La disoccupazione giovanile nel vecchio continente si combatte con la formazione

Il grido disperato lanciato dal Pres. di Confindustria, Squinzi, circa il rischio di  lasciare senza lavoro un’intera generazione di giovani,viene prontamente raccolto dal nostro Premier che in seno all’UE lancia un grido di battaglia “lavoro o cresce la rivolta”. Il triste primato della disoccupazione giovanile in Europa e soprattutto in Italia solo in parte è conseguenza della crisi economica e finanziaria,ma è anche e nella maggior parte dei casi,soprattutto,la mancanza di formazione individuale che non permette l’adattamento alle richieste delle aziende. Alcuni studi condotti negli Stati Uniti ed in Brasile hanno dimostrato che le persone restate fuori dal mercato del lavoro e dello studio negli anni più critici della loro formazione,hanno minori probabilità di inserimento e perdono sempre di più fiducia nelle proprie capacità personali,con la tendenza ad isolarsi rispetto alla comunità dove vivono. In effetti i giovani europei e gli italiani in particolare,appaiono fortemente penalizzati dal grande disallineamento tra le richieste fatte dalle imprese al mercato del lavoro e le competenze che i giovani maturano a scuola  e nel proprio ambito formativo. Nell’area euro si stimano circa cinque milioni di giovani che non hanno nulla da fare rispetto a centinaia di migliaia di posizioni di ingresso nelle aziende europee che non vengono occupate.Questo stato di cose esige un cambiamento forte e rapido, attraverso un investimento sia dello stato che delle istituzioni comunitarie da spendere, nei prossimi anni, nel rafforzamento e riqualificazione dei meccanismi di formazione professionale e di ogni altro servizio che sia in grado di favorire l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro. In Italia il problema è particolarmente sentito e dibattuto nel corso degli ultimi dieci anni, in quanto si sono maturate nel campo della formazione professionale esperienze tutt’altro che positive,in special modo nelle regioni meridionali,dove sono stati spesi miliardi di di euro,che il più delle volte sono finiti nelle tasche dei formatori e delle società specializzate nel settore,ma non hanno raggiunto le finalità preposte.La soluzione ideale sarebbe quella di pagare i formatori sulla base del numero e della qualità dei posti di lavoro generati;privilegiare fortemente i programmi al cui costo contribuiscono le imprese presso le quali la formazione si svolge; dare la possibilità ai beneficiari dell’intervento la possibilità di spendere presso le agenzie più qualificate nel settore, perché anche in questo settore ci sono grosse resistenze ad ogni forma di cambiamento che comporti più trasparenza che è alla base di una seria competitività.Ma la questione della disoccupazione giovanile è così drammatica che ogni forma di resistenza al cambiamento sarà spezzata, perché non si può negare ai giovani di essere artefici e protagonisti della propria vita  e rappresentare nel contempo il futuro del nostro Paese.

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