La dura vita dei portaborse parlamentari

Sono precari. Spesso usati e abusati. Molti di loro intascano stipendi da fame. Alcuni vengono inquadrati come colf, oppure, nel peggiore dei casi, della busta paga non vedono neanche l’ombra. Invisibili, si aggirano per i corridoi di Palazzo, ora rincorrendo un senatore, ora un deputato. E’ la carica dei

I portaborse parlamentari, un esercito di collaboratori che da anni rivendicano un contratto regolare.

I questori della Camera, Stefano Dambruoso e Paolo Fontanelli, che hanno parlato di 612 contratti, dei quali 315 di collaborazione.

 Quanto alla retribuzione, però, numeri ufficiali non ce ne sono. ‘Da quello che sappiamo si sta attorno ai 1.000-1.200 euro netti al mese’,  dice all’AdnKronos Valentina Tonti, presidente dell’Aicp, l’Associazione dei collaboratori parlamentari, ‘ma ci sono collaboratori che percepiscono molto meno’.
O nulla, come la ragazza intervista da ‘Le Iene’. E’ difficile che si vada sopra i 1.300 al mese,  afferma Tonti:  ‘La prassi è utilizzare quelle risorse che devono essere rendicontate per pagare il collaboratore, senza toccare la parte erogata in modo forfettario al deputato o senatore. Funziona così: ogni parlamentare riceve mensilmente una somma da destinare ai collaboratori. 4.180 euro per i senatori e 3.690 euro per i deputati. Spese che coprono attività istituzionali come consulenze, accesso alle banche dati e iniziative territoriali. Compresa la retribuzione del portaborse’.

La metà delle risorse di cui dispone il parlamentare gli viene erogata in ogni caso, senza alcun giustificativo,  spiega Tonti. Si tratta di soldi messi a disposizione del senatore o del deputato, che però è obbligato a rendicontarne il 50%. L’altra metà, invece, viene utilizzata dal parlamentare a sua discrezione. Noi abbiamo sempre chiesto di creare una voce di bilancio vincolata all’assunzione del collaboratore, afferma Tonti. Così, se il parlamentare non intende avvalersi di un collaboratore, le risorse restano all’istituzione. Però tutto questo non è mai stato fatto”.

Non ci sono forme contrattuali privilegiate, ognuno fa come vuole, spiega Tonti.  In passato ci sono stati addirittura casi di collaboratori contrattualizzati come colf o anche peggio, abbiamo visto di tutto. Fino all’introduzione del Jobs Act per i portaborse veniva utilizzato il co.co.pro. Poi si è passati al co.co.co, che esiste tuttora, prosegue il presidente dell’Aicp,  anche se in teoria un co.co.co è svincolato dagli orari di ufficio o dalla sede lavorativa, e per i collaboratori non è così. Il portaborse parlamentare “è un lavoratore subordinato a tempo determinato, che però ha un contratto con meno tutele e garanzie.  Poi certo, esistono altre forme contrattuali, ma quella prediletta è il co.co.co.

Poi ci sono i casi dei collaboratori ‘condivisi’, quelli che lavorano anche per due o tre parlamentari. Il collaboratore lo fa per racimolare qualche soldo in più,  spiega Tonti,  ma si tratta di contratti da due spicci, mini contratti. I parlamentari, invece, lo fanno per risparmiare. Noi abbiamo sempre chiesto di andare a incidere sulle risorse, continua Tonti,- in modo che deputati e senatori non abbiamo più interesse a risparmiare sul collaboratore.

 Le mansioni che svolgono gli ‘invisibili’ sono le più disparate e vanno dall’ufficio stampa alla segreteria, ma i portaborse si occupano anche della parte legislativa come scrivere emendamenti, interrogazioni, bozze di discorsi per l’Aula o per interventi in convegni e di iniziative pubbliche. Poi c’è chi gestisce i social, i sito web. Chi cura i rapporti con il territorio, chi con l’elettorato. Tutto quello che fa un deputato o senatore, insomma.

Le cose, in Europa, funzionano diversamente. Nel Parlamento europeo, ad esempio, il parlamentare sceglie da sé il collaboratore ma il contratto viene regolato dall’amministrazione. Inoltre, esistono delle fasce retributive per le varie figure, adeguate in base alle qualifiche. Livelli stipendiali totalmente diversi da quelli italiani, nei quali le retribuzioni di base sono molto più alte del massimo al quale aspirano i portaborse italiani. Si potrebbe fare come a Bruxelles o in altri Paesi europei come in Germania o in Francia, sottolinea Tonti, dove sono presenti tante figure, dalla segretaria classica al consulente. Il nostro è l’unico Paese in cui non c’è alcuna norma.

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