La Cigl apre il cantiere per la riforma della Rai

Si è svolto, sulla piattaforma web Futura, un convegno promosso dalla Confederazione Generale Italiana del Lavoro (Cgil) e dal suo sindacato settoriale Slc (Sindacato Lavoratori della Comunicazione, un convegno intitolato “Rai / Bene pubblico in un Paese che cambia”.

“L’iniziativa va certamente apprezzata, anzitutto perché si pone come sasso nello stagno, data l’assenza di dibattito pubblico – serio ed approfondito – sulla Rai, da mesi.

In questi giorni, il dibattito sulla Rai ha ripreso spazio, anche sulle pagine dei giornali, ma purtroppo con modalità vetuste, toccando alcuni tasselli minori, senza affrontare di petto il mosaico complessivo, ovvero la “missione” del servizio pubblico, la sua “governance”, le risorse. Il dibattito sembra in verità congelato, più che stagnante”, scrive Angelo Zaccone Teodosi, Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult, su key4biz.it.

“Basti osservare che negli ultimi due anni (dall’insediamento del Conte I, giugno 2018), nessun partito politico ha promosso un incontro-dibattito-convegno sui futuri possibili della Rai: merito quindi al sindacato, ovvero alla Cgil-Slc, di aver finalmente rotto questo assordante silenzio.

L’ultima iniziativa sulla Rai promossa in ambito partitico-parlamentare risale addirittura ad un anno fa (novembre 2019), con il convegno “Una nuova Rai è possibile. Riforma della governance per un’azienda indipendente”, promosso dal senatore del M5S Primo Di Nicola, ma “uti singuli. In Parlamento, giacciono le proposte giustappunto di Di Nicola al Senato e della sua collega Mirella Liuzzi alla Camera, si ha memoria dei testi di riforma di Tana De Zulueta e di Paolo Gentiloni, che risalgono al 2006- 2007. A metà ottobre 2020, è stata presentata da Andrea Orlando (Vice Segretario Pd) una proposta di riforma (il cui testo è stato reso pubblico pochi giorni fa), che ricalca la proposta Gentiloni della XV legislatura riprodotta poi in parte da Roberto Zaccaria e altri nella XVI legislatura. Anche la senatrice Valeria Fedeli (capogruppo Pd nella Commissione di Vigilanza della Rai) ha annunciato, ad inizio novembre 2020, la gestazione di una sua proposta di legge, anticipando intanto la richiesta di una presidenza assegnata ad una donna. Un disegno di legge intitolato “Disposizioni in materia di servizio pubblico radiotelevisivo” è stato comunicato alla presidenza del Senato il 6 novembre, con Fedeli prima firmataria ed altri 22 senatori: il testo è disponibile da oggi”. “Si ha ragione di ritenere che si debba andare oltre, osare di più. Uno dei convegni più ricchi di stimoli sui futuri possibili della Rai è stato quello promosso nel 2015 da Area Popolare Ncd Udc, con Rocco Buttiglione e Maurizio Lupi. Il dibattito politico sulla Rai si è andato via via desertificando”.

“Le ragioni – secondo Teodosi –  di questa asfissia andrebbero studiate: rassegnazione forse, su un “organismo” immodificabile, quale finisce per apparire Rai, nella sua dinamica di continua auto-conservazione?! Anche il dibattito tra professionisti ed esperti non ha purtroppo registrato grande ricaduta mediale (i giornali ed i media mainstream maltrattano la Rai, concentrandosi sulle polemiche relative alle nomine ed agli “sprechi”): si pensi ai pur commendevoli gruppi di lavoro “Visioni 2030” promosso da Patrizio Rossano e Marco Mele ed al lavoro di “InfoCivica – Carta di Amalfi” promosso da Bruno Somalvico ed altri; altresì dicasi per il recente “Manifesto per una nuova Rai”, ovvero “per la qualità della comunicazione e nuovo servizio pubblico”, promosso da Andrea Melodia e da esperti dell’AdpRai (associazione dei dirigenti pensionati della Rai), che ha registrato oltre un migliaio di adesioni”.

