‘La bacheca del muguno’ di Beppe Grillo sulle nomine Rai, sorvolando i due forni di Conte e l’indecisione di Schlein

In Rai, come noto, lunedì i lavoratori hanno scioperato per protestare contro lo stallo al vertice e la mancanza di un piano industriale. Domani, giovedì 26 settembre a Montecitorio e Palazzo Madama si voteranno i quattro consiglieri di nomina parlamentare, due alla Camera e due in Senato. Contemporaneamente il Mef indicherà altri due consiglieri, così da arrivare a sette (quello dei dipendenti, Davide Di Pietro, è già stato eletto due mesi fa), che saranno l’amministratore delegato (Giampaolo Rossi) e il presidente. È su quest’ultima figura che le trattative andranno avanti fino all’ultimo. Perché la predestinata del centrodestra, Simona Agnes (quota Fi ma spinta soprattutto da Gianni Letta), non ha i voti in Vigilanza, dove il presidente deve essere eletto con maggioranza di due terzi: 28 voti. Il centrodestra, dando per acquisito il voto di Maria Stella Gelmini (che ha da poco lasciato Azione per entrare in Noi Moderati), ne conta 26: gliene mancano due. Non potendo pescare tra le due renziane (Maria Elena Boschi e Dafne Musolino), che  non possono permettersi di voltare le spalle al Pd, gli occhi sono tutti puntati sul M5s.

Giuseppe Conte  ha fatto credere agli alleati di centrosinistra di volersi muovere insieme sulla Rai, tanto da sottoscrivere un documento comune in cui si chiede di procedere con la riforma della governance secondo i parametri del Media Freedom Act prima delle nomine, altrimenti non parteciperà alle votazioni,  usando di sponda la sua fidata presidente della Vigilanza, Barbara Floridia.  Pd e Avs  escludono qualsiasi tipo di accordo con la maggioranza, mentre Conte ha preso posizione: «Voteremmo un presidente dal profilo alto, di garanzia, che sia fuori dalle logiche dei partiti. Ma al momento, a vedere i nomi, non ne vedo…». In pratica: togliete di mezzo Agnes e parliamo. Palazzo Chigi coglie e Giorgia Meloni chiede ad Antonio Tajani di rinunciare alla figlia di Biagio Agnes, inviando ai  pentastellati un messaggio: dateci una rosa di tre nomi per noi accettabili e vediamo. Si parla di Milena Gabanelli e dell’ex direttore dell’Espresso Giovanni Valentini, che però difficilmente andranno in meta: la prima è improbabile che accetti, il secondo potrebbe risultare indigesto ai meloniani. Ma Conte avrebbe  un terzo nome da segnalare e  se l’accordo coi 5 stelle su un presidente di garanzia non dovesse andare in porto, c’è però un piano B. I pentastellati potrebbero far convergere i voti che servono su Agnes, che diventerebbe presidente, in cambio di almeno un paio di direzioni “pesanti”: il Tg3 o la Tgr o RaiSport. Mediatore della trattativa è il futuro ad Giampaolo Rossi, che in passato, in Cda, diede una grossa mano all’ex ad pentastellato Fabrizio Salini. Ora quei canali sono stati riattivati.

La nuova rubrica del blog di Beppe Grillo “La bacheca del mugugno” accoglie una lettera,  un appello a Grillo per sensibilizzare lui, i parlamentari M5s e tutti i lettori del blog sulla situazione della Rai, azienda finanziata da tutti gli italiani con il canone prelevato in bolletta, per una cifra che sfiora 2 miliardi di euro all’anno. Non si tratta, quindi, solo del fondamentale diritto all’informazione, ma anche di vigilare sui propri soldi. Nella lettera ricordo la situazione di stallo in cui la Rai versa dal mese di luglio, quando l’attuale Cda è scaduto, e sarebbe giusto ricordare agli italiani che una situazione analoga e anomala si è creata già dal maggio 2023, quando inaspettatamente l’Ad Fuortes decise di dimettersi, e alle sue dimissioni vanno aggiunte quelle di luglio della presidente Soldi.

La principale azienda di cultura del paese da luglio ha un Cda zoppo e scaduto. A questo si aggiunge che in queste ore viene paventata la nascita di un nuovo Cda con schiacciante maggioranza di centrodestra e senza un presidente di garanzia, in aperta violazione della legge.

