La Francia di Macron taglia lʼinsegnamento della lingua italiana nelle scuole

Sembrano non placarsi le tensioni tra Italia e Francia, rinverdite dalla decisione di Emmanuel Macron di dimezzare i posti messi a concorso per insegnare la lingua italiana nelle scuole e nelle università. Il tutto a pochi giorni dalla visita del presidente della Repubblica Sergio Mattarella ad Amboise, città in cui nel 1519 morì Leonardo da Vinci, per celebrare assieme al presidente francese il cinquecentenario della morte del genio italiano.

L’insegnamento dell’italiano Oltralpe “rischia di deperire in maniera grave a causa delle scelte del governo”, ha denunciato Jean-Luc Nardone, professore a Tolosa e presidente degli italianisti francesi. Per questo motivo docenti francesi e intellettuali italiani hanno firmato un appello per il ripristino delle cattedre: tra loro figurano gli scrittori Andrea Camilleri, Gianni Biondillo e Antonio Moresco, l’attore Ascanio Celestini e la regista Emma Dante, gli storici Luciano Canfora e Carlo Ginzburg, gli studiosi di linguistica Paolo Fabbri e Raffaele Simone.

Il documento parla di una “caduta senza precedenti” dei posti messi a concorso per l’insegnamento dell’italiano. Il taglio si inserisce in un ridimensionamento generale voluto dal governo di Parigi in materia scolastica. Per il canale dell’Agrégation, che consente di insegnare nei licei, i posti si sono dimezzati e per il 2019 sono soltanto cinque. Per il Capes, che abilita alla docenza nelle scuole medie, si è passati da 28 a 16, mentre i posti, ricorda il documento, “erano ancora 35 nel 2016, 2015, 2014, e 64 nel 2013”.

Nardone e i firmatari dell’appello hanno sottolineato il paradosso della decisione dell’Eliseo, visto che la richiesta di studiare l’italiano da parte dei ragazzi non sta diminuendo. Anzi: la domanda di giovani che chiedono di cominciare a cimentarsi con la lingua di Dante negli atenei francesi sta crescendo, perché molti non hanno potuto studiarla al liceo, loro malgrado. “Siamo di fronte a una politica vessatoria”, si legge nell’appello.

Antonella Di Pietro

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