“La Dea irrazionale” di Ciro Caiazzo

Con questo saggio Ciro Caiazzo tenta di risvegliare la coscienza di una società appiattita sulla mentalità del consenso acritico, di una società che ha perso l’abitudine all’introspezione creativa rinunciando a cercare il compromesso che consente la coesistenza della Ragione con l’Irrazionalità, tema fondamentale di questo libro.

L’autore porta avanti la sua tesi facendo abbondante ricorso a quanto scritto da altri autori, sia antichi che moderni, dando al testo un respiro enciclopedico. Questo testo quindi è frutto di una collaborazione di più autori che hanno contribuito con le loro idee a rafforzare la tesi.

Caiazzo, partendo dal presupposto che l’uomo sia naturalmente incline alla irrazionalità e che la ragione, sviluppatosi con l’evoluzione, ha dovuto fin dai primordi combattere una dura battaglia per contenerla entro limiti accettabili, sostiene che l’uso esasperato della ragione può sortire effetti negativi.

L’autore, infatti, dopo avere a lungo scritto, nei precedenti suoi libri, sulla necessità di adottare la ragione come unica indispensabile guida per la sopravvivenza della razza umana, si è drammaticamente reso conto che nell’era moderna il sistematico ed esasperato uso della ragione, che ha fatto della scienza e della ragione la sua guida, confutando tutto ciò che è irrazionale, può privare l’uomo della sua peculiarità, quella cioè di essere un uomo e non qualcosa di simile ad un robot, a una intelligenza artificiale. Tale diverrebbe infatti l’uomo se si affidasse unicamente alla ragione.

In particolare, l’autore, nel settore che riguarda la fede in una religione che predica l’esistenza di Dio, dell’anima e di una vita futura in comunione con il Creatore, critica l’uso eccessivo della ragione che, rigettando la fede, può portare l’uomo al nichilismo, alla perdita di ogni speranza, togliendogli ogni certezza. Quindi, afferma l’autore, conviene rifugiarsi nell’agnosticismo.

In effetti la religione si fonda sul rigetto della ragione imponendo al fedele di credere nelle sue dottrine per fede e non per ragione. È ciò è inaccettabile in quanto l’uomo non può rinunciare alla ragione che è stato il traguardo più alto raggiunto dall’umanità dopo millenni di dura evoluzione. Tuttavia gli risulta difficile rinunciare al conforto fornito dalla fede. Tutto ciò spinge l’uomo verso l’agnosticismo convincendolo a rinunciare di tentare di risolvere il problema ontologico con la ragione. L’uomo ha preso atto del fallimento della ragione che si è rivelata incapace di risolvere il problema ontologico.

Caiazzo dedica alcuni capitoli del suo saggio alla stigmatizzazione dei miti, dei dogmi e delle profezie proposte dalla religione cristiana dimostrandone la falsità, l’assurdità e l’irrazionalità che a suo avviso sono talmente grandi da rendere addirittura difficile la loro confutazione ma che tuttavia per secoli hanno confortato gli uomini.

Altro argomento di contestazione per l’autore è la guerra, fenomeno sociale motivato da controversi interessi nazionali, ideologici ed economici di stati sovrani che non sono riusciti con la diplomazia a trovare una soluzione pacifica concordata. È estremamente irrazionale perché non sortisce effetti duraturi. Infatti prima o poi tutto torna come prima fuorché le migliaia di morti da essa provocati. Tuttavia la guerra, con tutta la violenza che essa comporta, da sempre ha soddisfatto l’istinto omicida dell’uomo, la sua malsana voglia di sopraffazione, gratificando il suo ego.

Un’altra critica l’autore riserva ad alcune categorie sociali quali i vegetariani, i vegani e i contestatori che, a suo avviso, con le loro convinzioni dimostrano una profonda irrazionalità, illudendosi sulla loro efficacia e utilità.

Verso la fine del saggio, Caiazzo stigmatizza alcuni atteggiamenti umani che dimostrano, ancora una volta, come il grado di irrazionalità che può raggiungere l’uomo non ha limiti: la superstizione, l’astrologia, la cartomanzia, la scaramanzia, ecc., possono configurarsi come vere e proprie abiure alla razionalità, che tuttavia da millenni confortano l’uomo che, avendo una naturale predisposizione a credere nell’irrazionale, si illude di poter conoscere l’inconoscibile.

Infine, per quanto riguarda il settore dei “sentimenti” quali amore, odio, vendetta, gelosia, invidia, ecc., peculiari della specie umana e che condizionano i comportamenti umani, l’autore sostiene che bisogna cercare di contenerli sforzandosi di usare i freni inibitori, ma che essi non possono e non devono essere eliminati perché caratterizzano, nel bene e nel male, l’essere umano distinguendolo dalle altre specie viventi. Essi vanno contenuti con l’uso dei cosiddetti freni inibitori. La mancanza dei “sentimenti” renderebbe infatti la vita piatta e senza alcun interesse; quindi è indispensabile trovare un giusto equilibrio che consenta la convivenza della Ragione con l’Irrazionalità tipica dei “sentimenti”.

Questa è la grande sfida che deve affrontare l’uomo: trovare il giusto equilibrio tra due comportamenti antitetici, indulgere nell’irrazionalità o imporre l’uso esasperato della ragione, cercando di farli convivere.

Nell’ultima parte del saggio, la parte settima, l’autore ha riportato alcune fiabe o racconti sulla superstizione, sull’invidia, sull’avidità e sulla vendetta per dimostrare come gli irrazionali “sentimenti” possono condizionare e rovinare la vita e forse anche per alleggerire il tono un po’ troppo “pesante “del saggio.

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