“Uno dei punti del programma del Governo in carica – si legge sempre nello scritto Teodosi –  afferma che l’Italia “ha bisogno di una seria legge sul conflitto di interessi e di una riforma del sistema radiotelevisivo improntata alla tutela dell’indipendenza e del pluralismo”: ad oggi, a questa dichiarazione di intenti non ha fatto seguito alcun atto concreto, considerando che non è calendarizzata nessuna proposta di legge in materia. La riforma della Rai: il Partito Democrativo avvia il dibattito parlamentare?!

Soltanto negli ultimi giorni, il dibattito s’è un po’ ravvivato, dato che il Partito Democratico ha presentato alla Camera e Senato una proposta di legge, che – ha precisato oggi in occasione del convegno Cgil – la senatrice Valeria Fedeli (capogruppo Pd nella Commissione di Vigilanza della Rai) ha dichiarato essere “la proposta del Partito Democratico”. Proposta che forse richiede qualche “aggiornamento” – ha riconosciuto –, ma dalla quale il Pd intende partire come base di lavoro”.

Il convegno è stato coordinato dal sindacalista Giancarlo Albori (Segretario Slc di Milano), e si è aperto con una relazione introduttiva di Riccardo Saccone, Segretario Nazionale Slc Cgil, che ha denunciato il ritardo che il Paese registra rispetto alla rigenerazione del servizio pubblico radiotelevisivo (organizzato ancora secondo la logica arcaica dei “protettorati” e della lottizzazione), questione strategica che si intreccia con la questione della banda larga e della rete unica. Saccone ha annunciato che l’iniziativa della Cgil intende porsi come avvio di una sorta di “laboratorio per la riforma della Rai”, aperto ai contributi della società civile, di accademici, di esperti, ed ovviamente dei lavoratori stessi del servizio pubblico.

Relazione di ampio respiro quella di Sergio Bellucci, Presidente del think-tank Net Left, sociologo dei media e saggista (ha pubblicato da poco “L’industria dei sensi”, per i tipi di Harpo), co-organizzatore della iniziativa Cgil, che ha segnalato come “la questione Rai” debba essere contestualizzata all’interno di un scenario che vede sconvolti i paradigmi tradizionali di analisi sociale, mediale, economica, e quindi politica: la rivoluzione digitale mette in dubbio il senso stesso del “servizio pubblico” (qualche pessimista ha sostenuto che nel 2030 non ci sarà più servizio pubblico televisivo!), e quindi dovrebbe accompagnarsi ad una riflessione critica sull’evoluzione complessiva della società. E quindi anche rispetto al ruolo dei lavoratori nel sistema mediale ed economico, tematica ovviamente sensibile per il sindacato, che, con iniziative come questa, cerca di recuperare il (tanto) tempo perduto. Secondo Bellucci, prima di affrontare questioni come la “governance” Rai, si deve riflettere sul suo ruolo nel nuovo scenario mediale, radicalmente mutato rispetto alle proposte di legge degli ultimi anni. In effetti, la proposta di legge depositata alla Camera da Andrea Orlando (Vice Segretario del Pd) richiama esplicitamente iniziative di legge che risalgono a dieci se non quindici anni fa (Tana De Zulueta, Giuseppe Giulietti, Roberto Zaccaria), allorquando l’evoluzione della società digitale ha registrato una impetuosa accelerazione negli ultimi anni. Bellucci ha anche criticato il modo con il quale i telegiornali della Rai hanno affrontato e continuano ad affrontare la pandemia, riproducano una chiave di lettura sostanzialmente sensazionalista, spettacolare ed allarmista, senza provocare argomentazioni dialettiche che stimolino “la diffusione di coscienza”.

