rappresentano uno dei molti volti dell’India. La religione più diffusa è l’induismo, attualmente praticato dall’81,4% di indiani, le cui radici affondano nel Vedismo, così chiamato dai Veda (Sapere), considerati i testi religiosi più antichi del mondo, rivelati, secondo la tradizione da Brahman (Spirito Supremo) ai rischi (profeti) durante uno stato di meditazione profonda. La religione vedica di epoca arcaica presenta numerose differenze rispetto all’induismo attuale: in primo luogo la presenza di autorità religiose femminili impersonate da donne rischi, l’apparente assenza della credenza nella reincarnazione e in particolare un pantheon diverso, con Indra a capo degli dei, oggi sostituito dalla triade composta da Brahman (il creatore), Shiva (il distruttore) e Vishnu (il conservatore della vita). L’induismo non è un sistema religioso organico ma piuttosto una filosofia di vita e di pensiero, basata su un insieme complesso di riti e mitologie, su concetti come la trasmigrazione delle anime, destinate a purificarsi progressivamente attraverso un ciclo continuo di nascita e morte. Secondo la dottrina del Samsara infatti, ogni uomo dovrà reincarnarsi in un essere di qualità superiore o inferiore in base ai meriti accumulati durante la vita terrena. Altro caposaldo della religione indù è la suddivisione della società in caste cui si appartiene per nascita e strutturate in una rigida gerarchia che colloca ai vertici i sacerdoti, i guerrieri e i lavoratori qualificati, relegando in una posizione di sottomissione i servi e gli intoccabili, i cosiddetti paria. La concezione delle caste è rifiutata radicalmente dal Buddismo, sviluppatosi come eresia interna all’induismo nel IV sec. A.C. quando Siddharta Gautama, noto come il Buddha, l’illuminato, iniziò a diffondere una dottrina che predicava il distacco dai piaceri materiali e dai desideri terreni, fonte di sofferenza, e il raggiungimento di un perfetto stato di quiete e appagamento spirituale, il Nirvana, attraverso un comportamento improntato alla rettitudine. La mortificazione della materia e la valorizzazione dell’ascetismo come unica via per la salvezza sono principi condivisi anche dal Giainismo, fondato da un contemporaneo di Buddha e oggi professato da una minoranza della popolazione indiana nonostante le sue origini molto antiche. La seconda comunità religiosa del Paese è quella islamica: il culto di Allah fu introdotto nel XIII secolo, con l’invasione turco-afghana ed è proliferato al punto che oggi l’India è il quarto stato al mondo con il maggior numero di musulmani. I conflitti e le tensioni tra questi ultimi e la maggioranza indù hanno condotto nel 1947 alla creazione di uno stato indipendente musulmano, il Pakistan. Tra le altre minoranze si ricorda quella sikh, concentrati nella provincia autonoma del Punjab, seguaci di una fede rigorosamente monoteistica, opposta ad ogni forma di idolatria e difesa fino alla morte. Nel XVIII secolo infatti, per resistere all’imperatore moghul che intendeva convertirli con la forza all’Islam, i membri della minoranza sikh adottarono un comportamento paramilitare, con particolari costumi (non si tagliano mai la barba e i capelli, portano questi ultimi raccolti sulla testa in un turbante) lottando disperatamente per salvaguardare il loro patrimonio di credenze. Infine completano questo quadro religioso dell’India i parsi, gli zoroastriani attuali, emigrati dall’Iran all’epoca della conquista musulmana del VII secolo e costituitisi a Bombay in una comunità piuttosto omogenea sebbene aperta al’influsso innovatore europeo.

Maria Gravano

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