La continuità non rientra tra le opzioni di scelta del nostro Paese

Le elezioni sono alla base di ogni sistema democratico, ma l’Italia rappresenta un caso anomalo in tutto l’Occidente in quanto non contempla la continuità dei programmi governativi tra le sue opzioni di scelta, creando così un sistema caotico che non da certezza per il futuro ai propri cittadini. In Francia, recentemente, i francesi hanno potuto scegliere tra due proposte che si confrontavano, una di sinistra rappresentata da Mèlenchon e quella di destra rappresentata dalla Le Pen, ma hanno potuto votare per la continuità di Macron. Il 25 settembre in Italia ci troveremo a scegliere tra tre soggetti politici: la coalizione di centrosinistra, centrodestra e i Cinque Stelle se andranno da soli. I cittadini italiani sono ancora stupiti della fine del governo Draghi e se ne chiedono ancora il motivo, tenuto conto che tra sei mesi al massimo, la parola, come da Costituzione, sarebbe tornata agli elettori. A questo punto la scelta dovrà basarsi su alcuni criteri fondamentali. Il primo é scontato ed è il sostegno incondizionato al PNRR, rispetto al quale il Paese si è obbligato a realizzare, entro il 2026, tutta una serie di riforme in settori chiave dell’intervento pubblico: fisco, giustizia, semplificazione amministrativa, servizi sociali, lavoro sommerso e lotta all’evasione fiscale. E nessuna forza politica oserà rinnegare gli impegni assunti. Ma il pericolo però è sempre dietro l’angolo, pronto a saltar fuori e potrebbe essere rappresentato dalle sfumature, dalle allusioni, dai cenni che fanno pensare ad eventuali negoziazioni con Bruxelles, alle solite ambiguità tese a catturare il consenso. Certamente ci potranno essere integrazioni o miglioramenti, ma quello che i partiti ambiguamente tenteranno di fare, sarà il ricorso a vecchi stereotipi del secolo scorso, di destra e di sinistra, rispolverando slogan, ormai obsoleti. Questo sarà l’inganno da cui dobbiamo guardarci, perché le sfide di oggi non sono di parte, ma trasversali, nel senso che all’efficienza del mercato si dovrà adeguare quella pubblica e camminare di pari passo. A questo schema però i partiti italiani sembrano volersi sottrarre a tutti i costi. Nel centrosinistra mal si conciliano le posizioni degli ecologisti con lo statalismo della sinistra radicale, al riformismo ‘smart’ di Calenda. Nel centro destra si stanno strappando le vesti per le difese corporative che non sono coerenti con una nuova filosofia dei mercati. I Cinque Stelle rappresentano un caso unico: sono passati dai vaffa, all’uno vale uno, ma poi hanno cambiato per tre volte i compagni di viaggio, il loro ciclo è ormai finito. In queste elezioni si presentano come progressisti, ma non si vede nessuna differenza rispetto agli altri; intanto continuano a perdere pezzi per strada. Ma ciò che più stupisce dei nostri partiti che nessuno parla più di Europa che è l’unico versante su cui si può, concretamente, realizzare un cambiamento significativo riguarda l’integrazione europea. Nessuno più dice di uscire dall’euro, ma le idee sull’Europa sembrano di nuovo contrastanti e a tratti allarmanti. Il Centrodestra propugna un’idea di Europa che mette in discussione la tradizione europeista del nostro Paese. Si parla di nuovo di Europa dei popoli, in cui ogni Paese dovrebbe badare ai suoi affari interni senza interferenze, senza alcuna vigilanza sulle legislazioni. Ma il perimetro entro cui realizzare questa nuova Europa non sembra chiaro a nessuno. Certamente un’Europa del genere consentirebbe agli stati di poter violare alcuni diritti fondamentali delle persone e chiudere i propri confini all’accoglienza. Ma su questi temi dove si colloca Forza Italia da sempre europeista convinta? Quello che è in gioco e su questi gli elettori devono riflettere, è il modello di società e di istituzione che si vuol dare al nostro Paese, quello entro cui proseguire il cammino di crescita e di ripresa che faticosamente era iniziato e irresponsabilmente è stato interrotto.

Andrea Viscardi

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