Giacomo Mazzone, giornalista e storico dirigente Rai e fino a poche settimane fa Direttore delle Relazioni Istituzionali dell’Ebu-Uer (l’associazione delle tv pubbliche europee), è intervenuto come fondatore e Segretario Generale del think-tank Eurovisioni, ed ha proposto un set di dati con tabelle sintetiche, dimostrando come il servizio pubblico sia ancora ben vissuto – e sentito come esigenza – dagli europei (lo confermano alcuni sondaggi Eurobarometro), e come la pandemia abbia rafforzato il rapporto fiduciario con l’utenza. Internet viene ritenuta dai più la fonte informativa meno affidabile, a fronte dei “public media service”, che sono considerati la fonte più attendibile. I “psm” (o “psb” che dir si voglia, secondo la precedente formula di “public service broadcaster) dovrebbero approfittare di questa chance, per rafforzare il proprio legame con la società. Mazzone ha concluso auspicando un “servizio pubblico” basato su cinque capisaldi: indipendenza (dalla politica), multimedialità (andando oltre il mero broadcasting), cooperazione internazionale (soprattutto per la produzione di contenuti originali di qualità), visione strategica (si pensi allo scardinamento dei paradigmi tradizionali evocato da Bellucci), sistema di regole (nazionali ed europee, che debbono essere sintonizzate).

Barachini (Presidente Vigilanza Rai): aumentare le risorse, ma strutturare meglio la “contabilità separata”

È poi intervenuto il Presidente della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi (meglio nota come “la Vigilanza Rai”), il senatore Alberto Barachini: come suo stile abituale, con toni pacati e morbidi, ha rivendicato il ruolo positivo svolto dalla commissione che presiede ed ha ringraziato la Cgil per l’avvio di questo “laboratorio” di riflessione sui futuri della Rai. Ha sostenuto che “l’aumento delle risorse a disposizione del servizio pubblico debba essere accompagnato da un processo di reale contabilità separata, una distinzione tra quelle che sono le fonti e gli impieghi. C’è già questa norma inserita nel contratto di pubblico servizio, ma va ampliata e strutturata ancora meglio”. Apprezzabile che il senatore Barachini (esponente di Forza Italia) non abbia sostenuto la tesi che ha manifestato il Ministro dell’Economia e Finanze Roberto Gualtieri, l’11 novembre giustappunto in audizione in Vigilanza, ovvero una sorta di vincolo alla “restituzione” alla Rai, da parte del Mef, di quel 5 % del canone che le era stato sottratto (una parte del cosiddetto “extra-gettito” del canone, determinato dall’inserimento dello stesso nella bolletta elettrica), con un cambio di passo, e sostanzialmente delegittimando il Consiglio di Amministrazione attuale e soprattutto l’Amministratore Delegato Fabrizio Salini ed il Presidente Marcello Foa. La tesi di Gualtieri rinnova in modo spudorato la dipendenza Rai dalla politica, e dall’Esecutivo in particolare (una delle conseguenze degenerate della cosiddetta “mini-riforma” Rai voluta dall’ex Premier Matteo Renzi).

È poi intervento Angelo Zaccone Teodosi (curatore di queste noterelle), Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale (IsICult), che ha lamentato la stanchezza, povertà, asfissia del dibattito politico italiano sul servizio pubblico italiano. Ha ricordato di essere stato co-autore, venti anni fa, insieme a Francesca Medolago Albani (attualmente Direttrice delle Strategie e Direttrice dell’Accademia Anica), del primo saggio dedicato ad una analisi comparativa del servizio pubblico a livello internazionale (si tratta di “Con il pubblico e con il mercato?”, edito da Mondadori, ricerca paradossalmente promossa da Mediaset), e di aver diretto per dieci anni l’Osservatorio IsICult-Rai sui Servizi Pubblici Europei (nel 2008 è stata pubblicata un estratto-sintesi per i tipi di Rai Eri, “L’occhio del pubblico”). Da un decennio almeno, il dibattito in materia, in Italia, è sostanzialmente fermo, e quindi l’iniziativa promossa da Cgil è commendevole. Zaccone ha lamentato il ritardo della politica, ed ha segnalato come l’intervento di Barachini potesse risultare finanche “noioso”, dato che si tratta di un “policy maker” con precise responsabilità anche rispetto giustappunto all’inerzia dei partiti politici: non risulta che la Vigilanza Rai abbia stimolato la concreta calendarizzazione delle proposte di legge di riforma, che giacciono a Montecitorio ed a Palazzo Madama. Barachini si è scusato, ironicamente, se il proprio intervento avesse annoiato la platea, ma i dirigenti della Cgil sono prontamente intervenuti per rinnovare i sensi di gratitudine per la sua partecipazione al dibattito.