Ecco cosa viene scritto  a Grillo: “Il 26 settembre il Parlamento voterà per il rinnovo del cda Rai. I numeri, in maniera inequivocabile, certificano che sarà un cda a maggioranza di centrodestra, eppure sarebbe invece possibile aggirare il rischio di avere una Rai interamente di destra. La legge prevede che il presidente del Cda abbia un ruolo di garanzia e pertanto per essere eletto occorre una maggioranza ampia in commissione di Vigilanza: i due terzi dei voti. In pratica, senza una scelta condivisa con le opposizioni non è possibile nominare il nuovo presidente della tv pubblica. Il fatto che, in queste ore, la maggioranza proponga un unico e solo nome all’opposizione per il ruolo di presidente – che appunto, in base alla legge sulla governance dovrebbe essere di garanzia – conferma per l’ennesima volta che il governo Meloni vuole costruire una Rai totalmente monocolore, dove le opposizioni non abbiano alcuno strumento di garanzia a disposizione. Con il voto del 26 il presidente Conte si è detto pronto a votare in commissione Vigilanza (dove servono i due terzi dei voti) un presidente ‘autorevole’, senza però arrivare a fare un nome. Quasi che ci si volesse trovare di fronte a un candidato imposto dalla destra che prima o poi, con l’aiuto di qualcuno, sarà eletto lo stesso nel buio del voto segreto. Per poi limitarsi a restarne (o mostrarsi) vittime. Non sarebbe un moto d’orgoglio degno del Movimento quello di riprendersi il dibattito proponendo qualche vero nome di garanzia, come accadde quando alle elezioni del presidente della Repubblica nel 2013 i Cinque stelle candidarono il professor Rodotà, personalità di indiscussa qualità? Non si potrebbe (e dovrebbe) spostare la discussione su professionisti dalla competenza inattaccabile che possano restituire al servizio pubblico – per quanto in mano alla politica – una credibilità vera? La ricerca va sbloccata con un nome che sbaragli, di comprovata autorevolezza a cui anche la destra non possa dire di no”.

Proprio in queste ore i giornali hanno dato spazio all’appello di due “padri della patria”, due ex presidenti del Consiglio che hanno sempre lavorato per il bene del Paese: Romano Prodi e Paolo Gentiloni. Da loro è arrivato l’invito ai parlamentari italiani di sostenere, indipendentemente dal partito di provenienza, la nomina di Fitto a commissario europeo.

Un atto di generosità verso la macchina democratica italiana europea che non ha precedenti e che sarebbe giusto e doveroso che Fitto ricambiasse con un’intermediazione presso la presidente del Consiglio per chiedere che sulla vicenda Rai venga rispettata la legge e il presidente, come previsto dalla legge, sia di garanzia, e non ci si arrocchi su un braccio di ferro su un solo nome (“o questo, o nulla”). Il centrodestra avanzi alla commissione di Vigilanza una rosa di nomi di indubbia professionalità che possa garantire il ruolo di terzietà come previsto dalla legge. Sarebbe un atto dovuto, rispettoso della legge e soprattutto rispettoso del pluralismo e di tutti quegli italiani che pagano il canone.

Se invece Conte non fosse disponibile a dare soccorso giallo a Agnes, a quel punto la partita cambierebbe. Agnes verrebbe bocciata in Vigilanza e le veci di presidente spetterebbero al consigliere anziano. Per questo la Lega ha deciso di cambiare cavallo per il Cda, proponendo l’ex direttore di Rai2 Antonio Marano (68 anni) al posto dell’attuale direttore della Tgr Alessandro Casarin (66 anni). Sarebbe dunque Marano (su cui però Matteo Salvini ha delle perplessità non foss’altro perché è un nome della “vecchia Lega”) a svolgere le funzioni da presidente in attesa di capire quale nome ripresentare in Vigilanza, magari anche la stessa Agnes. Al momento, dunque, lo schema prevede Rossi ad; Agnes, Marano o un terzo nome gradito ai 5 stelle alla presidenza; Roberto Sergio direttore generale (che mercoledì scorso è andato a perorare la sua fedeltà a Palazzo Chigi, dove ha visto la premier). Insomma, il vecchio patto con lo scambio Rossi-Sergio è stato rispolverato e ripresentato a tavola.

Il vero dilemma riguarda l’opposizione, da una parte per l’ambiguità di Conte un giorno barricadero e quello dopo pronto a mandare segnali alla maggioranza, dall’altra per la mancanza di una linea chiara nel Pd: Aventino o no? Presidente di garanzia o lotta dura? Prima la riforma o prima le nomine? Non si sa. «Elly Schlein sulla Rai non ci ancora capito nulla e questo la dice lunga pure sul resto…», sussurra a Lettera43 una fonte dem autorevole. Non è facile muoversi nel ginepraio di alleanze variabili e voltafaccia repentini che è Viale Mazzini, ma almeno Schlein avrebbe dovuto metterci qualcuno esperto, mentre l’uomo che sta seguendo la partita, Francesco Boccia, lascia a desiderare, per non parlare di Sandro Ruotolo, che ora sta a Bruxelles. I dem non sanno neppure se partecipare giovedì al voto parlamentare e con chi (Antonio Di Bella, Roberto Natale o Goffredo De Marchis?). Gli altri probabili consiglieri saranno invece Valeria Falcone per FdI, Alessandro di Majo per i 5 stelle e appunto Marano per la Lega. Una mancanza di linea che, nell’immediato futuro, potrebbe costare la poltrona da direttore del Tg3 a Mario Orfeo, che fa molta gola a Conte, anche perché strapparla al Pd sarebbe per lui godimento massimo. Mentre Meloni non ha ancora deciso cosa fare col direttore di RaiNews, Paolo Petrecca, che però potrebbe finire a Raisport.

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