Sono stati ricordati alcuni dati che evidenziano la debolezza economica cui Rai è costretta da anni. Zaccone ha auspicato che il canone venga allineato alla media di Germania e Regno Unito e Francia, e stabilizzato senza rischi (con adeguamento meccanico annuale all’inflazione), ovvero non possa essere ridotto per nessuna ragione.

Si ricordi che i ricavi complessivi delle televisioni pubbliche sono stati di 8,1 miliardi di euro in Germania, 4,5 miliardi nel Regno Unito, 3,4 miliardi in Francia, a fronte dei 2,7 miliardi di euro dell’Italia (il finanziamento pubblico della Rai è poco superiore a quello dei “psb” della Spagna)

A fronte dell’attuale livello italiano di 90 euro, la media dei 3 altri maggiori “player” è di 171 euro l’anno (ovvero il 90 % in più del livello italiano); Germania 210 euro, Regno Unito 166 euro, Francia 139 euro: in sintesi, il canone Rai dovrebbe essere raddoppiato, se si vuole un servizio pubblico all’altezza dei migliori modelli europei (si ricordi che 4 Paesi sono oltre la soglia di 300 euro l’anno di canone: Austria 300, Norvegia 309, Danimarca 339, Svezia 391 euro).

Zaccone ha presentato una sorta di schema di proposta di legge, alla luce di una ormai trentennale esperienza di ricerca e studio su queste materie, condotta dall’IsICult. Questi i punti-chiave: una Fondazione (molto pluralista) autonoma dalla politica, ispirata al modello tedesco di Zdf, con una rappresentanza delle varie anime della società (terzo settore, accademia, confessioni religiose); un budget adeguato (senza pubblicità, ma all’altezza dei benchmark europei); un’agenzia nazionale per lo sviluppo culturale e digitale (e per la promozione internazionale); il pluralismo espressivo (informativo e artistico) e la coesione sociale (e non Auditel). L’eliminazione della pubblicità dalla Rai – sul modello Bbc e, parzialmente, tedesco – deve essere compensata dall’incremento delle risorse da canone. La Commissione bicamerale di Vigilanza viene eliminata. Tutte le controllate (Rai Cinema, RaiCom, RaiWay…) dovrebbero essere internalizzate nella novella Fondazione Rai (Rai Pubblicità andrebbe messa in liquidazione, se Rai rinuncia all’ “advertising”). Rai deve anche uscire da Auditel (di cui detiene una quota del 33 %), anche per sancire simbolicamente che non è la pubblicità il vettore di sviluppo editoriale.

È poi intervenuto Renato Parascandolo, già Direttore di Rai Educational e forse il massimo esperto dei “modelli organizzativi” della Rai: ha sostenuto come l’attuale assetto organizzativo del servizio pubblico italiano sia datato, vecchio, polveroso, inadatto alle sfide della multimedialità e della rivoluzione digitale. Ha ribadito la correttezza di un modello organizzativo “per generi” (per alcuni aspetti fatto proprio dall’ormai congelato “Piano industriale”), e la necessità di stimolare processi di formazione, specializzazione, aggiornamento che stimolino nei dipendenti Rai il superamento della “fossilizzazione multimediale”. Secondo Parascandolo, la questione “organizzazione” viene quasi prima della “governance”, perché collegata al “come” fare “cosa” deve essere servizio pubblico: va prima ri-definita la “identità editoriale” della Rai, e poi si deve ragionare sul suo governo.

Loris Mazzetti, giornalista e dirigente Rai, saggista e blogger, nonché già storico collaboratore di Enzo Biagi, ha raccontato episodi di “ordinaria follia” organizzativa di Viale Mazzini, segnalando come le sedi regionali dell’azienda debbano appaltare all’esterno, a caro prezzo, le troupe. Mazzetti ha ribadito l’esigenza di una Rai indipendente dalla politica, che sappia mettere a frutto le tante potenzialità interne, anche in materia di creatività per i format. Ha denunciato come il “contratto di servizio” tra Stato e Rai non sia rispettato.

Paola Barretta (unica donna, insieme alla Fedeli, tra i relatori ed intervenienti) ricercatrice dell’Osservatorio di Pavia (curato dalla cooperativa Cares) ha presentato una relazione focalizzata sulla dimensione “sociale” del servizio pubblico, ricordando che proprio ieri, giovedì 19, è stata presentata la terza edizione del Rapporto “Illuminare le periferie”, intitolato “I non luoghi dell’informazione. Periferie geografiche e umane nei media”, oggetto di una conferenza online, che ha visto tra gli organizzatori anche Rai per il Sociale (struttura creata nell’estate del 2020 ed affidata alla direzione di Giovanni Parapini), dalla sede della Comunità di Sant’Egidio a Tor Bella Monaca (Roma). Il rapporto di ricerca curato dall’Osservatorio di Pavia è stato promosso da Cospe, Usigrai, Fnsi, con il contributo dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e dell’Impresa Sociale Con i Bambini. Lo studio indaga se e come i media italiani ci informano sugli esteri e sulle “periferie”, quelle lontane, ma anche quelle vicine, sulle periferie geografiche e quelle umane. Obiettivo dello studio è comprendere anche quanto venga data voce, nel sistema mediale italiano (non soltanto in Rai) agli “altri”, quanto vengano resi “visibili” Paesi e contesti da cui hanno origine molte delle migrazioni contemporanee, come vengono raccontati i temi “ai margini” (conflitti endemici, disagio sociale, povertà educativa, disoccupazione e disuguaglianze nell’accesso dei servizi). Tematiche importanti e sensibili, ancora di più in una fase, come quella attuale, di gestione e di contenimento dell’emergenza Covid-19.

Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio, ha evidenziato come sembrerebbe registrarsi una, pur lenta, convergenza, tra le forze politiche verso l’idea di una Rai come “Fondazione”, ed ha quindi auspicato – come Zaccone Teodosi – che il dibattito venga concretamente attivato in Camera e Senato. Si è anche domandato se ha senso continuare a ragionare in una ottica “settoriale”, allorquando il sistema dei media e della cultura richiede un approccio organico, intersettoriale, sistemico. In questa prospettiva, la riforma della Rai non dovrebbe essere sganciata dalla riforma della “legge Gasparri”, e, più in generale, da una revisione dell’intervento pubblico in queste materia (banda larga e rete unica incluse).

Il Segretario dell’Usigrai, Vittorio Di Trapani, ha sostenuto come Rai – ed i servizi pubblici in generale – debbano cogliere la pandemia come occasione per consolidare e sviluppare il proprio ruolo nella società: deve essere sviluppata una riflessione che sia incentrata su concetti fondamentali, come l’inclusione sociale e la sensibilità verso l’ambiente. Ha ricordato la proposta di Stefano Rodotà di innestare nella Costituzione italiana un “articolo 21-bis”, che sancisse il dirtto dei cittadini ad un pieno accesso ad internet ed al digitale. Di Trapani ha condiviso con Zaccone l’esigenza di un avvio “propedeutico ed urgente” del dibattito parlamentare, affinché la “riforma della Rai” non resti il solito pio auspicio, ascoltato in decine di convegni nel corso degli anni.

La senatrice Valeria Fedeli, Capogruppo del Partito Democratico in Commissione Vigilanza, ha convenuto sull’esigenza di una riforma della Rai basata sul modello della “fondazione”, ed ha precisato che la proposta segnalata in questi ultimi giorni dal suo collega Orlando è la “la proposta del Partito Democratico”, e su essa ci si deve confrontare.

La stessa Fedeli è prima firmataria della proposta (seguono le firme di Andrea Marcucci, Francesco Verducci, ed altri 19 senatori del Pd), incardinata come disegno di legge n. 2011, comunicato alla presidenza il 6 novembre scorso. Il testo della proposta è disponibile da oggi.

Si attendono notizie dall’alleato di governo (M5S), e soprattutto date certe sulla calendarizzazione. Fedeli ha riconosciuto che la proposta del Pd, che ricalca in parte quelle di anni fa (Giulietti, Zaccaria, etc.), potrà essere oggetto di implementazioni ed aggiornamenti. Si segnala che ad inizio novembre Fedeli ha annunciato una sua proposta di legge di riforma, con una lettera aperta, che a molti a parsa comunque anche una delegittimazione degli attuali vertici di Viale Mazzini (vedi alla voce “tenere sotto scacco la Rai?!”). Ha sostenuto Fedeli: “dobbiamo ripensare una Rai fortemente centrata sulla sua mission di servizio pubblico e sulla propria identità. Plurale, culturalmente forte, equilibrata, trasparente sia sul fronte dell’informazione che dell’approfondimento che dell’intrattenimento. Una Rai competitiva rispetto agli altri soggetti commerciali perché capace di differenziarsi da essi, utile al cambiamento che serve al Paese, capace di interpretare le nuove condizioni del presente e di stare da protagonista nello scenario futuro, recuperando autonomia, indipendenza, capacità e rapidità decisionale”.

Andrea Montanari, Direttore dell’Ufficio Studi di Viale Mazzini, ha rimarcato come Rai sia – secondo alcune statistiche – l’emittente televisiva pubblica che trasmette in Europa “più ore di programmazione”, a fronte di risorse che sono ben lontane da quelle delle sorelle tedesche e britanniche. Si ricordi che i ricavi complessivi delle televisioni pubbliche sono stati di 8,1 miliardi di euro in Germania, 4,5 miliardi nel Regno Unito, 3,4 miliardi in Francia, a fronte dei 2,7 miliardi di euro dell’Italia; il finanziamento pubblico della Rai è poco superiore a quello dei “psb” della Spagna… La pandemia sta stimolando una riflessione sul ruolo dei servizi pubblici, in tutta Europa, ed anche la Rai si sta attrezzando in questa prospettiva.

Maurizio Landini (Cgil): quello odierno è soltanto l’avvio di un “laboratorio” aperto sulla riforma Rai

Dopo un breve intervento di saluto da parte di Fabrizio Solari (Segretario Generale Slc Cgil), i lavori sono stati chiusi dal Segretario Generale della Cgil Maurizio Landini.

Landini ha fatto riferimento alle relazioni introduttive di Saccone e di Bellucci, ed ha sostenuto che la questione Rai deve essere considerata all’interno di un ragionamento critico complessivo sul sistema dei media e del digitale (ancora una volta, è stata richiamata la banda larga e la rete unica), ovviamente con particolare attenzione alla variabile “lavoro”. Ha rivendicato la volontà della Cgil di promuovere giustappunto un “laboratorio” aperto, di cui quella odierno è stato soltanto il primo. Verranno pubblicati gli atti del convegno e condivisi i materiali. La videoregistrazione dell’iniziativa verrà messa a disposizione sulla piattaforma Futura entro lunedì prossimo.

Conclusivamente, si è trattato di una iniziativa senza dubbio stimolante, nel “deserto di idee” dell’ultimo anno.

Curiosa l’assenza, nel programma, di esponenti di partiti altri della maggioranza di governo, in primis il Movimento 5 Stelle e Liberi e Uguali, così come di consiglieri di amministrazione Rai (naturale sarebbe stato attendersi almeno l’intervento di Riccardo Laganà, eletto dai dipendenti di Viale Mazzini). Da lamentare, una volta ancora, lo squilibrio di genere (2 donne su un totale di 13 previsti relatori ed intervenienti).

Non resta quindi da augurarsi che il “laboratorio” annunciato da Cgil non si fermi alla prima puntata e che gli intendimenti annunciati abbiano concreto seguito nel breve periodo.

E soprattutto si auspica che l’inerzia dei partiti – rispetto alla riforma Rai – non si trasformi in accidia.

Anche se forse è ottimistico pensare che siano proprio i partiti (responsabili della dipendenza di Viale Mazzini dal binomio Governo-maggioranza) gli autori di una riforma illuminata che finalmente affranchi la Rai dai… partiti stessi.

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